Scritto nel 1887, con il titolo originale di A study in Scarlet, è il primo romanzo in cui appare la figura di Sherlock Holmes. Meglio noto in traduzione italiana come Uno studio in rosso, ebbe numerosi altri titoli nelle prime edizioni italiane (Un dramma misterioso, Uno strano delitto, Il segreto di Hope e, appunto, Lo scritto in rosso).

La voce narrante è quella di John Watson, un medico militare in convalescenza che diventa il coinquilino, il collaboratore e il divulgatore delle imprese di Holmes.

Viene subito presentata la sorprendente capacità analitica dell’investigatore, che lui teorizza anche in un articolo, e che applica alle sue indagini, ottenendo informazioni ed intuizioni che sfuggono ai poliziotti ufficiali (Lestrade e Gregson) che poi se ne prenderanno il merito.

Il caso da risolvere è quella di un assassinio in una casa disabitata: la vittima non ha segni di violenza, ma la stanza è piena di sangue, e su una parete c’è una scritta fatta con i sangue: “Rache” (vendetta, in tedesco). I poliziotti seguono delle false piste, mentre Sherlock Holmes, in solo tre giorni riuscirà ad arrestare il colpevole.

Il romanzo è diviso in due parti: la prima è una tipica storia di Sherlock Holmes, serrata, intrigante, sorprendente e gradevole. La seconda parte è quasi interamente un flashback, che racconta gli avvenimenti che hanno portato, nell’America dei Mormoni (che ci fanno una pessima figura), al dramma di Londra. Sembra un romanzo western, con un ritmo più blando e si integra male con la storia principale.

Sinossi a cura di Claudio Paganelli

Dall’incipit del libro:

Nell’anno 1878 presi all’Università di Londra la laurea di dottore in medicina, e continuai a Netley il corso prescritto per i medici chirurghi dell’esercito; compiuto il quale, fui regolarmente addetto come assistente-medico nel 5° fucilieri.
In quel momento, il reggimento era di guarnigione nell’India; e prima ch’io lo raggiungessi la seconda guerra dell’Afghanistan era scoppiata.
Sbarcato a Bombay, seppi che il mio corpo aveva varcato i confini e si trovava nel bel mezzo del paese nemico. Proseguii dunque, unendomi a diversi altri ufficiali che si trovavano nelle mie stesse condizioni, e pervenimmo sani e salvi a Candahar dove entrai in servizio nel mio reggimento.
Cotesta campagna fruttò ricompense e promozioni a molti; a me invece non recò che disgrazie e malanni!
Fui traslocato dalla mia brigata e aggregato ai Berkshires coi quali mi trovai alla infausta battaglia di Maiwand. Vi fui colpito alla spalla da un proiettile, che mi spezzò l’osso ledendo l’arteria che è sotto la clavicola. Sarei, per giunta, caduto nelle mani dei feroci Ghazis, se mi fosse mancata la devozione e il coraggio del mio attendente Murray, che a groppa di cavallo riuscì a portarmi in salvo fra le file del nostro reggimento.

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