Scritto in stile colloquiale e con intenti divulgativi, l’agile libro di Ferrero descrive le figure femminili che hanno dominato il secolo che va dalla morte di Cesare alla morte di Nerone: Livia e Giulia (moglie e figlia di Augusto), Agrippina maggiore, nipote di Augusto e madre di Caligola, Agrippina minore, sua figlia e madre di Nerone, e Messalina, moglie di Claudio.

Le fonti storiche sono le solite: Svetonio, Tacito, Plutarco, ma Ferrero non accetta il “romanzo a tinte forti”, come lo chiama lui, costruito dagli antichi storici, ed espone il suo punto di vista, frutto delle ricerche storiche di una vita. Incidentalmente, il suo racconto pone in una luce nuova, diversa da quella tramandata dalle fonti, anche le figure maschili più detestate di questo periodo storico: Caligola, Claudio e Nerone.

La prima edizione è del 1925, ed è facile immaginare a chi si riferisse l’autore nel concludere la prefazione:

«Intenda dunque questo piccolo libro chi può. Esso porta una testimonianza nuova di una verità semplice, alla quale i nostri tempi recalcitrano, appunto perchè ne avrebbero bisogno. Oggi non c’è villano rifatto della politica e degli affari, che non creda di possedere il genio innato del comando e la potenza creatrice dell’ordine; l’autorità sembra essere diventata l’Eldorado dei rivoluzionari di professione; e la disciplina è l’alibi grossolano della più scatenata prepotenza. Questo libro dimostra invece che il fondare un principio nuovo di autorità è un’impresa erculea, in cui neppur una classe antica al comando e piena di gloria riesce, se non ha il coraggio e l’abnegazione di sacrificarsi totalmente. Quando il potere è una cosa seria, chi lo esercita ne è la prima vittima; quando chi lo esercita lo sfrutta e lo gode, il potere allora è un’impostura.
La regola non falla mai. E questa storia delle donne dei Cesari è della regola una delle prove più tragiche.»

Sinossi a cura di Claudio Paganelli

Dall’incipit del libro:

«Molte cose, reputate illecite e sconvenienti presso i Greci», scrive Cornelio Nepote, «sono permesse dal nostro costume. C’è forse un Romano, il quale si vergogni di condurre la moglie ad un convito fuori di casa? La padrona di casa non apparisce in tutte le famiglie, nelle stanze anteriori, dove sono ammessi gli estranei? In Grecia, no. La donna non accetta inviti fuori del parentado, e sta ritirata nella parte interna della casa, quella che è detta il Gineceo, dove solo gli stretti congiunti hanno adito».
Questo passo, uno dei più importanti della mediocre operetta, che tormenta ancor oggi le prime scuole di latino, è uno spiraglio, attraverso il quale noi possiamo guardar nell’interno della casa greca e della casa romana; e vedere in che differivano. Roma fu, tra le società antiche, quella in cui, nelle alte classi almeno, la donna godè maggior libertà e autonomia, e più si eguagliò all’uomo, come una compagna incaricata di uffici diversi, invece di essergli sottoposta, come una schiava, destinata al suo piacere e al suo vantaggio. La dottrina, sino a trent’anni fa molto in voga, che i popoli guerrieri incatenano la donna alla casa, è smentita dalla storia di Roma. Se anche nella storia di Roma ci fu un tempo, in cui la donna era un’eterna pupilla, sottomessa all’autorità dell’uomo dalla culla al sepolcro, del marito se non del padre, del tutore se non del padre o del marito, quanto antico e remoto è questo tempo!

Scarica gratis: Le donne dei Cesari di Guglielmo Ferrero.