Solari scrive in questo breve ma intenso saggio del 1935, a un anno dalla morte dello storico e docente di diritto ecclesiastico Francesco Ruffini:

«…del giurista il Ruffini non ebbe la mentalità, le qualità caratteristiche: non fu nè un sistematico, nè un dogmatico: non amò il tecnicismo costruttivo, nè le sottigliezze del ragionamento giuridico. […] Storico fu e volle essere il Ruffini e dello storico ebbe in alto grado la passione, l’insoddisfazione, la pazienza della ricerca».

Benedetto Croce fu di parere diametralmente opposto e definì Ruffini «fondamentalmente un giurista» e niente affatto uno storico. Certamente tra Croce e Ruffini non esisteva una reciproca comprensione. Secondo una testimonianza del figlio Edoardo, rispetto alle elaborazioni filosofiche di Croce, Francesco Ruffini confessò una volta a Max Ascoli di non sapere in che cosa esattamente consistesse l’idealismo di Croce e perché Croce polemizzasse con Gentile. Di fronte alla meraviglia di Ascoli che cercò di girare l’argomento in battute spiritose Ruffini replicò: «ha ragione… tanto anche se me lo spiegava, domani non lo ricorderei già più…».

In questa difformità di pareri e nel ricordo che ho riportato del figlio Edoardo scorgiamo già alcune delle sfaccettature della personalità del Ruffini che Solari è abilissimo a riassumere ed evidenziare nel suo saggio. Certamente il Solari non poté parlare dell’atto di coraggio e dignità che portò Francesco Ruffini ad essere ricordato tra i dodici professori universitari che rifiutarono di giurare fedeltà al fascismo. Lo possiamo fare noi adesso ricordando le parole dello stesso Ruffini nel suo Conciso autoritratto:

«Giurare o non giurare. Dilemma puramente accademico, perché fin dal primo giorno sapevamo che sarebbe stato no. Preoccupante, ovviamente per motivi finanziari. Ma con qualche sacrificio abbiamo superato la crisi. Di quell’estate del 1931 ricordo le uggiose discussioni con colleghi decisi a giurare ma che volevano sentirsi dire che facevano bene. E noi glielo dicevamo con convinzione, consapevoli che per molti il giuramento era una scelta dolorosa e umiliante ma non libera, mentre il nostro rifiuto era agevolato dal privilegio di una sia pur modesta agiatezza […]».

Pur con questa carenza che sa di censura, se pur giustificata e comprensibile, Solari riesce a dare un quadro piuttosto efficace della vita e dell’opera di Ruffini.

Nella cerimonia funebre erano presenti tutti i residui del liberalismo italiano: Mario Abbiate – uno dei 21 senatori che non votò la fiducia al governo Mussolini dopo l’assassinio di Matteotti, fiducia che i liberali ispirati da Croce concessero “condizionata” – Umberto Cosmo, Luigi Einaudi, Benedetto Croce, Luigi Albertini, Luigi Salvatorelli, Marcello Soleri e, naturalmente, Gioele Solari. In quella modesta cerimonia c’erano anche i carabinieri e persino il senatore fascista Mattia Moresco, uno dei più vecchi allievi di Francesco Ruffini.

Solari si concentra poi nella seconda parte sugli studi del Ruffini stesso in merito al giansenismo, studi che furono propedeutici per esaminare in che misura la conoscenza del giansenismo fosse utile «per intendere e interpretare la religiosità intima delle due grandi figure che più lo attrassero sotto l’aspetto religioso e politico, il Manzoni e il Cavour». L’esposizione di questi concetti se pure sintetica è estremamente acuta e di grande interesse e rappresenta la parte migliore di questo saggio. Il Solari, come sua abitudine, non trascura neanche in questo caso di far trasparire le sue personali interpretazioni e concezioni filosofiche.

Sinossi a cura di Paolo Alberti

Dall’incipit del saggio:

Era nato nel Canavese, a Lessolo, il 10 aprile 1863 da famiglia oriunda da Andrate e discesa a Borgofranco d’Ivrea. Tra le famiglie distinte del luogo A. Bertolotti ricorda la famiglia Ruffini nelle Passeggiate nel Canavese (Ivrea, 1870, IV, p. 470; 489). Ma la distinzione derivava alla famiglia non da nobiltà antica, non da ricchezze accumulate, ma dal lavoro, dagli studi con sacrificio compiuti, dalle professioni liberali esercitate, dalle cariche civili coperte. La precoce vedovanza obbligò la madre del Ruffini a occuparsi di una piccola azienda agricola e a provvedere con essa alla educazione e istruzione dei figli. Avviare i quali agli studi era ambizione diffusa nelle famiglie del vecchio Piemonte provinciale, e tale ambizione era favorita dai collegi annessi alle pubbliche scuole, nei quali i giovani volonterosi trovavano facili condizioni di vita e di studio.

Scarica gratis: La vita e l’opera scientifica di Francesco Ruffini di Gioele Solari.