Pier Ambrogio Curti fu tante cose nella sua vita, oltre che patriota durante le cinque giornate di Milano e studente di teologia: fu avvocato, appassionato di archeologia, letterato e studioso della letteratura classica. Tutti questi aspetti si ritrovano in quest’opera, Pompei e le sue rovine, che lui, milanese, ha dedicato alla città di Pompei ed alla Campania Felix di cui era evidentemente innamorato.

L’opera si divide in tre volumi.

Nel secondo volume si parla inizialmente degli edifici di Pompei dedicati ai teatri: comico e tragico, ed è occasione per una lunga narrazione della storia del teatro in Roma. Curiosa è la notizia del ritrovamento in Pompei di una maschera atellana di Pulcinella. Si prosegue con la descrizione dell’anfiteatro, dedicato ai combattimenti di gladiatori, delle terme, delle scuole e delle Tabernæ, o per meglio dire negozi, e si conclude con una descrizione delle opere pittoriche e statuarie ritrovate in Pompei, ognuna di queste precedute come al solito da una lunga dissertazione sull’importanza di ciascuno di questi argomenti nella società romana.

Sinossi a cura di Claudio Paganelli

Dall’incipit del libro:

Gran parte della vita publica erano nell’orbe romano, massime al tempo de’ Cesari, i Teatri.
Quando si consideri che solo in questa, elegante sì, ma piccola città di Pompei vi fossero due teatri, il comico e il tragico ed un anfiteatro, tutti di tanta capacità, si può avere una prova abbastanza conveniente di questa asserzione, ed un’altra poi se ne avrà ancora nel fatto che non si fosse paghi di uno spettacolo solo al giorno, ma se ne volesse a tutte l’ore di esso, e s’egli è vero quel che taluni pretesero e che io ho pur riferito, che i Pompejani fossero stati sopraggiunti dal loro estremo disastro nell’anfiteatro, sappiamo allora che dovesse essere circa l’ora meridiana.
Non fu detto però a torto che il popolo non vivesse che di pane e di spettacoli, panem et circenses, e ognun s’avvede che qui sotto il generico nome di giuochi del circo s’abbiano ad intendere ben anco gli scenici ludi.
Una ragione più alta aveva contribuito a radicare profondamente nell’animo di tutti la passione e nelle consuetudini generali la frequenza de’ teatrali spettacoli, ‒ la religione: ‒ perocchè rimontandosene alle origini si trovi, per testimonianza di Tito Livio, che nella epidemia, onde fu Roma afflitta nel 390 di sua fondazione, la collera celeste serbandosi inesorabile alle continue supplicazioni, si fosse ricorso alle sceniche rappresentazioni, in cui attori erano commedianti etruschi, detti nella loro lingua istrioni, i quali trattavano artifiziosamente a suon di flauto e gestendo senza parole.

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