Il fischio del treno
di
Paola Parlato
tempo di lettura: 10 minuti
Quel giorno la professoressa aveva letto in classe “Il treno ha fischiato”, una novella di Pirandello che si concludeva con un incredibile finale a sorpresa. L’aveva colpita quella novella, forse perché l’inaspettata svolta nella vita del ragioniere Belluca le era sembrata un segnale di speranza, la possibilità che sofferenza e rassegnazione possano essere cancellate, che la vita possa talvolta svoltare inaspettatamente verso il bene.
Quattordici anni, aveva poco più di quattordici anni Claudia. Una ragazzina seria, dolce e triste. Poche amiche care e fidate, ma non abbastanza da conoscere i suoi segreti, il segreto di quello sguardo mai allegro, mai davvero sereno. Ma come raccontare a quelle ragazze spensierate e felici la sua solitudine, la paura che la accompagnava da sempre. Le case delle sue amiche erano leggere e allegre come loro, come i litigi e le caciare quotidiane di sorelle e fratelli, le gite in campagna nei fine settimana di bel tempo, le estati al mare e le baruffe affettuose di genitori innamorati. O almeno così appariva a Claudia la vita delle altre.
La sua invece era del tutto diversa. Il rapporto fra Brigida e Antonio, i suoi genitori, era a dir poco burrascoso e con il tempo l’alcol e i tradimenti avevano fatto il resto. Ogni traccia di amore sembrava svanita e ad ogni litigio l’astio reciproco sembrava più forte. Minacce, urla, sarcasmo, violenza fisica e verbale.
Claudia viveva nel terrore di quella violenza e al tempo stesso le sembrava impossibile immaginare la sua famiglia divisa. C’era stato un tempo in cui i suoi genitori sembravano amarsi, si parlavano con calma, si sorridevano e la domenica mattina la portavano al parco e lei a quel tempo neanche lo capiva quanto era fortunata!
Brigida era infermiera all’ospedale e da quando Antonio aveva perso il suo lavoro era lei a mandare avanti la famiglia con il suo stipendio; da quel momento suo marito si era depresso, aveva cominciato a bere ed era diventato sempre più aggressivo. Non gli importava dei vicini che quasi ogni giorno sopportavano il trambusto della sua ubriachezza, non gli importava di sua moglie che aveva sul viso due profonde rughe piene di dolore e soprattutto sembrava non gli importasse più nulla di quella bambina smarrita e dolente per la quale un tempo aveva inventato bellissimi giochi.
Nel tempo che passava a casa Claudia era sempre tesa, quando tutto era calmo sembrava aspettare con trepidazione i segnali di una nuova tempesta. Ormai i suoi genitori sembravano non preoccuparsi più della sua presenza durante i loro litigi, si comportavano come se neppure la vedessero. Eppure Claudia quando non era a casa e sua madre non era di turno al lavoro aveva ancora più paura, le sembrava che quella orribile situazione sfuggisse ancora di più al suo controllo. Come avrebbe voluto godersi le amiche, le chiacchiere, le passeggiate, i suoi successi scolastici di cui sembrava non importasse più niente a nessuno.
Però stava accadendo un fatto strano: nonostante le preoccupazioni e la tristezza Claudia in quel periodo si ritrovava sempre più spesso a sognare, a fantasticare su un futuro diverso, un futuro tutto suo in cui si vedeva come una giovane donna carina e sicura di sé, una studentessa delle superiori stimata dagli insegnanti e dai numerosi amici. E senza volere ogni volta si ritrovava a inserire nelle sue fantasie quel ragazzo dai ricci bruni che aveva sorpreso più volte a guardarla nel cortile della scuola. Appena si accorgeva di essere visto distoglieva lo sguardo e abbassava la testa e così Claudia si convinceva di essersi inventata tutto.
Una mattina però era successo un fatto nuovo, sorprendente. Andrea Letini – così aveva scoperto si chiamava – senza una ragione, senza un pretesto le aveva sorriso, le aveva regalato un sorriso dolce e schietto accompagnato dal “ciao” più dolce del mondo.
Qualche giorno dopo Claudia si svegliò più presto del solito e spalancò la finestra della sua camera. Il sole non si era ancora alzato, ma il cielo era colorato di quel tenero azzurro che solo il mese di maggio regala. Aveva fretta quel giorno, fretta di uscire, di respirare l’aria fresca del mattino, di parlare con le sue amiche, di ricambiare un sorriso dolce ad Andrea.
Fece colazione in fretta, una doccia veloce, la scelta di un golfino leggero e colorato, una spazzolata ai suoi ricci ribelli e via, fuori di casa con lo zaino in spalla e i passi più veloci del solito.
Quasi con paura si impose di pensare ai suoi genitori, ai loro volti pieni di rancore e di tristezza, alle parole taglienti che si rivolgevano… ma che stava succedendo? La paura, il magone che la accompagnava silenzioso sembravano essersi dileguati, il cielo era limpido, il viola leggero del glicine aveva creato una lunga pennellata sul muro della scuola e il suo profumo mozzava il respiro. E poi c’era Andrea con il suo sorriso bellissimo che ogni volta le faceva battere il cuore, c’erano pronte da qualche parte nuove avventure, nuove emozioni. Un treno che per nulla al mondo ora avrebbe voluto perdere.
Fine.
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