Il crepuscolo degli dei, pubblicato nel 1915, chiude la cosiddetta trilogia ‘dannunziana’ di Angeli, che, come abbiamo scritto altrove, di dannunziano ha ben poco. Nel primo volume, L’orda d’oro (1906) ambientato intorno alla fine degli anni 80 dell’’800, l’autore si era soffermato a raccontare di una Roma brillante e cosmopolita invasa da stranieri.

Tuttavia non si tratta più dei raffinati e colti viaggiatori del Grand Tour, ma di “principi slavi, discesi dalle loro steppe e spinti a traverso l’Europa, come da una avidità di godimento e di lusso.” Sono i barbari dell’orda d’oro, principi slavi ma anche americane e americani in cerca di avventure.

Nel secondo volume della trilogia, Centocelle (1908), ambientato a cavallo tra ‘800 e ‘900, l’accento è sulla mutazione che l’Urbe sta subendo nell’essere diventata capitale del regno d’Italia e su tutte le conseguenze, tra le quali l’apparire di un ceto medio fino ad allora ignorato ma soprattutto la forzata accettazione da parte dell’aristocrazia ‘nera’ di un potere diverso, per una diversa organizzazione della società.

Per capire in che periodo si svolge Il crepuscolo degli dei, come è stato necessario fare per gli altri due volumi, anche questa volta si cercano indizi. Tra questi forse è un po’ vaga l’indicazione di una rappresentazione de La marcia nuziale tenutasi al Teatro Goldoni di Venezia con l’attrice Emma Gramatica, la quale fu protagonista del dramma di Henry Bataille per circa tre anni a ridosso del 1910; aiuta ancora meno il ricordo dello storico Caffè Latour che fu attivo tra il 1883 e il 1935 al piano terra di Palazzo Colonna a Roma. Invece indizio chiarissimo è la citazione dell’opera Serpi d’acqua (meglio conosciuta come Bisce d’acqua) di Gustav Klimt che fu esposta nel Padiglione austriaco alla Biennale di Venezia del 1910.

L’azione del romanzo di Angeli si apre a Venezia e si conclude a Roma. L’autore non osserva più la scena generale, gli aristocratici, le folle dei cittadini, gli avvenimenti che li animano, i luoghi della città, i luoghi dello svago comune. Angeli si munisce di una lente d’ingrandimento: sotto osservazione è la vicenda di Lavinia Conti, principessa di Vescovìo, sorella di Lionello D’Este, della nobile famiglia direttamente proprietaria, nella finzione letteraria, della meravigliosa Villa d’Este a Tivoli. La Villa era stata creata per desiderio del cardinale Ippolito d’Este (1509 – 1572), figlio di Alfonso I e di Lucrezia Borgia, e alla data di pubblicazione del volume di Angeli ne era in realtà proprietario l’arciduca Francesco Ferdinando d’Asburgo-Este, l’erede al trono dell’Impero austro-ungarico, che sarebbe stato a breve assassinato a Sarajevo il 28 giugno 1914. Gli Este rappresentano una famiglia di altissimo rango. Sono gli ‘dei’ del titolo dell’opera e solo la loro caduta e la «tabula rasa» della società da loro rappresentata sarà l’unico modo per ricominciare da capo:

«per vivere la propria vita bisognava avere il coraggio di tutto distruggere per tutto riedificare.»

A questa prova di coraggio viene sottoposta Lavinia, moglie sfortunatissima, figlia sacrificata dal padre ai suoi interessi, sorella accudita ma forse non completamente compresa dal gentile ma non abbastanza saggio fratello Lionello.

Lo studioso Luigi Varchi, bella figura di intellettuale, commenta amaramente:

«Oggi voi avete dato alle donne tutte le libertà, salvo quella di vivere secondo le loro tendenze, le loro aspirazioni, i loro bisogni. È con questo che per le necessità della vita i matrimoni divengono più rari. Allora…. Allora bisognerà bene che queste povere donne, un bel giorno, prendano nelle loro mani le redini di quel famoso ippogrifo di cui parlavamo poco fa, che in molti casi pur troppo è un povero ronzinante pieno di guidaleschi.»

Qui Angeli si riferisce alla figura dell’ippogrifo nell’Orlando furioso di Ariosto, che viene soggiogato da Bradamante.

La drammatica vicenda di Lavinia e Lionello, ultimi rampolli dell’avita casata, si concluderà sulle banchine della stazione ferroviaria di San Lorenzo, con le truppe pronte a partire per la guerra italo-turca (1911-1912):

«Siam pronti alla morte, / Italia chiamò!

E i suoi figli avevano risposto con un entusiasmo che nessuno avrebbe immaginato, come travolti da un’ebbrezza divina per quel risveglio di tutto un popolo che ritrovava nell’azione violenta la fiducia dei suoi destini e delle sue sorti!»

Volutamente non ci addentriamo nell’analisi del fatto, come altre volte e altrove purtroppo rilevato, che la guerra venisse considerata la soluzione di ogni problema, una fonte di rinascita e di riscatto.

Sinossi a cura di Claudia Pantanetti, Libera Biblioteca PG Terzi APS

Dall’incipit del libro:

— No, senti Vinia: quello che sono venuto a dirti è molto grave, mi annoia anche di dovertelo dire. Tu sai che io non mi voglio mai occupare di quello che è la tua vita intima e che ritengo necessario che ognuno abbia la sua vita. Ma questa volta…
— Questa volta?
Donna Lavinia Conti si era fermata in mezzo alla stanza interrompendo di accomodare i fiori che aveva portato con sè dalla passeggiata matutina, e guardava il fratello seduto sopra una poltrona bassa d’innanzi a lei. Dalla finestra aperta si vedeva il pinnacolo del campanile di San Giorgio, quasi disfatto dalla grande luce di quel meriggio di settembre.
— Questa volta credo di dovermene occupare per il bene tuo….
— Ti ringrazio della premura, — interruppe una seconda volta la sorella riprendendo il suo lavoro.
— E anche un poco per il decoro della famiglia.
Il giovane tacque un poco, aspettando forse una nuova interrogazione, ma ella tacque. Come prevedeva una insidia si chiuse in sè stessa per meglio essere pronta alla difesa, e celò la sua ansia nell’occupazione futile. Ora sceglieva dal fascio che aveva deposto sul piccolo tavolo in mezzo alla stanza, i crisantemi bianchi per comporne un mazzo da mettere in un vaso di Copenaghen, di un colore perlaceo. Lionello d’Este, con l’occhio fisso nel cielo veneziano, seguiva il fumo della sigaretta, quasi cercando le parole che avrebbe voluto non dire.

Scarica gratis: Il crepuscolo degli dei di Diego Angeli.