Nel 2001 a cura di Alfredo Luzi, con la collaborazione di un gruppo critico di grande rilievo, e con il contributo della Regione Marche e della Provincia di Macerata, le edizioni Metauro diedero alle stampe l’intero corpus narrativo di Ugo Betti – con l’eccezione dell’unico romanzo la Piera Alta – radunando quindi in un unico volume le tre raccolte edite (Caino e altre novelle, del 1928; Le case, del 1933; e Una strana serata, del 1948) e tutte le novelle che erano state pubblicate su vari giornali e riviste senza mai essere state radunate in volume.
Per ogni novella i curatori hanno svolto un lavoro di ricerca con tutte le edizioni esistenti – anche precedenti e successive alla raccolta in volume – annotando macro e microvarianti; questo lavoro mette in rilievo come l’autore abbia continuamente effettuato la revisione delle sue novelle anche a distanza di tempo notevole. Da questo volume è tratto il presente e-book, escludendo ovviamente tutto il notevole apparato critico che non è di pubblico dominio, ma del quale chi si interessa all’opera di Betti non può certamente fare a meno. L’oblio che ha accompagnato questo autore a partire dalla morte viene quindi parzialmente superato da questo pregevole lavoro. C’è anche da aggiungere che la produzione narrativa di Ugo Betti è sempre stata almeno parzialmente offuscata dalla sua notorietà come drammaturgo, e spesso le novelle sono state interpretate come una sorta di esercizio per collaudare i temi che più compiutamente venivano trattati e sviluppati nei lavori teatrali. Credo che sia invece giusto concedere alla produzione narrativa di Betti un suo valore autonomo.
La dimensione del racconto breve sembra adattarsi particolarmente bene alle esigenze dialettiche di esame di opposti valori che caratterizza la scrittura di questo autore. E, nella prima raccolta, Caino e altre novelle, addirittura la tradizionale forma favolistica si presta certamente al meglio per esaminare il rapporto tra realtà e immaginazione, gioventù e vecchiaia; ma quasi sempre è soprattutto la contrapposizione tra umano e divino, bene e male, innocenza e colpa, alla costante ricerca di una difficile sintesi che trascenda in qualche modo i limiti di tempo e spazio. Sintesi che a tratti sembra potersi rintracciare, tramite descrizioni brevi, nella semplicità di una quotidiana esistenza che si presta però efficacemente a una ricerca di senso della vita. Infatti proprio nella novella che dà il titolo alla raccolta, Caino, troviamo l’analisi di queste contrapposizioni tra il bello e colto Paolo e il rozzo e brutto Sante. I due sono fratelli ma la loro differenza sta alla base dell’odio che avvolge le passioni di Sante e la loro vicenda chiama in causa l’inefficienza della giustizia divina. Non troppo diversa è la sorte delle due sorelle Santa e Angela. Qui però non abbiamo la sintesi degli opposti ma il rispecchiarsi delle rispettive identità l’una nell’altra. In altre novelle viene ripreso il tema della prostituzione; vediamo quindi da una parte il macerarsi interiormente nei rimpianti, dall’altra la rassegnazione a un’esistenza con pochi sprazzi di possibile gioia, sempre difficile a raggiungersi su una strada costellata dai mille ostacoli, in genere creati dalla superficialità e grettezza umana.
Nella seconda raccolta, Le Case, la tendenza alla favolistica si stempera in un realismo nel quale non può non vedersi l’influenza del verismo di Verga. Povertà e miseria, la lotta spesso disperata per non soccombere alla fame sono inquadrate adesso in una dimensione di realtà nella quale spicca la descrizione, sempre in pochi ed efficaci tratti, dell’ambiente che è ora spesso casalingo tanto da risultare a tratti claustrofobico. La descrizione della povertà si sofferma sui particolari che rendono penosa la vita: il degrado fisico, la vecchiaia trascurata, un abbigliamento approssimativo (“le vecchie con le scarpe da prete”) e casuale; l’isolamento al quale il povero cercava di sfuggire nelle novelle della prima raccolta tramite un contatto, un abbozzo di sentimento, sembra ora ancora più definitivo e irreversibile. Non manca la proposta, già cara a Betti ed esplicitata più compiutamente in alcuni suoi drammi, della ricerca della compassione come deterrente e soluzione – parziale certo ma emotivamente appagante – per il degrado della povertà e dell’emarginazione. È il brigadiere della novella I poveri che incarna questo sentimento, portando a far stridere la contraddizione fra l’abbondanza e lo spreco a cui conduce la cosiddetta civiltà borghese e le orribili privazioni della miseria. Ma una riflessione di tipo sociale, una sorta di ipotesi di ribellione, si annacqua costantemente nell’ineluttabilità di un possibile disegno divino che pare sottendere a ogni tipo di sofferenza umana. La prospettiva di cambiamento sembra per Betti essere esclusivamente delegata a un’alleanza tra gli uomini e Dio in una dimensione che, almeno a tratti, appare compiutamente biblica. La povertà è quasi sempre in simbiosi con la sofferenza derivata dalla malattia e, molto spesso, dalla solitudine. E l’insieme di questi fattori conduce inesorabilmente alla scomparsa dei sentimenti migliori per lasciare invece emergere la meschinità dell’egoismo che è diretta conseguenza dell’ingiustizia sociale. Spesso vecchiaia e solitudine sono viste come facce della stessa medaglia. Emblematico in questo senso il racconto Signora in autobus, dove un iniziale tentativo di contatto umano naufraga impietosamente abbandonando l’anziana signora «come un fantoccio dalle cerniere allentate».
La terza raccolta Una strana serata riprende le situazioni, le tematiche e le contrapposizioni delle prime due, introducendo però con maggiore decisione il tema della fuga dalla realtà nel tentativo di approdare a una dimensione “altra” ancora da scoprire, nella quale cercare risposte anche quando possono sembrare inquietanti. E l’inquietudine è rappresentata da uno sconfinamento in un mondo fantastico nel quale ci si deve destreggiare accettando come possibile e verosimile anche ciò che appare più strano. La prima novella, che dà il titolo alla raccolta, si distingue anche per la sua maggiore lunghezza, quasi che sia alla ricerca di un respiro più ampio per introdurre il lettore, attraverso questa nuova dimensione di tipo maggiormente fantastico, su un percorso che contempli anche il sogno, la fantasia, l’immaginario come strumenti per svincolarsi da una realtà impietosa. Per cui nelle novelle successive si introduce il rapporto tra i vivi e i morti, quello con antenati mai conosciuti dei quali si prova a ricostruire un’esistenza contemporaneamente verosimile e fantasiosa, la possibilità di una vita in una nuova casa che è edificata solo dalla fantasia. Anche l’attenzione per le figure femminili assume in questa terza raccolta connotati diversi, più maturi forse, più attenti all’aspetto, all’espressione del viso e degli occhi. Il passare del tempo e i cambiamenti che apporta nelle persone attraggono costantemente l’attenzione dello scrittore; emblematico il racconto Il cappello nuovo dove questo trascorrere impietoso del tempo è visto attraverso lo sviluppo e il cambiamento di un rapporto padre-figlia.
L’ultima sezione di questa raccolta comprende novelle composte in un ampio arco di tempo che va dal 1920 al 1953, caratterizzate dal non essere mai state raccolte in volume prima (tranne Quelli del padiglione che fu compresa in una raccolta in volume pubblicata nel 1964). È chiaro che sarà facile per chi legge ritrovare motivi e ricerche di stile già viste nei racconti delle tre raccolte precedenti, ma contestualizzando ogni novella nel suo periodo di composizione, possiamo aggiungere o approfondire considerazioni già fatte e conoscere maggiormente il percorso che guida l’autore nel districare le proprie emozioni.
Le indicazioni che forniscono i curatori sono determinanti per chi volesse approfondire la conoscenza dell’autore al di là della sempre piacevole semplice lettura, ed inquadrare al meglio questa produzione novellistica di Betti all’interno delle tendenze predominanti della cultura novecentesca. Ed emerge sicuramente la posizione non trascurabile dell’autore, all’interno di questa cultura, rafforzata dalla complessità della sua scrittura e dal sapere coniugare i generi affrontati, dal fiabesco al fantastico, dal realistico allo psicologico.
Non possiamo trascurare le profonde implicazioni che scaturiscono da descrizioni sempre pungenti di disagio sociale, delle difficoltà emotive generate dalla miseria, che lasciano intravedere, a tratti e quasi mai con lucidità, un tentativo di cammino verso l’emancipazione se non verso l’utopia, attraverso il mito. Sempre sommesse e caute appaiono le sue voci e le sue parole, ma sempre in grado di trasmettere intensità e calore. I suoi personaggi semplici e umili assumono quindi un rilievo esemplare per mezzo di uno stile assolutamente moderno che riesce ad alternare nella maniera migliore luci e penombre attraverso le quali intravedere il mondo più segreto e nascosto di chi popolava le strade e gli ambienti del suo tempo.
Si è detto del sostanziale oblio che ha colpito dopo la sua morte l’opera di Betti (e, in particolare, la sua opera narrativa); vorrei invece concludere riportando una riflessione di Renzo Pezzani (in Cronache dei libri: Prosa e poesia di Betti, “La Voce di Mantova” 1 marzo 1934):
«Questa sua prosa è stata incolpata di pessimismo e di nordismo, s’è voluto vedere il pessimismo in quella sua crudeltà nel guardare miserie e piaghe senza che una parola di consolazione affiori mai a temperare il disgusto della vicenda narrata o della figura introdotta. Questo non è che un semplice scrupolo borghese e il nordismo di cui si vuol trovare qui grave traccia, non è a ben guardare, che l’universalismo, e perciò l’aspetto più importante dell’arte bettiana. Importante è che con queste brevi prose il Betti sia riuscito a darci pagine che resteranno nella nostra letteratura vivo specchio di tempi e di passioni.»
C’è da aggiungere che l’eventuale “nordismo”, cioè una possibile influenza su Betti della letteratura nordica (scandinava) del periodo, non possiamo certo oggi considerarlo un difetto, ma al contrario la prova e l’espressione della capacità di Betti di operare una sana ricerca culturale su più fronti e provare a giungere a risultati più ampi e con prospettive culturali più complete.
Sinossi a cura di Paolo Alberti
Dall’incipit del libro:
Nei mercati, quando arrivava col suo cavallo rosso, lo chiamavano il Re, che era stato anche il nome di suo padre, famoso per l’orgoglio. Comprava fino a dodici cavalli e poi, compera e vendi, rimastagli franca una pariglia, tornava sul calesse a tre giri, con uno schiocco di frusta che faceva affacciare la gente. Sua moglie, tutta illuminata, faceva: – Eccolo!
Certe sere, seduto nel mezzo del cortile sotto una pianta di serene, messa dai vecchi, guardava intorno la casa, con l’osteria ch’era un porto di mare, e gli pareva di essere proprio come un re nel mezzo d’una reggia. Le figlie sue tre fiori, il maschio una torre; contentezza, rispetto. Quando lui raccontava le furberie, i guadagni, la moglie rideva, tutta inorgoglita; diceva: – Con te non ce la possono! – La casa dormiva ancora, alla prima luce dell’alba, e già le pianelle della padrona, come quelle d’una fata, erano deste. Un’occhiata alla stadera, una mano alla soneria, un’avvertenza alla figliola, lei era come il fuoco della casa.
Una sera, dopo una giornata di festa e di chiasso, il Re, passando dall’androne, trova la donna, al buio, sola, appoggiata al muro.
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