L’autore spiega nella sua Avvertenza, posta in inizio di questo volume, che lo stesso viene presentato come quarto della Filosofia dello spirito ma è tuttavia un’opera del tutto autonoma. Originariamente pubblicata in tedesco con il titolo Zur Theorie und Geschichte der Historiographie nel 1915, venne l’anno successivo presentata in italiano con qualche revisione e l’aggiunta di tre brevi saggi. Quasi tutti gli scritti che compongono questa raccolta comparvero originariamente tra il 1912 e il 1913 su atti accademici e riviste. Questo e-book è tratto dall’edizione Adelphi del 1989 curata da Giuseppe Galasso.

Benedetto Croce completò con questa raccolta di scritti un’evoluzione dell’idea di «storiografia» che aveva caratterizzato il suo percorso intellettuale di riflessione; tale percorso, partendo dall’idea classica che era stata sistematizzata da Tomaso Campanella per il quale «storiografia» stava ad indicare l’arte di scrivere correttamente la storia, era giunto a vedere nella storiografia la conoscenza storica in generale o il complesso delle scienze storiche. In questo percorso, per il quale possiamo indicare come punto di partenza lo scritto del 1893 La storia ridotta sotto il concetto generale dell’arte, l’influenza hegeliana è evidente. Si parte infatti da un’idea “estetica” di storiografia per giungere, appunto in questo complesso di scritti, a individuare la natura logica della storiografia stessa basata sulla teoria del giudizio individuale. Hegel affermava che per conoscere il sostanziale bisogna accedervi da sé con la ragione; faceva discendere da questo un certo disprezzo per gli storici, che degradava a filologi, e considerava lo studio della storia universale – cioè la conoscenza del piano provvidenziale del mondo storico – come materia per il filosofo, all’opera del quale il sostegno dello storico può essere utile ma non certo indispensabile. Anche Fichte afferma che la comprensione dell’eterno e immutabile che guida il cammino della specie umana è compito del filosofo. Lo storico si limiterà a descrivere la «sfera sempre mutevole e cangiante dei fenomeni attraverso i quali procede la sicura marcia della specie umana»; questo è compito dello storico, le cui scoperte «sono solo casualmente ricordate dal filosofo». La conclusione di Hegel è che per conoscere il sostanziale bisogna accedervi da sé con la ragione. Per riconoscere quindi la realtà sostanziale della storia bisogna «portare con sé la coscienza della ragione».

Nel 1907 Croce aveva segnato un altro passo nella sua progressiva e parziale presa di distanza da Hegel con il saggio Ciò che è vivo e ciò che è morto della filosofia di Hegel; sia in alcuni saggi di questa Teoria e storia della storiografia che in La storia come pensiero e come azione, Croce manifesta l’esigenza che ogni storia sia intesa come «storia contemporanea»; tenta quindi una sintesi tra varie prospettive, riconoscendo una pluralità delle forme della conoscenza storica e la sua dipendenza dal materiale documentario disponibile. Questo comporta che una autentica conoscenza storica verte sempre su oggetti delimitati o delimitabili. Ma nello stesso tempo possiamo accedere a una conoscenza storica prospettivistica, allontanando da noi il passato per intenderlo nel suo tempo e luogo, senza ridurlo o assimilarlo al presente. Già nel 1907 Croce aveva indicato come contraddizione in termini l’idea di «filosofia della storia». La storia infatti «è sempre narrazione e non mai teoria e sistema».

Il passo successivo, ben espresso dal complesso di questi saggi, consente di giungere a una sostanziale identità tra filosofia e storia andando oltre all’apparente contrasto tra idee e fatti. Il progressivo distacco da Hegel – considerare l’idealismo crociano come una sorta di neo-hegelismo è infatti abbastanza discutibile – nasce dalla conoscenza diretta di Croce dei testi hegeliani, ai quali si era inizialmente avvicinato, per mezzo di Labriola, attraverso l’interpretazione materialistica offertane da Marx. Opponendo, come è noto, alla “dialettica degli opposti” la “dialettica dei distinti”, che passano dall’uno all’altro non per negazione ma per implicazione, Croce pone la premessa indispensabile per poter vedere la storia non più come una progressione di epoche susseguentisi secondo un ordine necessario regolato da leggi, ma come essenza stessa del divenire che racchiude l’energia spirituale:

«La soluzione giusta è quella del progresso inteso non come passaggio dal male al bene, quasi da uno stato all’altro, ma come passaggio dal bene al meglio, in cui il male è il bene stesso, visto alla luce del meglio.»

Sinossi a cura di Paolo Alberti

Dall’incipit del primo saggio Storia e cronaca:

«Storia contemporanea» si suol chiamare la storia di un tratto di tempo, che si considera un vicinissimo passato: dell’ultimo cinquantennio o decennio o anno o mese o giorno, e magari dell’ultima ora e dell’ultimo minuto. Ma, a voler pensare e parlare con istretto rigore, «contemporanea» dovrebbe dirsi sola quella storia che nasce immediatamente sull’atto che si viene compiendo, come coscienza dell’atto; la storia, per esempio, che io faccio di me in quanto prendo a comporre queste pagine, e che è il pensiero del mio comporre, congiunto necessariamente all’opera del comporre. E contemporanea sarebbe detta bene in questo caso, appunto perché essa, come ogni atto spirituale, è fuori del tempo (del prima e del poi) e si forma «nel tempo stesso» dell’atto a cui si congiunge, e da cui si distingue mercé una distinzione non cronologica ma ideale. «Storia non contemporanea», «storia passata», sarebbe invece quella che trova già innanzi a sé una storia formata, e che nasce perciò come critica di essa storia, non importa se antica di millenni o remota di un’ora appena.

Scarica gratis: Teoria e storia della storiografia di Benedetto Croce.