Titolo: A prova di spia di Ethan Coen & Joel Coen, 2008
Titolo originale: Burn After Reading
Con: Brad Pitt, George Clooney, Frances McDormand, John Malkovich, Tilda Swinton, Matt Walton, Logan Kulick, Richard Jenkins.
Venezia 2008, fc.
Leggero ma non troppo. Il terzo capitolo della «Trilogia dell’idiota»dedicata alla bravura di George Clooney (Fratello, dove sei?, 2000e Prima ti sposo, poi ti rovino, 2003) continua nella critica sociale già espressa in chiave drammatica in No country for old men (Oscar 2008). Cambiato il registro (qui siamo nella commedia), non si attenua l’ironia, anzi si tinge a tratti di finissimo sarcasmo. La cinepresa è puntata sulle incoscienze degli americani, sui loro tic indicativi di una multiforme alienazione che rende paradossali certi loro modi di essere, nelle situazioni usuali riferite sia alla quotidianità spicciola sia ai livelli più impegnati e segreti dell’Intelligence. Un filo umoristico unisce i piani bassi e i piani alti di un’unico edificio, il divertimento sta proprio nel cogliere i caratteri comuni di personaggi tanto diversi all’apparenza, come l’uomo fitness, il bello Chad che si crede anche furbo (Pitt), e l’agente della Cia, Osbourne Cox, un po’ troppo «nervoso» e con problemi di alcol (Malkovich); o come Linda, attempatella e hungry (McDormand), e il maturo belloccio, Harry, traditore della moglie e footing-dipendente (Clooney). Per uno strano intreccio, per un CD di dati insignificanti che finisce nelle mani dello spionaggio russo (momento iconologico fuggevole e sublime è il ritratto di Putin nell’ufficio dei cervelloni ex-sovietici), la commedia sconfina in una suspence non di genere, eccentrica di quel tanto da proiettare la propria «inverosimiglianza» sul senso complessivo del film. «Non dev’essere per forza spiacevole», premette brusco il capo di Osbourne mentre sta per licenziarlo; e l’epurato se ne va triste dal papà col proposito di scrivere le proprie memorie: «Il pensiero indipendente non è apprezzato, ma c’è un patriottismo più alto»! Metafora: potrebbe trattarsi del «patriottismo» degli stessi Ethan e Joel, due che sanno ridere delle false virtù. Di certo la qualità degli attori aiuta gli autori nell’ardua (e vinta) scommessa di mantenere dall’inizio alla fine il difficile equilibrio tra «realtà» e «parodia». L’osservazione dei comportamenti rasenta il «documentario» mentre l’uso degli stereotipi assume il valore di un saggio di storia (del cinema, dei generi). Per cinefili, ma divertente per tutti.