Alla fine del secondo decennio del secolo scorso la casa editrice Modernissima, sostenuta dall’attività e dalle idee di Icilio Bianchi e Gian Dàuli, propose la collana “Gli uomini del giorno”. Per questa collana Carlo Veneziani scrisse questo frizzante profilo di un attore teatrale – e successivamente cinematografico – che era all’epoca decisamente sulla cresta dell’onda. Antonio Gandusio nel 1919, anno in cui venne pubblicato questo libretto, era già notissimo.

Si era laureato a Genova in giurisprudenza e già da studente frequentava più le sale di recitazione che l’università. L’esordio fu con Il padrone delle ferriere nel 1899 come secondo brillante nella compagnia di Alfredo De Sanctis. La sua versatilità lo portò ad eccellere sia nella recitazione di Molière e Goldoni che dei “grotteschi” contemporanei. Da qui la sua conoscenza e poi sodalizio artisticamente proficuo con il Veneziani autore.

Tozzo di fisico ma agilissimo, volto tendente naturalmente alla maschera, foltissime sopracciglia, riusciva a realizzare il contrasto tra gli elementi posti in gioco, facendo scaturire il comico da situazioni che avrebbero dovuto essere tragiche. La sua fisicità gli consentiva di rifuggire dal trucco; Veneziani lo spiega abilmente e possiamo sentire come Gandusio stesso descrive questa sua propensione:

Spesso mi si chiede perché di solito, non mi trucchi; e io invariabilmente rispondo: – Se da anni e anni rifuggo dal truccarmi, dal far uso di barbe e di baffi posticci e di parrucche, non è per preconcetto o avversione all’arte di farsi una faccia, ma perché madre Natura mi ha generosamente dato una maschera teatrale che il pubblico preferisce, mi sembra, a tutte quelle che potrei pazientemente fabbricarmi coi lapis, i ceroni, il crespo.
Debbo aggiungere che le rare volte in cui ho tentato di sostituire la mia maschera originale con un’altra ho sempre trovato qualcuno che mi ha rimproverato di tradire me stesso. Proprio così. Del resto, ognuno ha la faccia che si merita e che gli occorre: e si trucca come vuole. Io rispetto i voleri della natura, e ho la soddisfazione di avere dalla mia il consenso del pubblico e quello autorevole dei critici. Questi ultimi mi hanno catalogato per l’attore che possiede una maschera di stanchezza e di malinconia, un po’ dura, talvolta un po’ arcigna, magari un po’ voluta, che mi fa apparire alquanto smagato e fuori del mondo reale; l’attore dalla maschera che può far ridere anche rimanendo seria. E se così è, perchè rinunciarvi? In fatto di truccature ho del resto delle idee tutte mie: ritengo, cioè, che certi attori – e io mi considero di questi – possano dare ai loro personaggi un volto appropriato anche senza ricorrere alla scienza del trucco, col valersi, anzichè dei soliti ingredienti, della studiata mobilità del loro viso, del gioco sapiente dei loro nervi facciali, affidandosi ad essi e a essi soltanto, per apparire giovani o vecchi, sani o sofferenti, floridi o emaciati, stanchi o arzilli, truci o allegri. Chi possiede questa eccezionale mobilità del volto può, mi pare, non ricorrere in molti casi dell’ausilio del trucco, che è indispensabile invece in chi non dispone d’una vera maschera teatrale.” [da “La mia maschera teatrale” Il Dramma 1932, n. 144].

Nella stessa “confessione” Gandusio narra anche, tra l’altro, il medesimo episodio ricordato da Veneziani a proposito della dimenticanza di reindossare una parrucca bianca tra un atto e l’altro. E così poi conclude:

Queste sono le diverse ragioni per le quali, pur riconoscendo la grande importanza dell’arte di ben truccarsi sulla scena e pur ammirando profondamente gli attori che si truccano con intelligenza e abilità, io continuo a non far uso, nei limiti del possibile, di parrucche, di crespo, di lapis e di colori. E mi servo della mia maschera.

Queste sue notevoli abilità furono poi portate al cinema. Vale ricordare Se non son matti non li vogliamo, del 1942, e c’è da ammettere la sua capacità, quasi unica, di trasportare nella nuova arte cinematografica i tipi dei personaggi già consolidati dal successo teatrale. Aiutato in questo dalla innata eleganza e signorilità con la quale poteva stemperare le disarmonie volute della sua arte teatrale.

Sinossi a cura di Paolo Alberti

Dall’incipit del libro:

Quando Gandusio apparve su la scena del mondo, fu accolto da un applauso di sortita.
Era l’applauso dell’avvocato Gandusio padre che si riprometteva di perpetuarsi nell’avvocato Gandusio figlio.
Ciò avvenne a Rovigno, in Istria, tra i venti e i quarant’anni or sono.
Il neonato dimostrò subito un vivo attaccamento alla balia, per cui uno zio canonico vaticinò:
— Questo bimbo sarà un uomo destro, visto che non rifiuta il sinistro.
Naturalmente lo zio canonico contemplava il seno della balia. Ma un giorno quel seno fu sostituito da un «biberon» iniziando così tutta una lunga serie di sostituzioni grazie alle quali Antonio Gandusio si rivelò.
Appena entrato in una compagnia drammatica, come generico, sostituì una sera l’amoroso, poi il brillante, indi il caratterista, e via via il primo attore, la prima donna… Cioè, no! diciamo la verità, nessuna prima donna è stata mai sostituita da Gandusio. Anzi, per essere sinceri, bisogna riconoscere questa deficienza assoluta nell’arte del personalissimo attore: egli può essere bravo quanto volete voi, ma non riuscirà mai a coprire un ruolo di prima donna… No, vivaddio!

Scarica gratis: Antonio Gandusio di Carlo Veneziani.