La raccolta di racconti La falce (1902) segue di tre anni la prima edizione del romanzo La bufera, considerato il capolavoro di Calandra. Nella raccolta, oltre al racconto lungo, che dà il titolo alla raccolta, sono due racconti brevi, Punizione e L’enigma.
In generale la produzione dell’autore piemontese non ebbe al tempo particolare risonanza; ne acquistò dopo il commento favorevole che ne fece Benedetto Croce in un suo articolo del 1911 in La Critica (poi confluito nel III volume de La letter**atura della n**uova Italia, Bari 1964), successivo alla seconda edizione de La bufera, riedizione che lo stesso Calandra aveva ritenuto indispensabile per dare maggiore coerenza alle pagine del suo romanzo. Tuttavia, nonostante il parere di Croce, anche successivamente le opere dell’autore piemontese non ebbero gran successo di critica e di pubblico e non vennero granché ristampate. Ed è un peccato perché i temi e la scrittura di Calandra sono decisamente interessanti, innovativi e fuori dai canoni che si andavano affermando con maggiore successo.
Ambientato nel Piemonte tra fine ‘800 e primi del ‘900 – ci sono brevi riferimenti storici da cui si evince che l’unità d’Italia è una realtà ed anche la lotta al brigantaggio nelle regioni meridionali è ormai storia passata – ha come luogo d’azione il paese di Casaletto, che si può immaginare possa essere identificato con Murello, borgo in provincia di Cuneo molto legato alla vita di Calandra e presente in molte sue opere.
Il giovane aristocratico Roberto Duc, orfano, elegante, che ancora non ha individuato il suo posto nel mondo, che trascorre insulsamente il suo tempo a Torino tra incontri mondani e pomeriggi senza scopo, ingegnandosi così “di uccidere quanto più tempo” può, e che è sull’orlo di una depressione, viene incoraggiato a far visita ai suoi possedimenti dall’onesto “fittaiuòlo”, che si occupa di lavorare i campi e di tener in piedi la proprietà dei Duc a Casaletto.
Nel paese il padre di Roberto, deceduto da poco, è stato consigliere comunale: egli si recava “a Casaletto tre o quattro volte al mese, in qualunque stagione, piovesse o nevicasse”. Alla sua morte Roberto è stato nominato consigliere al suo posto. Ma nessuno in paese lo vede. Forse, immagina il fittavolo, la lettera di ‘partecipazione’ è andata perduta?
Dopo qualche incertezza, Roberto si reca al Fortino, l’avita villa di campagna. Qui la sincerità, il calore e il viso aperto dei paesani, “l’ampiezza ubertosa ed irrigua del piano, non limitata che dalla catena delle Alpi”, la natura mutevole e rigogliosa, il conforto trasmesso dal luogo natio, dal ritorno alle origini, l’amore per una ragazza, che fino a quel momento non c’era stato verso di scovare, cambieranno la vita di Roberto.
Croce, pur riconoscendo scioltezza e garbo di espressione, considerò La falce un’opera minore. Penso che questo giudizio sia da attribuire senza dubbio più alle dimensioni brevi dell’opera che non al suo valore letterario. Il racconto è ricco, ricchissimo di personaggi magistralmente dipinti, collocati in un mondo paesano realistico, con tocchi sparsi di ironia e di magico, circondati da boschi e forre e ruscelli che raccontano il mutare delle stagioni. Sono molto moderne la visione di una natura benigna da proteggere, l’avversione per la caccia che va a distruggere animali preziosi per l’equilibrio dell’ambiente, la considerazione dell’uomo come essere che indegnamente si considera padrone della natura.
Non mancano due elementi cari a Calandra: l’attesa e il mistero. Presente, in maniera dolorosa, ne La bufera, qui l’attesa è nel lento procedere, nell’animo del giovane aristocratico, della presa di coscienza di sé. Dopo un inizio lento, con riflessioni e ripensamenti, il procedere degli eventi, sempre più frenetico, forza la maturità di Roberto. Il mistero è la componente che dà l’avvio, anche con qualche drammaticità, a questa presa di coscienza. La falce del racconto è naturalmente la Morte.
Il lavoro procede con ritmi sempre più serrati, fino ad un crescendo finale che impedisce di fatto di interrompere la lettura.
Punizione, il secondo racconto della raccolta, è ambientato a Torino nel mondo degli artisti, di artisti, una volta tanto, non poveri e miserandi, ma che frequentano il bel mondo. Il secondo ed ultimo racconto, L’enigma, è la storia di un restauratore alle prese con il restauro di un oggetto pieno di mistero. Anche qui Calandra sviluppa il tema amato:
«‒ Senti; tu credi al maraviglioso, al soprannaturale?
‒ Io?… Nemmen per sogno.
‒ Allora, sia per non detto
‒ Ho però un’idea, antiquata sì, ma grandiosa… Su via, tira avanti, raccontami tutto. […]
‒ Ti risponderò con le parole di Amleto.
‒ Come c’entra Amleto?
‒ «Vi sono, Orazio, nel cielo e nella terra più cose che la vostra filosofia non possa sognare…». E questo è quanto.»
Sinossi a cura di Claudia Pantanetti, Libera Biblioteca PG Terzi APS
Dall’incipit del primo racconto La falce:
Giuseppe si accostò in punta di piedi all’uscio che metteva nella stanza del padrone, e stette in ascolto.
‒ Dorme ‒ susurrò poi.
‒ Dorme? ‒ disse Rocco Fea, ritto in mezzo all’anticamera, col cappello tra le mani. ‒ Pazienza, aspetterò.
‒ Ve l’avevo detto ‒ riprese il servitore. ‒ Dopo mezzogiorno dorme sempre un paio d’ore.
‒ Un paio d’ore? Oh povero me! Allora non potrò ripartire che a sera… Un paio d’ore! Come si fa?…
‒ Zitto! Si muove, cammina… Sì, sì, cammina. Adesso posso picchiare.
Ma in quella l’uscio si aprì.
‒ Cosa c’è? ‒ domandò Roberto Duc, affacciandosi appena.
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