Il ciliegio di nonno Ravi

di
Valeria Alinovi

tempo di lettura: 30 minuti


Le nere ali della notte sono calate sopra boschi e colline.

Ma una luna, alta in cielo e piena come una forma di cacio illumina i passi di due figurette, Kirtan e sua sorella Nilù, in cammino sin dalle prime luci dell’alba.

Il sentiero, stretto ai lati da mucchi di neve sembra non finire mai agli occhi dei bambini stremati dalla fame, dal freddo e dall’incertezza.

All’improvviso, dalla boscaglia, un cerbiatto. “Aahh!” grida Nilù, sorpresa; Kirtan le fa segno di tacere, per non spaventare l’animale. Immobili sotto il chiaro di luna, cucciolo e bambini si osservano, attenti e pensierosi. Un attimo, e il cerbiatto si dilegua fra i cespugli imbiancati.

Cammina cammina, quando Kirtan intravede nell’oscurità una luce tremolante che va loro incontro e si dilata come in cerchi d’acqua. “Nilù, siamo salvi!” esulta il ragazzo, e un frullar d’ali e di foglie riecheggia nella vallata. Ma la piccola Nilù non riesce a gioire: ha freddo e la pancia vuota fa sempre più male. Kirtan la prende a cavalluccio sulle spalle, cerca di affrettare il passo: spera tanto che quella luce, e altre che si cominciano a scorgere appartengano al villaggio di Samir.

Qualche tempo prima nonno Ravi, chiamato in disparte Kirtan gli aveva confidato: “Figlio mio, ho il cuore che fa i capricci e mi costringe a riposo per qualche tempo. Tu e Nilù dovrete raggiungere al più presto il villaggio del mio amico Samir, – ti ricordi? – ti ho portato con me qualche volta…”.

“Certo, nonno: Samir il fabbro”.

“Lui e la moglie non hanno figli, occuparsi di voi li renderà felici!”.

“Ma nonno, perché vuoi mandarci via?”

“No, figlio mio, che dici? Tu e Nilù siete la mia vita! Appena starò meglio verrò a riprendervi”.

Il nonno cercava di mostrarsi sereno, ma Kirtan sentiva la tristezza che l’opprimeva. Provò a insistere: “Insieme ce l’abbiamo sempre fatta. Ora sono grande e posso aiutarti!”.

“Devi pensare alla tua sorellina, e a te stesso, e non puoi badare anche a me. Non puoi fare tutto da solo, ragazzo mio…”.

Kirtan piegò il capo, obbediente.

Arrivò il giorno del viaggio. Affidate al nipote dieci monete d’oro – i risparmi di una vita – il vecchio Ravi s’era stretto forte al cuore i bambini, e dopo un ultimo bacio li aveva incoraggiati ad andare.

Ora Kirtan avanzando nella neve pensa e ripensa al nonno che li ha cresciuti, a quando Nilù cadde malata e occorrevano tanti soldi per curarla. Nonno Ravi non esitò a vendere casa e giardino, l’adorato giardino che tutti, in paese, ammiravano, specialmente per il ciliegio, sempre in fiore.

Un magnifico albero dal tronco eretto, la corteccia rosso-bruna, le grandi foglie ovali di un bel verde lucente, seghettate in punta, che tutto l’anno regalava a Kirtan e sua sorella scorpacciate di ciliegie, ora mangiate spiluccando direttamente a cavalcioni sull’albero, ora col nonno all’ombra della sua chioma, ora in forma di squisite marmellate e torte preparate dalla vicina, cuoca davvero speciale. E che dire del gelato di ciliegia, in estate, con la crema alla vainiglia?

Nel cuore dell’autunno, poi, quando ogni creatura si prepara al riposo per il freddo ormai alle porte, il ciliegio di nonno Ravi sorprendeva con un’esplosione di fioritura bianca, abbagliante sotto i raggi del pur tiepido sole, e di un rosa delicato nei petali più vicini al gambo. I fiori del ciliegio formavano un magico, profumato ombrello sotto il quale la piccola Nilù, tenendosi forte alle corde dell’altalena che il nonno aveva assicurato al ramo più robusto, non smetteva di dondolarsi fin quasi a volare.

Col ricavato della vendita Nilù fu curata a dovere, e ben presto si riprese. La casa in cui si trasferirono era molto piccola, senza nemmeno un fazzoletto di terra, ma che vale un giardino, canticchiava il nonno improvvisando canzoni, di fronte al sorriso di Nilù, le sue braccine intorno al collo?!

Arranca nella neve, adesso, Kirtan, e ingoia le lacrime che gli montano dal cuore, gli offuscano la vista, e si stringe intorno al viso le gambine gelate di Nilù per dare coraggio a se stesso e a lei.

Finalmente, ecco apparire l’insegna illuminata di una casupola: “Alla locanda di Mandab”. Kirtan fa scendere Nilù, la prende per mano, indugia un poco davanti alla porta. Poi si fa coraggio, e apre.

Una nube color cenere lo investe; sa di tabacco e carne arrostita: fa paura, ma anche rende più aguzzi i denti della fame! Oltre l’uscio non si vede quasi nulla, per il fumo denso che soffoca l’interno, eppure Kirtan sente gli spilli di cento occhi puntati addosso a lui e sua sorella.

“Vuoi farci morire di freddo? – sbraita una voce dal fondo – Chiudi quella maledetta porta e vieni avanti, straniero! Che mi venga un colpo!!!”.

Kirtan esegue l’ordine. Nilù, attaccata al fratello, nasconde dietro di lui la bella testolina, le trecce nere sfatte dal lungo viaggio.

“Forse lo straniero viene dall’inferno – osserva un’altra voce – lì fa tanto caldo! Io lo so perché ci sono stato, ah ah ah!!!…” sghignazza la voce.

Qualcuno viene avanti con una candela alzata – è una donna, alta e grossa – squadra i visitatori dalla testa ai piedi “Ma sono due pulcini!”, esclama, e scoppia a ridere.

Il chiarore della candela permette a Kirtàn di guardarsi intorno: da un architrave del soffitto pendono formaggi e salumi… che tortura non poterli tirar giù e addentare!, e un ceppo brucia nel camino, più avanti, consumato da lingue di fuoco. Accanto al camino, un tavolo: la donna fa segno ai due di sedersi là, e s’allontana con la sua candela.

La locanda precipita di nuovo nel buio, ma Kirtan è riuscito a intuire la presenza di molti uomini, e nello sguardo che si va abituando alla penombra immagina che quel locale stretto e lungo possa davvero finire nella bocca dell’inferno.

Il tavolo a cui sono seduti ha una gamba mezza bruciata, una pila di mattoni sostiene il moncherino, ma è di buona fattura, ora il ragazzo lo distingue chiaramente. Il piano, a grana fitta come di legno raro, tutto graffiato, scopre nei solchi più profondi un bel giallo-arancione: forse è ciliegio, pensa Kirtan, e si sente rincuorato, un po’ come se nonno Ravi fosse lì.

Un sibilo, dall’oscurità e un coltello va a conficcarsi dritto nel cuore del tavolo.

La lama oscilla nel legno, sotto lo sguardo impietrito dei bambini. Fa male.

Torna il donnone e tira via con uno scatto il coltello, “Se portate cattive notizie – minaccia – potremmo arrabbiarci. E parecchio! Allora: cosa raccontate, pulcini? Da dove venite, dove state andando?”

“Signora, mia sorella ed io siamo stanchi e affamati: vuol essere così gentile da portarci da mangiare, prima?”: per quanto temerario, non Kirtan aveva osato pronunciare quelle parole, ma la sua pancia vuota.

“Pooooveri pulciiiiini! – bambineggia la donna – Ora vi porto la minestra!”.

“Molte grazie, signora”.

“Ah, nessuno mi ha mai chiamato così!… – sospira gongolante la donna, scomparendo nel buio.

“…sarà perché non sei una signora?”, fa una voce stridula, ed esplode una risata.

“RAGAZZO!?!” chiama a un tratto l’ombra che aveva parlato per prima.

“Sì, signore?”

“Sai giocare ai dadi?”

“No, signore”

“Imparerai in fretta!”.

La donna arriva con due ciotole fumanti: neanche il tempo di posarle, che i bambini ci affondano dentro.

“Una bella fame!”, osserva qualcuno, gorgogliando una risata.

“Donna!, porta altra minestra ai nostri ospiti!” ordina la voce lontana. E riprende: “Come dicevo, ragazzo, tireremo ai dadi”.

“Sono davvero spiacente, signore – fa Kirtan a bocca piena e senza smettere di mandar giù la zuppa – Si è fatto tardi, dobbiamo raggiungere il nonno”.

“Come osi contraddirmi?!”, tuona la voce.

Kirtan e Nilù si bloccano di colpo; il cucchiaio scivola nella minestra.

Poi, lentamente, un tacchettio di stivali che avanza verso i bambini.

Dalle tenebre emerge una specie di orso, un omone in pelliccia, barba e capelli lunghi. Occhi stretti come feritoie nella pietra.

“Io sono Mandab: il padrone, qui!” fa l’uomo, e sbatte il pugno sul tavolo così forte che d’un balzo le ciotole finiscono a terra, e per aria i mattoni sotto la gamba bruciata.

Prontamente la donna rimette a posto. “Sembra che voi due non lo abbiate capito” fa Mandab , e allungato il collo sui poveri bambini, gli punta addosso occhi grandi come ruote di mulino, soffiando aria infuocata da un nasone violaceo e spugnoso.

“Non ti arrabbiare, Mandab! – prega la donna – Sono solo due sciocchi piccoletti…”.

“Quanto denaro hai, ragazzo?” chiede Mandab.

Un attimo, e alla parola “denaro”, ecco dall’oscurità emergere una piccola folla di briganti; avanzano verso il centro della scena, si strattonano l’uno contro l’altro per guadagnare posizione: chi gli penzola un sigaro dalle labbra, chi ha un occhio coperto da una benda nera con un piccolo teschio, chi una barba che gli arriva all’ombelico e chi barcolla per la troppa acquavite…

“Noi… noi veramente siamo poveri”, mormora Kirtan.

“Frugateli!” ordina Mandab, ma prima che una pericolosa perquisizione arrivi alle dieci monete “Abbiamo solo questi!”, urla Kirtan scattando in piedi, e cavati dalla tasca tre soldi d’oro li posa sul tavolo.

“Ooohhhh!!!!” esclamano tutti insieme i briganti, a bocca aperta. Mandab, immobile, fissa le monete, che sembrano dover prendere fuoco da un momento all’altro.

“Ma.. ma… ci… – farfuglia Kirtan – ci servono per raggiungere il nonno”.

“Stammi bene a sentire, ragazzo bugiardo: il nonno aspetterà! Queste monete, vedi, le giocheremo ai dadi. Lo so che non hai mai tirato, ma siccome sono buono, voglio farti il gioco semplice: useremo solo due dadi, li tiriamo a turno tre volte, quante sono le tue monete. Per ogni tiro, vince il numero più alto”.

– Ma…

– Non c’è “ma”, ragazzo! – Sibila Mandab, gli occhi di nuovo
stretti come due tagli.

– … Voi, signore… posso chiedere qual è la vostra posta? – e già Kirtan si è pentito di ciò che ha detto ma si sa, le parole non possono tornare indietro, una volta pronunciate! Nilù, terrorizzata, si copre gli occhi con le mani. Mandab, invece, ride divertito: – Vuoi proprio farmi perdere la pazienza, eh, pulcino? Tira. Adesso, tira!

Con mani tremanti Kirtan scuote i dadi e poi lancia: 4+3.

– 7. Bravo, ragazzo!

E’ il turno di Mandab: 5+5.

– Mi dispiace – mormora l’uomo, e agguanta una moneta.

E’ la volta di Kirtan. – Ho fatto 9! – esulta.

Mandab lancia i dadi, ma prima ancora che cadano sul tavolo “6 e 6 fanno 12, soldino a me!” ghigna l’omaccio, e allunga la mano pelosa sulla seconda moneta.

Ultimo tiro per Kirtan. Nilù, a mani giunte sotto il tavolo, prega per suo fratello.

Il ragazzo stringe i dadi in un sol pugno, ci soffia sopra, trattiene il respiro, poi di scatto si alza per lanciare, il gesto improvviso gli fa perdere un poco l’equilibrio e le sette monete ancora in tasca tintinnano rovinosamente a terra, ad una ad una.

Allora tutto si ferma, alla locanda: i respiri e persino il tempo. Ma non gli occhi di Mandab, no: quelli guizzano qua e là nella conta del tesoro, ai suoi piedi.

“Ragazzo bugiardo, ben dieci le tue monete! Raccoglile!!!”.

Rosso di rabbia, Kirtan s’inginocchia sul pavimento, comincia a raccogliere.

Mandab sfodera un coltello, Nilù se n’è accorta: “Nooooo!!!!!!!” urla terrorizzata, e d’istinto si getta sul fratello per coprirlo.

Il capo dei briganti scoppia in una fragorosa risata. “Ma cosa credi, bambina? Non farò proprio nulla al tuo bugiardo fratellino! Il coltello è per tagliare un bel pezzo di carne: sai com’è, la vista dell’oro mi mette fame… Ah ah ah!!!! Donna, provvedi subito! Vedi, piccola – prosegue il padrone della locanda – sono così generoso che darò a tuo fratello un’altra possibilità. Anzi, sette: sette tirate di dadi! Dopo di che sparirete dalla mia vista: chiaro?

– Sì… –

– Non ho sentito! –

– Sissignore – scandisce Kirtan, sopraffatto. E rivolto lo sguardo alla sorellina, le chiede in silenzio perdono per non averla saputo difendere. Ma Nilù sa che il fratello ha fatto sempre di tutto per proteggerla, e il suo cuore ha come una stretta, il respiro le si spezza in gola. I suoi occhi, i begli occhi neri neri si velano di pianto e una lacrima, una lucente lacrima sfuggita dalle lunghe ciglia scivola sulla guancia, indugia un istante sulla fossetta del mento, cade sul tavolo. : il legno, è ora lambito dalla lacrima di una bambina, la nipotina di Ravi.

Il calore della lacrima risveglia quel legno ferito, unto, bruciato; la vita riprende a scorrere dentro il vecchio ciliegio assopito: ma sì, è proprio il ciliegio del giardino di nonno Ravi!

Ed ecco, inizia una segreta danza per far vincere Kirtan: il ciliegio dondola sotto il tiro del ragazzo perché i dadi, benché truccati dai briganti, diano ogni volta una somma superiore a quella di Mandab. E più Mandab perde più si accanisce a tirare, e più ancora balla il tavolo, col resto della gamba salvata dal camino.

“Che diavoleria è questa? – schiuma di rabbia l’omaccio – Diamo una lezione al bugiardo!!!” e già Mandab sta per scagliarsi addosso a Kirtan quando il tavolo fa una specie d’inchino, indietreggia di due, tre passi, prende la rincorsa e woom!, un gran calcio lo catapulta dall’altra parte del locale!

Gli altri legni, sottoposti per anni a maltrattamenti d’ogni tipo, ormai hanno preso coraggio anche loro, e scossi da un vento di rivolta si sollevano da terra, giù in picchiata addosso a Mandab e i suoi!

“Ahi, ahi!!! Aiuto! Sono stregoni! Sono stregoni scappiamo!!!” urlano i briganti per la paura e le legnate, sgomitando e inciampando l’uno sull’altro, a capitomboli nella ritirata frenetica.

Tutto è calmo, ora, nella locanda.

Dalla porta spalancata, il fumo nella locanda è scivolato via.

Una brezza fresca, profumata di timo annuncia il nuovo giorno.

I bambini escono nella neve. Il cielo verde e rosa di un’aurora appena sbocciata accarezza Kirtan e Nilù, fermi a guardarlo, grati.

È la carezza di nonno Ravi: sembra che un fiore di ciliegio, soffiato dal vento, lo abbia raggiunto per raccontargli ogni cosa.

Fine.


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