(voce di Luca Grandelis)
L’intervista di Paolo Calabrò a Marco Revelli sulla crisi europea, oltre a fotografare la crisi di oggi, guarda alle radici dell’Europa stessa.La nostra Europa è ancora «lontana dai grandi progetti degli europeisti del Novecento», è «inguardabile», dice il grande storico; ma soprattutto, ci ricorda, la crisi economica dell’Europa è indissolubilmente legata a una crisi di cultura, forse ne è la conseguenza.
È un’affermazione grave, eppure, per certi versi, incoraggiante, perché fa pensare che vale la pena non solo che la buona politica riguadagni terreno, ma che tutti i cittadini prendano parola. E soprattutto è bene che si senta chiamato in causa chi ha la responsabilità di «fare cultura» per mestiere, che oggi più che mai deve scegliere se prestarsi ad esercitare placidamente una funzione di intrattenimento un po’ decadente o rivendicare un ruolo nell’elaborazione teorica, rifiutando di delegare ogni discorso sul futuro all’ineluttabile corso dell’economia – che come sappiamo ineluttabile non è affatto, purché non si ceda alla tentazione della passività, più che mai contagiosa in tempi di crisi.
Anche per queste ragioni credo che valga la pena dar conto di un’esperienza in corso a cui come attrice e operatrice teatrale ho la fortuna di essere coinvolta: Il ratto d’Europa, uno spettacolo e insieme un progetto culturale pensato e diretto da Claudio Longhi, regista teatrale e docente dell’Università di Bologna. Il ratto d’Europa è prodotto da Emilia Romagna Teatro e Teatro di Roma e sfocerà in uno spettacolo previsto a Modena per maggio 2013, mentre a Roma debutterà all’interno della stagione 2013/2014. Alle due piazze corrispondono due messinscene diverse e una doppia gestazione, una ‘complicazione’ inevitabile per uno spettacolo che vive dei rapporti con il territorio in cui viene presentato: il copione dello spettacolo, infatti, non è dato in partenza, ma verrà scritto con la cittadinanza rispettivamente di Modena e di Roma, grazie alla collaborazione con una sessantina di partner per città, con i quali gli attori svolgeranno – in molti casi stanno già svolgendo – laboratori di scrittura, di lettura, di teatro. Scuole, centri anziani e centri diurni, associazioni culturali e di volontariato, gruppi teatrali e sportivi sono solo alcune delle numerose ed eterogenee ma soprattutto straordinariamente vitali realtà che hanno scelto di aiutarci a dare sostanza teatrale alla percezione e all’idea di Europa che donne e uomini di ogni età e di ogni ambiente hanno e vanno formandosi. È proprio su questo che verterà lo spettacolo, a cui manca, oltre al testo, qualsiasi idea preconcetta, qualsiasi tesi da dimostrare. È dall’incontro con la gente che emergeranno le parole dello spettacolo, e gli attori che daranno loro voce sono direttamente responsabili della raccolta dei materiali.
Tra i teatranti di professione – otto attori, una musicista e numerosi collaboratori – e i singoli cittadini a cui si chiede di partecipare alla scrittura collettiva, l’anello di collegamento è appunto costituito da queste realtà, con alcune delle quali, a Modena a partire dallo scorso ottobre e a Roma da inizio dicembre, sono già stati realizzati incontri, letture e spettacoli, per avviare la riflessione sul tema che è al centro dello spettacolo: qual è, se c’è, la nostra identità europea? Come si definisce, come la sentiamo, come la vorremmo? Il tema è più che ambizioso e solo una certa, consapevole incoscienza può aiutare ad affrontarlo: bisogna accettare il rischio di dedicare molto più tempo alla ricerca che alle classiche prove teatrali e, perché no, anche di perdere un po’ di tempo – terribile a dirsi, in tempi di inni alla produttività -, magari di apparire velleitari. Bisogna pensare di mettere i mattoncini di un’opera-mondo, sapendo che, qualunque ne sia l’esito dal punto di vista estetico, è il processo che resterà patrimonio di tutti: un patrimonio di relazioni, testi e prodotti artistici che quando lo spettacolo debutterà sarà presentato a Modena e a Roma, oltre che nello spettacolo di cartellone, in una serie di eventi che verteranno intorno ai partner coinvolti.
L’idea del progetto («idea: questa cosa umana per eccellenza», dice Alberto Savinio in Sorte dell’Europa, uno dei testi-guida del lavoro) è nata da un’intuizione del regista, che poi ha volutamente lasciato in sospeso i passi successivi per lasciare spazio ad una vera e propria un’indagine portata avanti per punti interrogativi. Difatti è con una domanda che i cosiddetti ‘agenti del ratto’ rompono il ghiaccio nelle scuole: «che cos’è l’Europa?». Le reazioni sono di due tipi, opposte e identiche: nell’aula cala il silenzio, le teste si chinano a guardare la punta delle scarpe o si girano a tradimento a indicare un compagno che si spera abbia la risposta; oppure si leva un brusio di disapprovazione, come a dire: non vale, qui non siamo a lezione, non erano due ore di teatro? Poi si leva la prima timida voce, spesso interrogativa, come a difendersi in caso di errore, o flebile, svagata, come a dire: è banale, ma non mi viene altro. «Un insieme di stati?»,«un continente […]», azzarda la voce. No, non è banale: rispondono gli attori-docenti, e da qui prende il via la lezione-spettacolo, secondo un canovaccio collaudato ma sempre nuovo che apre la presentazione del progetto Il ratto d’Europa in molte scuole di Modena e di Roma, alternando momenti di dialogo e riflessione su cosa sia per noi l’Europa a momenti di recitazione da parte degli attori e dei ragazzi.
Quella nelle scuole è solo una tra tante delle situazioni in cui si pescano idee il progetto, ma è emblematica perché indaga il sentire delle nuove generazioni, quelle per cui l’idea di Europa è scontata, come immancabilmente scopriamo, solo a parole. Tra i testi ai quali gli attori danno voce e dai quali come conduttori di laboratori facciamo partire la riflessione non mancano quelli fondativi: il Manifesto di Ventotene di Altiero Spinelli, il pensiero di Einaudi, l’ironia profetica di Alberto Savinio. Negli incontri, che stanno producendo idee e testi che confluiranno nello spettacolo vero e proprio, non ci sono risposte giuste o sbagliate, ma immancabilmente, appena rotto il ghiaccio, si scopre che tutti hanno qualcosa da dire. E quello che ormai appare a molti come il peccato originale della nostra Europa, l’essersi realizzata come unione su accordi commerciali e poi monetari prima di essersi fondata politicamente – sulla scorta di un pensiero funzionalista che ora sembra non reggere più – si rivela evidente anche per i nostri più giovani interlocutori, sebbene spesso non abbiano o non abbiano elaborato le parole per dirlo. È così che noi donne e uomini di teatro tentiamo con le nostre voci, i nostri corpi, le nostre domande, di andare a muovere le zolle di un terreno che si rivela assai fertile se non lo si abbandona, per far emergere le idee della gente: cose umane per eccellenza ma spesso nascoste o isolate.
Questo è l’inizio, ma il percorso prosegue con appuntamenti sul territorio, laboratori, spettacoli, non solo nei teatri. Un tempo si parlava di uscire dal teatro. Gli agenti del ratto, oltre ad uscire dai teatri stabili a cui si deve l’impresa, hanno il preciso compito di intrufolarsi ovunque, come i piccoli roditori evocati dal nome. Evidentemente il titolo del progetto, ispirato al mito classico del Ratto d’Europa – la figlia di Agenore rapita da Zeus mutato in toro – ricerca con leggerezza il doppio senso: la sagoma di un topolino giallo su sfondo blu con l’aura di qualche stellina ad evocare la bandiera d’Europa ci accompagna da mesi, ed è ormai qualcosa di più di un logo: è divenuto il marchio di una tribù che si allarga. «Ho capito!» ha esclamato una signora incontrata in un centro anziani di Roma: «Il topo deve diventare una pantegana enorme!» Come dirlo meglio che con l’ironia?
Non basterà uno spettacolo per cambiare l’Europa, ma per creare cittadini attivi e più consapevoli è certamente un buon inizio.