L’opera, inizialmente rifiutata dagli editori, fu infine pubblicata con il titolo Tess of the Urbervilles : A Pure Woman la prima volta a puntate, in una versione censurata, sul quotidiano illustrato “The Graphic” (XLIV, luglio-dicembre 1891); nello stesso anno uscì come opera in tre volumi e infine fu pubblicataancora nel 1892 in un unico volume.

Come indicato nella biografia dell’autore, qui su Liber Liber, Tess dei D’Urberville, se da un lato è considerato, insieme con Via dalla pazza folla (Far from the madding crowd), del 1874, il più alto livello della produzione letteraria di Hardy ed oggi uno dei romanzi più importanti del XIX secolo, dall’altro Tess, insieme con Giuda l’oscuro (Jude the Obscure) del 1895, segnarono il momento di maggiore critica da parte di una società vittoriana, ormai sul viale del tramonto, verso lo scrittore, verso i suoi temi popolari e i suoi attacchi alle convenzioni e alla morale corrente. Queste critiche lo spinsero, dopo Tess e Jude, a non scrivere più romanzi.

Tess dei D’Urberville è ambientato, come molte, quasi tutte, le opere di Hardy, nel nel mitico Wessex, uno dei regni anglosassoni precedenti all’unificazione dell’Inghilterra. Situato nel sud ovest, corrispondeall’incirca al Dorset, l’area prevalentemente rurale, nella quale Hardy era nato e dove visse gran parte della sua vita. Protagonista assoluta è Tess Durbeyfield. Scoprirete leggendo cosa c’entrano i D’Urberville. All’inizio del romanzo, ella è una ragazzina di sedici anni:

«Fasi della sua fanciullezza però si intravedevano ancora nel suo aspetto. Mentre oggi camminava in processione, malgrado il suo portamento pronunciato di donna, voi avreste talora potuto sorprendere i suoi dodici anni sulle guance, o i suoi nove anni che le brillavano negli occhi: e di tanto in tanto perfino i suoi cinque anni tornavano a far capolino di sopra alla curva della sua bocchina.»

Il deuteragonista, in questo splendido romanzo, è senza alcun dubbio il destino, il fato, che compare in scena fin dall’incipit e che continuamente mette alla prova la resistenza, l’innocenza, la generosità, l’ingenuità di Tess. Tutt’intorno alla vicenda di Tess, si svolgono “le opere e i giorni”: i lavori della campagna, duri ma necessari, creatori di sofferenze ma anche di amicizie e di amori, di periodi di massimo sforzo e della beata quiete del riposo; e l’alternarsi delle ore della giornata, delle notti oscure, delle albe brumose, dei mezzogiorni caldi e pieni di mosche, dei tramonti splendenti, delle stagioni, delle tradizioni, delle feste.

«Tess sapeva cogliere quel momento della sera, quando la luce e le tenebre si bilanciano così bene che il giorno e la notte sembrano neutralizzarsi lasciando un’assoluta libertà mentale.»

Pervadono il testo l’amore sconfinato di Hardy per la ‘sua’ campagna ed il suo altissimo senso morale e di giustizia che lo avvicinano al mondo delle persone più umili. Lo scrittore anche in questo romanzo denuncia le condizioni di vita dei contadini e delle contadine, di tuttə coloro che sono costrettə a lavorare ‘a padrone’, per le e i quali l’unica speranza è di avere un capo comprensivo, umano, in un momento storico in cui il progresso che avanza riduceva le masse rurali alla miseria.

«Ma, di tutta la compagnia, le più interessanti erano le donne, per quel fascino che esse acquistano quando diventano parte e sostanza della natura. Un contadino è una personalità in un campo; una contadina è una porzione del campo; essa perde in certo qual modo il suo contorno, assorbe l’essenza di quanto la circonda e vi si assimila.»

Ma gli elementi che più urtarono la morale vittoriana dell’epoca non sono questi, di carattere sociale, ma i temi più legati ai rapporti amorosi e alla sessualità, indubbiamente presenti in Tess dei D’Urberville. Il romanzo è stato tacciato di pessimismo e di immoralità dalla critica e dal pubblico più conservatore dell’epoca, cosa che forse ne ritardò anche la diffusione all’estero, ma l’intento di Hardy era indubbiamente quello di mostrare uno stato sociale che impediva in ogni modo, anche agli animi più puri ed innocenti, come quello di Tess, di migliorarsi, di crearsi un futuro più roseo o anche solo sopportabile. Ogni tentativo veniva inesorabilmente punito dal destino.

La denuncia di Hardy non è uno sterile ritratto di un’epoca; vuole essere piuttosto un incoraggiamento a che qualcosa di positivo debba e possa accadere all’interno della società. Hardy avvertiva però che la soluzione non poteva venire dalla religione, pronta a dettare regole su ogni aspetto della vita di relazione, regole che condizionavano la vita delle persone e ne provocavano l’infelicità.

«Tess continuò dunque per la strada d’ond’era venuta, senza sapere che la più grande sciagura della sua vita erano questi femminili scoraggiamenti nei momenti critici.»

È esattamente il concetto espresso circa 60 anni dopo da Natalia Ginzburg nel famoso articolo del 1948 sulla rivista “Mercurio”:

«Le donne hanno la cattiva abitudine di cascare ogni tanto in un pozzo, di lasciarsi prendere da una tremenda malinconia e affogarci dentro, e annaspare per tornare a galla: questo è il vero guaio delle donne.»

La traduzione, che nel testo del 1904 usato per questa edizione Liber Liber compare anonima, è molto probabilmente di Mario Borsa (https://liberliber.it/autori/autori-b/mario-borsa/), attenendosi a quanto dichiarato da Maria Alessandra De Nicola nella sua tesi di dottorato (https://dspace.unitus.it/handle/2067/2410?&locale=it), sostenuta presso l’Università della Tuscia nel 2012. Questo lavoro è forse ad oggi il più articolato e approfondito su Borsa. Le notizie sulle traduzioni del giornalista, molte delle quali apparvero anonime, sono frutto di attento esame di quotidiani e riviste che pubblicavano articoli di Borsa ed anche sue “rivendicazioni” su traduzioni che da giovane aveva pubblicato anonime. Volutamente non vogliamo raccontare la trama del romanzo e le circostanze esterne e o i fatti di cronaca che ispirarono lo scrittore.

Il romanzo, straordinario e che assolutamente va letto e riletto e scoperto capitolo dopo capitolo, frase dopo frase, in un continuo crescendo, racchiude anche pagine intensamente poetiche. E non si pensi di avere sotto gli occhi una semplice storia d’amore. Il libro è molto ma molto di più. L’opera è modernissima e la traduzione di Borsa, nonostante abbia ben più di un secolo, nulla toglie al testo originale.

Sinossi a cura di Claudia Pantanetti, Libera Biblioteca PG Terzi APS

Dall’incipit del libro:

Una sera, sul finire di maggio, un uomo di mezz’età tornava a casa a piedi da Shaston al villaggio di Marlott, nella vicina valle di Blakmore o Blackmoor che dir si voglia. Le due gambe che alla meglio lo sostenevano non erano molto salde e avevano una curiosa andatura, sicchè pareva lo portassero sempre a sinistra. Sul braccio teneva infilato un paniere vuoto; in testa aveva un cappello sgualcito, specialmente davanti, dove soleva prenderlo per levarselo quando salutava. Così andando, s’incontrò in un curato piuttosto vecchio, che montava una cavalla grigia e canticchiava un’aria fra i denti.
— Buona sera! disse l’uomo del paniere.
— Buona sera, sir John! fece il curato.
Il viandante, dopo aver fatto due o tre altri passi, si fermò e si volse.
— Con vostra licenza… l’ultimo giorno di mercato c’incontrammo per strada presso a poco di quest’ora, ed io vi dissi Buona sera! e voi mi rispondeste Buona sera, sir John! come ora…
— Verissimo! disse il curato.
— E un’altra volta anche prima… un mese fa…
— Può darsi!
— Orbene, perchè mò mi dovreste voi chiamare sir John, quando io sono semplicemente Jack Durbeyfield, il sensale?

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