Quando l’editore Donath diede alle stampe questo volume di 37 favole per bambini, esistevano già importanti traduzioni italiane delle favole raccolte dai fratelli Grimm; basta ricordare quelle di Federigo Verdinois e di Fanny Vanzi Mussini. Ma il lavoro di Luigi di San Giusto non risulta inutile perché non di traduzione si tratta ma di rielaborazione di favole famose e altre meno.

Nello stesso anno Teresa Ubertis (Teresah) pubblicava I racconti di Sorella Orsetta; tanto le favole raccolte da Luigi di san Giusto sono “grimmiane” quanto quelle di Teresah sono invece “anderseniane” che in quegli anni in Italia ancora mancavano totalmente, e solo alcuni anni dopo le avremmo avute a disposizione grazie alla splendida traduzione di Maria Pezzè Pascolato che possiamo apprezzare anche in questa biblioteca Manuzio. Ma in entrambi i casi – sia nella raccolta che presentiamo adesso sia in quella di Teresah che sarà nel pubblico dominio solo tra 12 anni – abbiamo una raccolta di fiabe prettamente italiane nella forma e nella sostanza.

Le raccolte ad opera dei folkloristi della seconda metà dell’ottocento (Pitrè, Imbriani, Nerucci, Comparetti) sono certamente ricche ed interessanti, trascritte dalla viva voce della tradizione orale e a questi folkloristi siamo debitori del fatto che questa tradizione non sia stata condannata alla dispersione e all’oblio. E in realtà fino al lavoro di Italo Calvino il libro delle fiabe italiane non era mai stato scritto. Ma Nel cerchio magico rappresenta comunque un piccolo contributo.

Le fiabe non si inventano, si trovano, recita un vecchio detto di origine provenzale. Le trovano i popoli, nella tradizione, nei miti dell’animismo primitivo, nel materiale prezioso accumulato ed elaborato nei secoli. E naturalmente le trovano i poeti come Luigi di san Giusto e Teresah nelle piccole tenui cose della terra, e nell’immensità stellata dei cieli e che solo i poeti riescono a rispecchiare in una pagina, in un verso, in una melodia. E lo fanno in modo che tutti possiamo riconoscerle con commozione, come se si rivedesse un’immagine cara, lungamente cercata. Morale e bellezza diventano tutt’uno in queste favole, perché non propongono una morale per i più piccini o un simbolo per gli adulti. Ma ne propongono invece una sintesi che conserva, dopo oltre un secolo, il suo fascino.

Ha influenza il fatto che la narrazione sia fatta da una donna (anche se scrive con pseudonimo maschile)? Secondo Marie-Luise von Franz certamente sì. E ne fornisce motivazioni e interpretazioni davvero convincenti nel suo notevole saggio Il femminile nella fiaba, dove tra l’altro possiamo leggere una accurata interpretazione di Biancaneve, che se prendiamo in considerazione dopo aver letto la Biancaneve di Luigi di san Giusto e la mettiamo in confronto alla versione classica riportata dai fratelli Grimm, ci apre effettivamente un nuovo spazio di lettura di grande interesse, tramite il quale possiamo provare a raggiungere una giusta relazione tra il mondo maschile e quello femminile, così difficile da ottenere ancora oggi. Per questo il mondo femminile cerca di costruirsi e crearsi dei “paradisi femminili”.

Certamente è anche tramite questo tipo di letture che possiamo dedicare qualche istante della nostra riflessione su come si sia giunti a dare per scontata la pretesa della “scienza” di essere depositaria della sola interpretazione valida della realtà. Ma è anche “scienza” provare a compiere un “percorso a ritroso” alla ricerca di saperi ormai messi in disparte, tra i quali la tradizione popolare occupa un posto non certo irrilevante, coerente con una interpretazione certamente diversa della Natura e della sua sacralità, utile almeno per chi si senta ancora oggi affascinato dalla struttura simbolica della vita.

Elémire Zolla scrisse che nelle fiabe vanno ricercati

«i sempre uguali archetipi delle metamorfosi che si esprimono via via come luna nera, cava e piena; come pietra grezza, opera chimica e fulgore liberato; come seme, pianta crescente, fiore».

Possiamo quindi provare anche noi lettrici e lettori e cercare e provare a svelare di queste fiabe i significati perduti, magari alchemici, ad esempio legati all’estrazione e lavorazione dei metalli. Leggende e malie intessute con il linguaggio dei sogni, nani e silfi, orchi e chimere sono quindi portate di fronte ad un pubblico non solo infantile da una delle migliori penne dell’epoca.

Il testo è corredato da venti illustrazioni del pittore Giuseppe Mazzei, elbano di origine ma genovese di adozione e inserito nella tradizione artistica genovese nella quale era di spicco Plinio Nomellini. Il testo di riferimento è l’edizione Vallardi 1923, ristampa della precedente edizione Donath della quale già ho fatto cenno, che risulta sconosciuta all’OPAC.

Sinossi a cura di Paolo Alberti

Dall’incipit della orima delle favole, Re Lupone:

C’era una volta un re… il quale era un lupo. Non meravigliatevi; son cose che accadevano tanti anni fa! Questo lupo era la desolazione dei regni vicini, perchè ogni tanto egli faceva rapire una giovinetta, e i parenti non ne avevano più notizia. Certo il feroce lupo se la divorava lassù, nella sua reggia inaccessibile, erta sulla montagna. I popoli così tiranneggiati avevano ben tentato di far guerra al re Lupone e al suo esercito di lupi, ma inutile. Questi erano sempre i più forti, e le guerre finivano con la strage dei poveri soldati.
Allora il re del paese vicino mandò una ambasceria al re Lupone, perchè questi facesse alleanza con lui, e non rapisse più le fanciulle del suo regno.
Disse re Lupone:
— Io farò alleanza, se il re mi darà la sua figliuola in isposa. —
Quando gli ambasciatori tornarono con questa risposta, il re disse:
— Mai e poi mai io darò mia figlia ad un lupo. —
Ma la figlia del re che era presente (ella si chiamava Occhio-di-stella) disse invece:
— Io accetto di sposare il re Lupone, purchè egli non tormenti più il nostro popolo.

Scarica gratis: Nel cerchio magico di Luigi di San Giusto (alias Luisa Macina Gervasio).