Nel racconto Lo specchio del futuro, un’anziana signora, un tempo regina della mondanità romana, elargisce i frutti della propria esperienza alla giovane donna che le è subentrata sul trono: è lei a fornirci la chiave di lettura del lapidario enunciato che dà il titolo al brano precedente ed all’intera raccolta, pubblicata da Sonzogno nel 1950 («Opere complete», 22), un anno prima della morte di Mariani:

«Peccato però che l’amore sia morto. Gli uomini del nostro tempo non si occupavan che di noi. Oggi pensan solo al denaro; lo cercan per comprar le belle figliole, ma per una notte e, dopo, le buttan via.» (Da Lo specchio del futuro)

Attraverso le sue parole Mariani vuole trasmetterci una visione negativa del proprio tempo, un tempo in cui il denaro è assurto a valore primario, mettendo in secondo piano anche i più nobili sentimenti e relegando perfino le donne al ruolo di oggetti di consumo, come testimonia uno dei personaggi affermando che la vita è «poter dire: quel gioiello in quella vetrina mi piace e lo compro, quella donna che passa mi piace e la compro.»

L’autore rievoca, quasi sempre in prima persona e con un uso prevalente del discorso diretto, vicende autobiografiche o raccontategli da amici, tutte comunque presentate come realmente accadute, con uno stile semplice ma non privo di vezzi, come gli arcaismi (“susurrare” o “imaginare”), l’uso di termini stranieri (anche se con qualche imprecisione) e le enumerazioni per asindeto senza punteggiatura (già presenti nelle liriche de Le girandole del sentimento) come «un pubblico colto raffinato elegante ricco» o «se talvolta sono stata gelosa invidiosa severa ingiusta».

I racconti, che vedono quasi sempre come protagonistici o comunque come narratori uomini, illustrano il modo in cui viene vissuto ai tempi di Mariani l’amore. Amore? In realtà, benché Dante con il suo celebre verso “Amor che a nullo amato amar perdona” ispiri il titolo di un racconto, l’unico in cui un uomo si innamori davvero (al punto da togliersi la vita perché non ricambiato), la distanza dal Poeta è siderale. Scorre davanti ai nostri occhi un mondo di maschi bramosi di possedere le donne, dal branco infoiato di paesani che spiano le bagnanti agli sfaccendati cittadini dell’alta società, definiti “vagabondi eleganti” («Nel mignolo della sinistra pareva palpitare con languori di crepuscolo un vecchio smeraldo incastonato in una deliziosa montatura fiorentina del cinquecento»), che, in gruppi rigorosamente di soli uomini, fra una vogata, un aperitivo, una cena a base di aragoste, un’incursione al Casinò e una capatina “a Cervinia, a Cortina, a San Remo, al Lido”, vantano le loro conquiste, raccontandone ogni dettaglio. Tutti vedono le donne come prede da conquistare, con la violenza, nell’ambiente popolare:

«Ci trasformammo prima in satiri, poi qualcosa di brutale, di primordiale, di bestialmente atavico ci prese tutti. La verità è che tutti avremmo voluto violarle selvaggiamente, gettarci loro addosso, far della loro carne la nostra carne, confondere il loro sangue col nostro. Bene, s’è detto tanto che siamo stati canaglie, mascalzoni!… È vero lo ammetto, ma avrei voluto vedere qualunque altro al nostro posto!» (Da Le bagnanti di Boltrasio)

o con la seduzione, nell’alta società:

«Vuoi una bella donna? Le racconti che, dopo Venere, nessuna donna al mondo ha avuto la sua bellezza e il suo fascino e che nessuna sa portare un abito come lei, che persino i brillanti acquistan valore nelle sue orecchie e te la trovi a letto.» (Da Amor che a nullo amato…)

Lo stesso Mariani, pur attribuendo ad altri le vicende più scabrose, non fa eccezione, e nel rievocare le proprie “avventure” non mostra, come ci si potrebbe aspettare, rimorsi, ma anzi un malcelato compiacimento, dichiarando di essere esperto in “amore” («Dati i miei anni e la mia esperienza si consultava sempre con me nei casi difficili, come se fossi una specie d’avvocato d’amore.»), il che ci rivela la sua piena appartenenza a quel mondo che dal titolo della raccolta parrebbe condannare. Lo vediamo in In ferrovia, dove narra in prima persona di un viaggio in treno in cui, dopo un’accurata esplorazione, sceglie uno scompartimento occupato solo da un’avvenente signora, che esamina con l’attenzione di uno scrupoloso acquirente:

«Era inguainata in una maglia di lana fatta a mano, giallastra, sportiva. E sulla reticella scorsi anche un soprabito di tweed egualmente sportivo. Aveva un profilo classico, forse troppo classico, un po’ freddo, ma le labbra sensuali carnose lo rialzavano e l’animavano. Il sorriso – col quale rispose a un mio «scusi» per averla urtata – mostrava due file di denti regolarissimi e candidi e lucidi come la cipolla. Un po’ troppo forti forse. Il tipo della bella italiana, insomma. Età: dai ventisette ai trenta. Già navigata quindi.» (Da In ferrovia)

Le donne sono generalmente disponibili: ingenuamente maliziose la popolane, che lavorano per necessità coltivando «il sogno dell’addio all’impiego, del matrimonio col futuro astro e della pelliccia di visone»; seduttive e concentrate sul proprio aspetto le signore dell’alta società, che ricevono gratificazione e sicurezza solo dalle loro conquiste. Queste ultime, però, quando praticano la stessa libertà di costumi che caratterizza i maschi, soddisfacendo quindi le loro aspettative, contrariamente a loro spesso si pentono o si sentono in colpa («ho parlato con medici perché studiassero il mio caso. Dicono ninfomane»), e il narratore, riferendosi a loro, usa espressioni dispregiative come “malizia scurrile da sgualdrina” o “fregola”.

Tante sono le donne che popolano i racconti, ma l’universo femminile, nella sua complessità, quell’universo femminile evocato da Gozzano con l’immortale endecasillabo “Donna: mistero senza fine bello”, è liquidato dai maschi con giudizi superficiali, frutto più di disinteresse che di incapacità di comprendere.

«Ebbene; l’amore è un gioco d’azzardo, non c’è sistema, non c’è metodo, non c’è arte. Una donna ti ama o ti detesta senza che tu sappia il perchè, senza che tu ti possa spiegare la ragione. Come capiresti, allora, la lavandaia che per vent’anni seguita ad adorare un marito che si beve tutto il suo salario all’osteria, e pensa lei a mantenere la casa e i figli, e riceve soltanto legnate in compenso, e non si lamenta mai? Come ti spiegheresti l’umile donnaccia francese che vuole essere picchiata almeno una volta al giorno dal suo uomo, al quale sacrifica tutti i frutti del suo poco pulito lavoro?» (Da Amor che a nullo amato…)

Negli ultimi racconti, Mariani cambia registro e temi e quel mondo economico, politico e sociale che prima, pur determinando i comportamenti dei personaggi, restava sullo sfondo, balza in primo piano, mostrando un’immagine disincantata della società, popolata da lavoratori demotivati e scansafatiche, politici e uomini di Chiesa interessati solo al profitto personale, scienziati dediti quasi esclusivamente a creare strumenti di morte. Il Moloch che incombe su questo mondo, la causa della degenerazione dei costumi, della caduta dei valori, della strumentalizzazione degli ideali, è il consumismo, che porta il popolo, invidioso del tenore di vita dei benestanti, a privarsi di beni necessari come il cibo per procurarsi quelli superflui esposti nelle sfavillanti vetrine.

Può ancora esistere una via d’uscita alternativa all’estinzione dell’umanità a causa della “bomba all’idrogeno”, appurato che la “rivoluzione sociale”, per Mariani, non può più esserlo?

«C’è; e l’aveva indicato Marx, il veggente. La rivoluzione deve essere economica e non politica. E quella può compiersi senza nessuna violenza e senza nessun spargimento di sangue. Restando nella pura ortodossia marxista noi dovremmo finalmente comprendere che dobbiamo ‹mutare i rapporti di produzione› e ‹frantumare la macchina dello Stato›». (Da Il Dukduk)

Un Mariani ben diverso da quello che quasi trent’anni prima, ne Le girandole del sentimento, si augurava di divenire in futuro il cantore dell’auspicata rivoluzione sociale.

Libertà, vecchia Iddia pur sempre giovane,
bacialo in fronte questo vagabondo,
questo zingaro, l’ultimo tuo figlio.
A nuove fedi ei nuovi inni sciorrà,
darà alle genti un’altra marsigliese
e nei suoi versi udremo il ritmo battere
per la gran marcia dell’umanità.
(Da Nel mio trentacinquesimo compleanno)

Sinossi a cura di Mariella Laurenti

Dall’incipit del primo racconto Musica, amore e dollari:

Dopo il concerto si ebbe una di quelle scene di fanatismo collettivo che non si sa bene se sian dovute all’amore dell’arte o allo snobismo o all’isterismo. A ogni modo, gli astri ne approfittano perchè i giornali ne parlan la mattina dopo e fanno, con questo, una efficace pubblicità gratuita. Naturalmente i divi considerano la resistenza fisica alle esplosioni della pubblica adorazione come uno dei più faticosi e pericolosi compiti della loro carriera. A volte si vedono soffocati da bruti muscolosi che pretendono abbracciarli, da megere isteriche che esigono autografi e ricordi, da orribili maniache che col pretesto dell’arte sfogano, in baci profumati all’aglio, le loro prurigini erotiche; e nella calca, nella confusione, nel tumulto rimangon spesso schiacciati, contusi, cogli abiti a sbrendoli, con l’ossa rotte, ma sopportano e soffrono tutto per amor della gloria e perchè sanno che tale martirio servirà ad aumentare gli introiti delle prossime rappresentazioni.

Scarica gratis: L’amore è morto di Mario Mariani.