Non bisogna dare importanza al mondo esteriore, ma concentrarsi invece sul conoscere se stessi. A questo scopo occorre valorizzare la spontaneità e ciò che è in sintonia con la natura e con le leggi fondamentali che regolano l’universo, respingendo le istituzioni artificiali e i valori convenzionalmente assegnati dalla società. Tutto questo nel tao scompare sintetizzandosi in una realtà unica che mette in relazione tutti gli esseri e tutte le cose. La morte, inevitabile cambiamento naturale, come la successione del giorno e della notte, si inquadra, come ogni altra cosa che accade, in una parvenza di sogno.

Questa traduzione è stata condotta da Mario Novaro, che non conosceva il cinese, tramite il confronto di una traduzione inglese e una traduzione tedesca, e a supporto una traduzione tedesca dall’inglese. La suddivisione in capitoli non è quella tradizionale (33 capitoli) ma quasi ogni capitolo è stato suddiviso in parti più brevi ricercando in ognuno una propria unità. Si tratta comunque della prima versione italiana dell’opera dell’antico fondatore delle idee taoiste.

Sinossi a cura di Paolo Alberti

Dall’incipit del libro:

Cienvù chiamò Liensciù e disse: «Ho udito Cieiù (un savio che si fingeva pazzo) dire parole grandi ma senza riscontro. Proferite che erano, erano perdute. Ne ebbi spavento; erano come la via lattea senza principio nè fine. Erano sciolte, lontane da ogni esperienza umana».
«Quali parole?» chiese Liensciù. «Diceva che lontano sui monti di Cuscè abitano uomini felici. Hanno il corpo liscio come ghiaccio, bianco come neve; sono fini e delicati come vergini; non vivono di grano, aspirano il vento e bevono la rugiada; montano sulle nuvole; cavalcano i draghi volanti vagabondando felici di là dal mondo. Che il loro spirito è così concentrato che possono salvare le creature dal contagio e dalle malattie, e portare a sicura maturità i raccolti. Mi sembrano parole da matto e io non ci credo».
Disse Liensciù: «È così. A un cieco non si fa vedere un bel quadro nè a un sordo si fa sentire la musica. Ma non vi sono solo i ciechi e i sordi del corpo, vi sono i ciechi e i sordi dell’intelletto, e le tue parole ti mostrano tale.
L’influenza d’un uomo di quella sorte pervade tutto il creato. Se una miserabile generazione lo chiamasse per uscire dal suo disordine, come vorrebbe egli affaticarsi a condurre l’ordine in un regno?
Un uomo di quella sorte non può esser tocco dal mondo. Le più grandi piene alte come il cielo non lo potrebbero annegare nè lo brucerebbero i più gran calori quando fondessero i metalli e le pietre, e la terra e i monti ardessero. Dalla sua polvere e cenere si potrebbero ancora formare Iao e Sciùn (i più grandi re). Come vorrebbe egli occuparsi delle cose del mondo?».

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