Il titolo della raccolta, I colloqui con la morte, rimanda all’esperienza esistenziale dell’autore, che da ufficiale degli alpini viene mandato sul fronte del Carso. Nel racconto Il tuffo, così ne evoca l’inizio:
«I colloqui con la morte cominciano… quando la prima granata scoppia a due o trecento metri da noi, dopo avere tagliato l’aria con il suo sibilo lacerante, acuto e pur tuttavia confuso. Il sangue dà un piccolo tuffo, corre dalle estremità al cuore, dal cuore alle estremità.»
Nei primi racconti l’io narrante, lo stesso Mariani, si concentra sui temi centrali della propria vita in “trincera”, il coraggio, la paura, l’incessante “colloquio con la morte”, temi che afferma di trattare per primo, a beneficio dei lettori e delle future generazioni, e che solitamente vengono evitati dai combattenti per timore di parere vili. Nel contempo descrive, con un crudo realismo che richiama alla mente l’espressionismo di Rebora in Voce di vedetta morta, la vita sul fronte ed i tanti commilitoni caduti davanti ai suoi occhi.
«io guardavo il cadavere dell’austriaco la cui carne in disfacimento fra gli interstizi dei tendini visibili pareva fatta di scorie di bronzo e di rosticci di grumi di sangue e di pezzi di sapone da bucato.»
L’autore condanna esplicitamente la guerra, “uragano di ferro scatenato sul mondo” dalla “bramosia di conquista” di una sola nazione.
«Quando ho scorso le righe che riporto, io ho provato di richiamarmi alla mente lo strazio dei fanciulli belgi, la miseria delle popolazioni polacche, le vittime innocenti del Lusitania che nuotano nei gorghi verdi come strane alghe, e i morti e i morti e i morti che dai campi della Marna, dell’Yser, della Bzura, dell’Angerapp, di Tannenberg, della Galizia, tendono le falangi, spoglie di carne, a maledire. Ho ripensato l’uragano di ferro e di fuoco che la bramosìa di conquista, la smania di furto di una nazione che la pretende a civile avevano scatenato sul mondo. Ho rivisto sugli sporti delle botteghe, sulle soglie delle case, ai davanzali delle finestre, facce scarmigliate di madri, di vedove, di sorelle: russe, serbe, montenegrine, italiane, francesi, inglesi, belghe, deprecanti all’uccisore, all’invasore, al predatore, al barbaro.»
Il responsabile di questo “uragano” è per Mariani Guglielmo II, che diviene l’anziano protagonista, oppresso dai rimorsi, di uno dei racconti. Mariani sogna che quello stesso popolo che a Unter den Linden, convinto della necessità di una guerra “di difesa”, aveva acclamato il Kaiser, ritorni là, martoriato e ridotto in miseria, per chiedergli conto delle sue azioni:
«Guglielmo II non deve andare a Sant’Elena. Il suo popolo deve prenderlo per mano e condurlo sulle trincee di Francia e di Fiandra, di Polonia e di Galizia, dei Carpazi e dell’Alpi a scoprirsi dinanzi ai milioni e milioni delle sue vittime. Guglielmo II, durante il pellegrinaggio espiatorio, invecchierà. E morrà di crepacuore.»
Dopo i primi racconti, Mariani rinuncia al proprio ruolo di assoluto protagonista e la narrazione diviene corale: entrano così in scena i personaggi più diversi, accomunati dalla vita sul fronte (Ungaretti li aveva chiamati “Fratelli”), che si aggiungono al narratore evocando in prima persona vicende di guerra vissute o sentite, in un ambiente eterogeneo sia per provenienza geografica, (dal “barrocciaio della Garfagnana” ai “muratori romagnoli” ai “falegnami di Lombardia”, ai “minatori siciliani”) che per estrazione sociale (dai graduati, borghesi, intellettuali come Massimo Bontempelli e lo stesso Mariani, ai popolani). Un’Italia ancora unita solo di nome, che in guerra lo diviene di fatto, come già aveva affermato Pascoli nel 1911, esaltando con il discorso interclassista “La grande proletaria s’è mossa” l’impresa coloniale in Libia.
Non mancano, in una raccoltà che necessariamente vede come protagonisti gli uomini, intense figure femminili di madri e mogli, ma non solo: basti pensare a Mariella, “una ragazza libera, che si divertiva”, o a “Violetta”, che abbandona la sua città e la sua famiglia con l’intento di raggiungere il fronte e prostituirsi con i soldati per “vivere in mezzo alla morte”.
Un’esperienza drammatica, quella di tutti i personaggi della raccolta, ma anche profonda, vitale, essenziale.
«Avevo vissuto con loro la vita che s’accontenta di nulla e di tutto gode, la vita del disagio e del rischio, ma della franchezza aperta, della bontà ingenua. Avevo stretto mille mani sapendo che sopra ogni mano c’era un cuore.»
Un’esperienza ben lontana da quella vita borghese che all’autore, rientrato a Milano in licenza, appare ormai futile ed insensata.
«C’era dunque ancora il “bel mondo”, c’erano ancora i vitaioli? Certo; c’erano. Ma quanta morte in quella vita e quanta vita nella morte della trincera! Lo sbadiglio mi tormentò tre giorni, tre lunghi giorni.»
Ad eccezione di questo racconto, Isonzo-Milano e ritorno, gli altri sono tutti ambientati sul Carso, ed i nomi dei luoghi, oltre a città e paesini del Friuli, sono quelli attribuiti dai soldati alle postazioni di trincea, “Dolomiti”, “Frasche”, “Nuove Celle”, “Rivellino”, ” trincera della Morte “…
Pur accomunato ai commilitoni dall’esperienza umana sul fronte, Mariani lascia spesso trasparire la propria identità culturale, testimoniata dai numerosi riferimenti a Manzoni, Leopardi, Pascoli, e soprattutto a D’Annunzio “ammirato e detestato”, apprezzato come “Il poeta del rischio” per la sua esperienza di aviatore, per il suo desiderio di affrontare la morte.
«Egli ha preveduto e veduto che bisogna educare la gioventù all’amore del rischio, al disprezzo della morte, alla sfida perenne contro la morte. Questa è la sua più grande virtù di poeta.»
Nel contempo dalla raccolta emerge un’approfondita conoscenza del mondo contadino, come dimostra, ad esempio, l’uso di termini gergali appartenenti al campo semantico dell’agricoltura in Contadini.
«Mio padre lascerà un po’ più di terra a salda; ecco tutto. Se avessi potuto fare lo scassato in fine al campo; uno scassato di gelsi per colcarci i maglioli di romanina e di paradisa, che facessero per due o tre anni qualche grispollo e poi mi servissero a rinnovare le viti! »
Sinossi a cura di Mariella Laurenti
Dall’incipit del primo racconto Il pudore:
Io ho studiato la mia paura e il mio coraggio come avrei studiato un’elegante questione di lingua.
È il problema introspettivo che appassiona di più tutti quelli che s’accostano alla linea del fuoco.
È il problema di cui si discorre di più fra soldati, nelle trincere, i meriggi d’ozio, le notti di guardia.
È il problema di cui non si scrive.
Perchè?
Non se ne scrive per pudore.
Ognuno ritiene assolutamente necessario dare a intendere agli altri – fors’anche a se stesso – di non avere tremato mai.
Teme di studiare le infinite sfumature della paura e del coraggio, perchè suppone di legittimare, soffermandosi su tale argomento, negli altri il sospetto della sua vigliaccheria.
Teme… O dimentica? O non ricorda?
Scarica gratis: I colloqui con la morte di Mario Mariani.