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(voce di Luca Grandelis)Luca Grandelis – ex speaker radiofonico – è professionista della voce: con la SopraPensiero si occupa di voice over ed è anche la voce di Paginatre. A questa ed altre attività nell’ambito della consulenza, affianca quella di autore di romanzi e racconti, di editor e di correttore di bozze.
Luca Grandelis, per la prima volta su Pagina3 in veste di autore, del romanzo Al buio i colori non esistono, edito nel 2007 da L’Ambaradan. Come nacque l’idea di questo libro?
Mi è molto difficile risalire alla genesi di Al buio. La verità è che sia per Al buio, sia per quasi tutti gli altri miei testi, la consapevolezza che sono qualcosa di più di un vaneggiamento momentaneo, di un esercizio di scrittura o di un più banale riordinamento di idee, si rende prepotente e determinata a romanzo già quasi finito; in modo del tutto inconsapevole. Il processo è il medesimo che ai tempi della scuola mi vedeva impegnato a ricopiare minuziosamente gli appunti presi in aula o a copiare pedestremente i capitoli dei libri di testo: unico modo di chiarirmi le idee e di […] capire; una volta compreso, il gioco era fatto. Un metodo che applico ancora oggi – a quarantacinque anni – per rassettare, a fine giornata, nella mescolanza di stimoli suscitati dalle osservazioni sul mondo a me adiacente. A posteriori, in sostanza, ho avuto bisogno di scrivere Al buio innanzi tutto per comprendere il mio ambiente, la nostra epoca calata nel contesto sociale al quale appartengo. Infatti il testo, riproduce in forma romanzata, quello che ho visto – e spesso non mi è piaciuto – intorno a me. Il «purtroppo» sta nel fatto che la mia vita potrebbe dirsi perfettamente aderente a parti di ogni personaggio, per un carattere o per un altro; è forse per questo che nel finale ho voluto redimere quelli a cui mi ero affezionato di più, sperando di poter, in un modo o nell’altro, riscattare almeno uno scampolo della mia vituccia.
Nel 2008 L’Ambaradan ripubblica il titolo come audiolibro. Come è stato accolto dal pubblico? Che attenzione viene riservata, in Italia, alla foma del “letto” oltre che dello “scritto”?
Io sono troppo esigente per rispondere a questa domanda in modo asettico ed oggettivo. Posso dirti che mi sarei aspettato più calore, soprattutto dato l’incredibile numero di copie cartacee vendute per un esordiente di cui la gente probabilmente ha sentito la voce, ma di cui non conosce né viso né nome. Inoltre l’attrice che ha prestato la voce per l’audiolibro, Lucia Valenti, è famosa per essere una doppiatrice così brava da poterti affascinare anche leggendo l’elenco telefonico. In ogni modo, per tornare alla risposta, le vendite ci sono state, ma molto timide. Un trattamento diametralmente opposto a quello riservato alle edizioni cartacee che, ancora oggi, sebbene esaurite sono oggetto di frequenti richieste di ripubblicazione. È infatti per questo motivo che la E-text Progetto Editoria Diffusa a novembre ha voluto pubblicare una terza edizione, stavolta elettronica, di Al buio. La pubblicazione è della scorsa settimana, vedremo dopo Natale come lettori avranno reagito.
Un romanzo scritto non solo con grande proprietà di linguaggio, ma anche con una attenzione specifica al linguaggio come tale: al di là di una diffusa ricercatezza lessicale (cui dobbiamo ad esempio termini come “adespota”), si ha la sensazione che certe parole siano state scelte più per il loro suono che per una stringente esigenza semantica: è forse questo il caso dei tanti e diversi “confricare” e “retrocranio” che troviamo nel libro?
Il parlato, il vocale; ritmo, colore, volume, timbro sono il mio lavoro e quindi l’attenzione ai termini usati e all’effetto che loro audaci accostamenti avrebbero prodotto nel lettore è stato un fondamentale «scrupolo» nelle innumerevoli revisioni del testo. Quando, ad esempio, fai un voice over per un documentario, l’uditore è avvantaggiato poiché il suo cervello deve soltanto accoppiare i caratteri del parlato – intonazione, velocità, ritmo – a immagini preconfezionate. Nel caso di un testo scritto il tuo cervello deve costruirsi tutto: dall’impianto scenico all’audio e quindi l’accostamento delle parole in termini di suoni che esse producono – se studiato con accuratezza – può aiutare lo scrittore a trasmettere quegli stati d’animo di confine che spesso sono, da parte di un lettore diciamo veloce, difficili da captare e riportare nel proprio assetto fantastico.
Del resto il legame fra parola e musica è evidente fin dai titoli dei capitoli: “Adagio Allegretto Mesto Scherzo con moto, ma non troppo”.Come a denunciare un fascino per la parola che va al di là della sua forma impressa sul foglio.
La musica, come le parole, è in grado di riportarti ad uno stato d’animo, di farti gioire come di atterrarti in pochi secondi. Le indicazioni agogiche dei titoli preparano il lettore a quello che troverà – in termini di emozioni – nel testo che ha di fronte; una possibilità in più per decidere se quello è il momento giusto per calarsi nell’umore sinteticamente descritto.
Si gioisce e si pena con i personaggi, dalla storia d’amore nata sul filo di un saper ridere insieme all’amarezza dell’illusione che ognuno di noi nutre – e viene indotto a nutrire – circa la propria importanza nel mondo. Quale visione della vita emerge sullo sfondo dell’esigenza ricorrente di «lavorare di più sull’essere umano»?
Come ti dicevo all’inizio di questa intervista, quello che ho trovato intorno e dentro me, come svegliandomi da un letargo intellettuale e sensitivo lungo almeno vent’anni, non mi è piaciuto. Il primo obiettivo è stato quello di imprimere sulla carta quanto di deprecabile ho sentito e quanto di bello avrei potuto vivere; come in un progetto di ristrutturazione: uno «stato di fatto» e un «progetto finale». Solo a questo punto ho dato una possibilità a me e ai personaggi di uscire da questo moderno uroburo, indicando dei possibili punti di arrivo; il percorso, beh, quello ognuno deve trovarselo da sé.
È da poco uscito un nuovo libro, stavolta per un editore diverso, la E-text di cui parlavi prima. Qualche indicazione, a beneficio esclusivo dei lettori di Pagina3 […]
A fine agosto è uscito in formato e-book il nuovo romanzo: Ho riscritto per te il destino. Anche in questo, sebbene il genere sia completamente diverso sia per trama, sia per modalità comunicativa con il lettore, ho mantenuto un impianto narrativo complesso. Non complicato, ma proprio complesso. Le chiavi di lettura sono molteplici, ma dovendo attribuirgli un genere l’abbiamo definito giallo/thriller. In realtà nasce dall’esigenza di esplicitare due aspetti dell’uomo che spesso lo hanno portato a confezionare disastri su piccola, media e larga scala: la gelosia e il senso di rivalsa. A differenza di quasi tutti gli altri miei testi, questo nasce da un minuzioso progetto e non da una libertà creativa incontrollata. Ho studiato il modo di comunicare attuale (sms, e-mail, chat), ho lavorato sugli incastri temporali direi quasi a livello paranoico ed ho dimostrato che le nefandezze descritte nel romanzo potrebbe compierle chiunque di noi, applicandosi con meticolosità, ordine e rigore nella fase progettuale del piano. Mentre in Al buio ho occultato una storia, o meglio la mia visione dei fatti, nelle bandiere dei capitoli, in questo ho disseminato il testo di indizi «lessicali e grammaticali» che aiutano il lettore a capire chi fa che cosa, ben prima della «catarsi». Anche in questo ho mantenuto l’ambiguità iniziale, così da dare al lettore uno sprone a continuare la lettura senza esitazioni. Date le recensioni, mi sembra di esserci riuscito. La curiosità nel caso di Ho riscritto – in termini di ritorni – è stata che – dopo averlo letto – amici e conoscenti si sono sentiti più vulnerabili nei miei confronti, sovrapponendo o meglio unendo in termini insiemistici, la pericolosità del personaggio a quella dell’autore […] per me, come per gli attori sul pacoscenico, una grandissima soddisfazione.
Anticipazioni sui tuoi nuovi lavori in ambito letterario?
È in fase finale il prossimo romanzo che uscirà, pensiamo a novembre prossimo. Si tratta un’altra volta di un genere completamente diverso dai precedenti, dove si potrà leggere un Grandelis non nella finzione, ma dove sarà legittimo, anzi suggerito, confondere autore e personaggio. Il testo tratta dell’evoluzione di una patologia sempre più frequente, l’alzheimer, e di come questa malattia invada la mente non solo del paziente, ma anche del suo caregiver. Una stesura molto dolorosa, ma un testo spero utile ad una società dove la educazione scolastica sembra ancora considerare le malattie mentali tabù.