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Evidences as to Man’s Place in Nature apparve nel 1863 ed è il primo libro di Huxley. Il materiale del testo proviene dalle ricerche iniziate nel 1857 sull’anatomia comparata delle scimmie e dell’uomo, dall’elaborazione di conferenze tenute ad Edimburgo nel 1862 e da una serie di lezioni ad un corso per operai. Si tratta infatti di un’opera divulgativa di grande efficacia. Diceva Huxley:
«La mia esperienza di conferenze popolari mi ha convinto che la necessità di rendere gli argomenti chiari ad un pubblico non istruito è uno dei migliori modi per portare chiarezza negli ultimi angoli oscuri della propria mente».
In verità il testo si pone l’obiettivo di conciliare gli aspetti di una teoria nuova in maniera dirompente con l’idea che Huxley aveva della scienza come “senso comune organizzato”, idea che senza dubbio la teoria dell’evoluzione metteva in crisi. Eppure la formulazione fondamentale e lo scarno meccanismo della selezione naturale si basa su un ragionamento che è tanto semplice da essere disarmante: parte da tre dati di fatto inconfutabili (grande prolificità, variabilità, ereditarietà) e una spiegazione sillogistica (il successo riproduttivo è assicurato per gli organismi le cui varianti sono quelle casualmente meglio adatte ai mutevoli ambienti locali e che quindi trasmetteranno le proprie caratteristiche favorevoli alla prole per ereditarietà). Huxley in un suo famoso intervento si rammarica di non essere stato in grado di giungere lui stesso alla teoria, che però in questi termini appare rudimentale, tanto che, pur essendo state formulate in precedenza ipotesi simili, i contesti non appropriati non consentirono di svilupparne le potenzialità. I tre principi maggiori presi in considerazione da Darwin si pongono in contrasto con tutta la storia filosofica dell’occidente perché ci danno spiegazione, penetrando nel cuore del meccanismo sillogistico di cui ho dato cenno, di come si sia prodotta l’intera storia della vita. È tuttavia noto che la difesa di Huxley (soprannominato appunto il bull-dog di Darwin) era una difesa dell’evoluzione in quanto tale e non nella sua spiegazione tramite la selezione naturale. Non appena fu stampato L’origine delle specie Huxley scrisse a Darwin:
«Ti sei caricato di una difficoltà inutile abbracciando natura non facit saltum senza riserve».
Anche per questa ragione Huxley affronta il problema filosoficamente decisivo di come collocare la posizione dell’uomo nello scenario della natura affrontando abbastanza marginalmente il problema della selezione. Dice infatti:
«Non può mettersi in dubbio, io credo, che Darwin ha provato a sufficienza, che ciò che egli chiama selezione, o facoltà elettiva, deve presentarsi e si presenta in natura; ed egli ha provato, anche strabocchevolmente, che tal facoltà elettiva è capace di produrre delle forme per struttura tanto distinte, quanto sono distinti genere da genere. Se dunque il mondo vivente non ci si presentasse che con delle differenze di struttura, non avrei un momento da esitare, per dire che Darwin ha dimostrato l’esistenza di una vera causa fisica, ampiamente capace a renderci conto della origine delle specie viventi, e quindi anco dell’uomo. Ma oltre le loro differenze di struttura, le specie degli animali e delle piante, o almeno un gran numero di queste e di quelli, presentano dei caratteri fisiologici distinti: – quella che si conosce come specie determinata, anatomicamente, è per lo più incapace ad incrociarsi con un’altra; o se vi è incrociamento fecondo, ne proviene un bastardo o ibrido che non è capace a perpetuare la sua razza con un altro ibrido della stessa provenienza. Per ammettere una causa veramente efficiente nel mondo organico, bisogna che soddisfaccia ad una condizione: che cioè renda conto di tutti i fenomeni che sono situati nella sfera della sua azione.»
Per meglio chiarire questa posizione di Huxley – che ebbe a definire la selezione naturale la teoria gladiatoria dell’esistenza – riporto un brano di Darwiniana:
«ma le cause e le condizioni della variazione sono ancora del tutto inesplorate e l’importanza della selezione naturale non sarà minore anche se ulteriori ricerche dovessero provare che la variabilità è definita e determinata in certe direzioni piuttosto che in altre, da condizioni inerenti a ciò che varia. È abbastanza comprensibile che ogni specie tenda a produrre varietà di tipo e numero limitato e che l’effetto della selezione naturale sia di favorire lo sviluppo di alcune di queste mentre essa si oppone allo sviluppo di altre lungo le loro linee di modificazione predeterminate».
Impossibile in questa sede trattare esaurientemente gli argomenti che scaturiscono da queste considerazioni di oltre 150 anni fa e che si rinnovano nel dibattito odierno. Le eccezioni paleontologiche evidenti alla selezione naturale come causa delle tendenze progressive destarono perplessità anche nel nipote di Huxley, il figlio di Leonard, Julian Sorell, il quale finì poi per abbracciare, a partire dal 1959, in occasione del simposio per il centenario darwiniano a Chicago, le idee della cosiddetta “sintesi moderna”.
Resta da dire che anche in questo testo la vena polemista – Huxley fu senza dubbio il più forte polemista nella storia della biologia – ha il suo spazio e l’autore sembra pregustare il concretizzarsi della sua massima (ma era forse di Agassiz?) per la quale ogni nuova dottrina
«deve attraversare tre fasi. In un primo tempo la gente dice che non è vera, poi che è contraria alla religione, e, nella terza fase, che la si conosceva da tempo».
L’accurata traduzione italiana pubblicata nel 1869 è opera del professor Pietro Marchi. Pietro Marchi fu medico e naturalista; quando si accinse a tradurre il testo di Huxley era da poco rientrato da un periodo di studio in Germania dove conobbe, tra gli altri, Anton Dohrn che era il più solido sostenitore della teoria dell’evoluzione in Germania e che avrebbe fondato, qualche anno dopo, la stazione zoologica di Napoli. In quegli anni di grande fermento intellettuale anche il contributo in veste di traduttore d Marchi fu di grande importanza.
Sinossi a cura di Paolo Alberti
Dall’incipit del saggio:
Le antiche tradizioni, quando siano sottoposte ai severi processi della investigazione moderna, assai comunemente si dileguano in meri sogni: però è singolare come spesso il sogno sembra essersi formato in un dormi veglia a presagire una realtà. – Ovidio presagì le scoperte dei geologi: l’Atlantide era una cosa immaginaria, ma Colombo trovò il mondo occidentale: e sebbene le strane forme dei centauri e dei satiri abbiano un’esistenza solamente nel dominio dell’arte, pure sono ora conosciutissimi degli esseri che si rassomigliano all’uomo molto più di quelli nella loro essenziale struttura eppure sono completamente bruti come la composizione mitologica di quell’animale, metà capro metà cavallo.
Scarica gratis: Prove di fatto intorno al posto che tiene l’uomo nella natura di Thomas Henry Huxley.