di
Le mille e una notte
Novelle arabe

Storia della fata Maimoune e del genio Danhasch

tempo di lettura: 16 minuti


In quella torre eravi un pozzo il quale serviva di asilo durante il giorno ad una fata chiamata Maimoune. Era circa mezzanotte quando Maimoune uscì leggermente sull’alto del pozzo, per girare il mondo.

Essa fu molto meravigliata di vedere un lume nella camera del principe Camaralzaman: ed entratavi, si avvicinò al letto. Il principe Camaralzaman aveva il viso mezzo coperto dalla coltre. Maimoune l’alzò un poco e scorse il più bel giovane che avesse mai veduto.

Maimoune non poteva lasciare d’ammirar il principe Camaralzaman, ma finalmente dopo averlo baciato sopra ciascuna guancia e sulla fronte senza svegliarlo, rimise la coperta come stava prima e prese il suo volo nell’aria. Com’ella fu elevata ben alta verso la media regione, fu tocca da un rumore di ale che l’obbligò a volare dalla stessa parte. Avvicinandosi conobbe essere un Genio il quale faceva tal rumore, ma un Genio di quelli che furono ribelli a Dio.

Il Genio si nominava Danhasch; riconobbe Maimoune, ma con gran spavento, poiché conosceva, aver essa una grande superiorità su di lui per la sua sottomissione a Dio. Avrebbe voluto evitarla: ma trovandosela vicina era d’uopo battersi, o cedere.

Danhasch la prevenne:

— Valente Maimoune – le disse con un tono supplichevole – giuratemi pel gran nome di Dio che non mi farete male, ed io vi prometto da parte mia di non farvene.

— Maledetto Genio – rispose Maimoune – qual male puoi tu farmi?

— Bella signora – soggiunse Danhasch – voi mi incontrate a proposito per sentire un fatto meraviglioso. Vengo dall’estremità della China, presso le ultime isole di questo emisfero. Il paese della China, donde vengo, è uno dei più grandi e più possenti regni della terra. Il Re presente si chiama Gaiour ed ha un’unica figliuola, la più bella che si sia mai veduta nell’universo dacché mondo è mondo. Ha i capelli bruni e sì lunghi che le discendono oltre i piedi e sono sì abbondanti da rassomigliare a quei grappoli d’uva i cui granelli sono d’una grossezza straordinaria, quando li ha accomodati a ricci sulla testa.

Chi non conoscesse bene il Re, padre di questa Principessa, crederebbe, dalle di lui dimostrazioni di tenerezza paterna, esserne egli innamorato. Non mai amante ha fatto per la sua più diletta donna quanto fa per lei. La più violenta gelosia non ha mai immaginato quello, che la cura di renderla inaccessibile, fuorché a colui che dovrà esserle sposo, gli ha suggerito di eseguire. Affinch’ella non avesse ad annoiarsi nel ritiro in cui l’ha rinchiusa, ha fatto fondare per lei sette palazzi, che non si è mai veduto nulla di simile.

Il primo di essi è di cristallo di ròcca, il secondo di bronzo, il terzo di fino acciaro, il quarto di un’altra specie di bronzo più prezioso del primo, il quinto di pietra di paragone, il sesto d’argento, il settimo di oro massiccio.

Sulla fama della bellezza incomparabile della principessa i più possenti re limitrofi mandarono a chiederla in isposa.

Il Re della China li accolse tutti egualmente: ma come non voleva maritare la principessa se non col consenso di lei, e non piacendo a costei niuno de’ partiti che le si proponevano, gli ambasciatori hanno dovuto ritirarsi.

— Sire – diceva la Principessa al Re della China – voi volete maritarmi, e credete con ciò farmi gran piacere; io ne sono persuasa, ve ne sono obbligatissima: ma ove potrò trovare, se non vicino alla Maestà Vostra, palagi sì superbi, e giardini sì deliziosi? S’aggiunga che sotto i vostri sguardi io non vengo costretta in nulla, e mi rendono gli stessi onori resi alla vostra persona. Io non godrò certo questi vantaggi in alcun altro luogo del mondo, a qualunque sposo voleste darmi. I mariti voglion esser sempre padroni, ed io non mi sento tale da lasciarmi comandare.

Dopo diverse ambasciate, ne giunse una dalla parte di un Re, più ricco e più potente di quelli finora presentatisi.

Il re della China ne parlò alla Principessa sua figliuola.

— Sire – diss’ella incollerita – non mi parlate più di questo matrimonio, né di alcun altro, altrimenti m’immergerò un pugnale nel seno e mi sottrarrò in tal modo alle vostre importunità!

— Figliuola mia voi siete una pazza, ed io da tale vi tratterò!

Infatti la fece rinchiudere in un solo appartamento d’uno dei sette palagi, dandole solamente due vecchie per tenerle compagnia e servirla, di cui una è la sua nutrice.

— Bella Maimoune – proseguì Danhasch – le cose sono a questo punto, ed io non manco di andare ogni giorno a contemplare quella incomparabile bellezza, cui sarei molto dolente d’aver fatto il minimo male ad onta della mia naturale malizia. Venite a vederla, ve ne supplico.

Invece di rispondere a Danhasch, Maimoune diede in uno scoppio di risa, e Danhasch non sapendo a che attribuirne la cagione, ne restò molto meravigliato.

Quand’essa ebbe finito di ridere:

— Buono! buono! – gli disse – tu volevi piantarmi una carota. Io credevo si trattasse di qualche cosa di sorprendente e di straordinario, e tu mi parli di una cisposa. Eh via, via che diresti adunque, maledetto, se tu avessi veduto come me il più bello dei principi? Sappi essergli avvenuta quasi la stessa cosa che alla Principessa di cui m’hai parlato.

Nel momento in cui ti parlo, è imprigionato in una vecchia torre, ove io abito e dove or ora l’ho ammirato.

— Io non voglio assolutamente contraddirvi – soggiunse Danhasch. – Il mezzo di convincervi, se io dico il vero o il falso, è di accettare la proposta fattavi di venire a vedere la mia principessa, e di mostrarmi poscia il principe.

— Non v’ha d’uopo ch’io mi prenda tanta pena. Va’ a prendere la tua principessa, e fa’ presto, t’aspetto.

Danhasch, allontanatosi dalla fata, andò nella China e ritornò con una sollecitudine incredibile, portando seco la bella Principessa addormentata.

Maimoune la ricevé e la introdusse nella camera del principe Camaralzaman, ove essi la posarono accanto a lui.

Quando il Principe e la Principessa furono così collocati, vi fu una gran questione sulla preferenza della loro bellezza tra il Genio e la Fata. Stettero alcun tempo ad ammirarli ed a paragonarli silenziosamente.

Danhasch ruppe il silenzio:

— Voi lo vedete – disse a Maimoune – ed io l’aveva detto essere la mia principessa più bella del vostro Principe. Ne dubitate voi ora?

— Come, se ne dubito? – rispose Maimoune – certamente che ne dubito!

La Fata batté la terra col piede: ne uscì un orrido Genio, gobbo, cieco d’un occhio e zoppo, con sei corna in testa, le mani e i piedi uncinati. Appena ne fu fuori, la terra si rinchiuse: nel vedere Maimoune, se le gittò ai piedi, e restando ginocchioni le chiese quello che desiderasse dal suo umile servitore.

— Alzatevi, Saschasch – era questo il nome del Genio – vi ho fatto venir qui per esser giudice d’una disputa che ho con questo maledetto Danhasch. Guardate questa coppia e diteci senza parzialità chi vi sembra più bello: il giovine o la giovane?

Saschasch guardò il principe e la principessa con segni di stupore e di ammirazione.

— Signora – disse a Maimoune – vi confesso che v’ingannerei e tradirei me stesso, se vi dicessi che trovo l’uno più bello dell’altra. Più li esamino e più li trovo belli entrambi.

Maimoune, cangiatasi in pulce saltò al collo di Camaralzaman, e lo punse sì forte ch’ei si svegliò e vi portò la mano: ma non prese niente, perché Maimoune aveva fatto prontamente un salto indietro, restando invisibile come i due Genii.

Nel ritirar la mano, il Principe la lasciò cadere su quella della Principessa della China. Egli aprì gli occhi, e fu meravigliatissimo di vedersi dappresso una donna di sì maravigliosa bellezza. Alzò la testa e s’appoggiò al gomito per meglio considerarla. La giovinezza della Principessa e la sua incomparabile bellezza rinfiammarono in un momento, ed in maniera non mai provata in vita sua.

L’amore s’impadronì del suo cuore nel più vivo modo, e non poté restarsi dallo esclamare:

— Quale bellezza! Quale incanto! Cuor mio! Anima mia!

E voleva risvegliarla: ma se ne trattenne improvvisamente.

— Il Sultano mio padre forse per sorprendermi ha inviato questa giovane signora, per vedere se veramente io avessi tanta avversione al matrimonio quanta ne ho dimostrata. Chi sa che non l’abbia condotta egli medesimo, che non istia nascosto per farsi vedere e farmi vergognare della mia risoluzione? Questo secondo fallo sarebbe assai più grande del primo; in ogni modo io mi contenterò di questo anello per ricordo di lei.

La principessa aveva al dito un bellissimo anello; ei glielo trasse destramente e vi mise il suo. Ciò fatto le rivolse il dorso e non ristette molto a riaddormentarsi profondamente come prima, per l’incanto de’ Genii.

Appena il Principe Camaralzaman fu bene addormentato, Danhasch a sua volta, trasformossi in pulce e andò a punzecchiare la Principessa alle labbra.

Ella si svegliò di soprassalto, ed assisasi sul letto fu molto meravigliata di vedere nella sua stanza un uomo. Poscia dalla sorpresa passò all’ammirazione, e da questa ad un’espressione di gioia, vedendo ch’era un giovane sì ben fatto e sì amabile.

— Come – esclamò – siete voi che mio padre mi ha dato in isposo? Son molto sciagurata di non averlo saputo. Io non l’avrei sdegnato, non sarei stata sì lungo tempo priva d’un marito, cui non posso tralasciar di amare con tutto il mio cuore.

E ciò detto la Principessa gli prese la mano, e baciandogliela teneramente s’accorse dell’anello che aveva al dito, e che gli parve similissimo al suo. Fu convinta esser lo stesso quando se ne vide un altro al dito, e non comprendendo come simile cambio fosse avvenuto, non dubitò punto non fosse la prova del loro matrimonio. Si coricò di nuovo e non tardò molto ad addormentarsi.

Quando Maimoune vide ch’essa poteva parlare senza temere che la Principessa della China si risvegliasse, gli disse:

— Ebbene! maledetto – diss’ella a Danhasch – sei tu convinto che la tua Principessa è men bella del mio Principe? Va’, voglio farti grazia della scommessa. Un’altra volta credi a quanto ti avrò accertato: – e volgendosi dalla parte di Saschasch dissegli:

— Quanto a voi vi ringrazio. Prendete la Principessa con Danhasch e riportatela insieme ove egli vi condurrà.

Danhasch e Saschasch eseguirono l’ordine di Maimoune, e costei si ritirò nel suo pozzo.

Il Principe Camaralzaman l’indomani, allo svegliarsi, si guardò allato per vedere se la donna che aveva veduta la notte vi fosse ancora e non scorgendola più:

— Non m’era sbagliato – disse tra sé – supponendo essere una sorpresa fattami dal re mio padre.

Risvegliò lo schiavo il quale dormiva ancora:

— Vieni qua e non mentire: come è venuta la donna veduta da me questa notte, e chi ve l’ha condotta?

— Principe – rispose lo schiavo – vi giuro di non saperne niente; per dove questa signora sarebbe ella venuta, dormendo io vicino alla porta?

— Tu sei un mentitore briccone, e d’accordo cogli altri per farmi affliggere ed arrabbiare di più! Io ti annegherò se non mi dici subito la signora chi era, e chi me l’ha condotta.

Lo schiavo molto impacciato disse tra sé:

— Senza dubbio, il Principe ha perduta la ragione ed io non posso sfuggirgli se non con una menzogna.

— Principe – gli disse poi con un tono supplichevole: – Lasciatemi la vita, ve ne scongiuro, e vi prometto di dirvi la cosa come sta.

Lo schiavo uscì, e dopo aver chiuso il Principe, corse dal Sultano:

— Sire – gli disse – son dolente di dovervi arrecare una nuova che non potrete ascoltare senza dispiacere. Il Principe dice di aver veduta stanotte una signora, e il modo con cui m’ha trattato, fa pur troppo scorgere non esser egli più nel suo buon senso.

Il Re, il quale non si aspettava questo nuovo soggetto di afflizione, disse al suo primo ministro:

— Ecco un tristissimo incidente. Andate, non perdete tempo, vedete voi stesso quello che è, e venite ad informarmene.

Il gran visir l’obbedì sul momento.

Nell’entrare nella camera del Principe lo trovò seduto ed assai calmo leggendo un libro. Dopo averlo salutato e sedutoglisi vicino, gli disse:

— Sono sdegnatissimo contro il vostro schiavo, il quale è venuto a spaventare il Re vostro padre con una tristissima notizia.

— Qual è la novella – rispose il Principe – che tanto lo ha spaventato? Io ho una ragione più forte di lagnarmi del mio schiavo.

— Principe – soggiunse il Visir – a Dio non piaccia che egli abbia detto il vero. Il buono stato in cui vi vedo, e nel quale prego il cielo di conservarvi, mi fa conoscere ch’egli ha mentito.

— Forse – replicò il principe – egli non s’è fatto ben comprendere: ma giacché siete venuto, son molto contento di domandare a una persona come voi, giacché dovete saperne qualche cosa, ove sia la signora che ho veduta questa notte.

— Principe, vi giuro non esservi niente di vero in tutto ciò che mi dite; né il Re, vostro padre, né io vi abbiamo inviata la signora di cui parlate; anzi non ne abbiamo avuto nemmeno il pensiero. Permettetemi di dirvi ancora una volta che voi non avete veduto la signora in quistione se non in sogno.

— Siete venuto dunque a burlarvi di me – replicò il Principe in collera.

Ciò detto, lo prese per la barba e lo caricò di calci. II povero gran Visir in mezzo ai colpi di cui il Principe lo caricava, trovò il mezzo di dire:

— Principe, vi supplico di darmi ascolto un momento!

Il Principe, stanco di batterlo, lo lasciò parlare.

— Io vi confesso – disse il gran Visir dissimulando – esservi qualche cosa di quello che credete. Ma voi già non ignorate le necessità in cui è un Ministro d’eseguire gli ordini del Re suo padrone. Se voi avete la bontà di permettermelo, son pronto d’andargli a dire da parte vostra quanto m’ordinerete.

— Ve lo permetto – gli disse il Principe – andate e ditegli che voglio sposare la signora che m’ha inviata; fate presto e portatemi la risposta.

Il gran Visir fece una profonda riverenza lasciandolo. Si presentò innanzi al re Schahzaman con una tristezza da affliggerlo.

— Ebbene? – gli domandò quel Monarca.

— Sire – rispose il Ministro – quello che lo schiavo ha riferito a Vostra Maestà è pur troppo vero.

Il Re volendo chiarirsi della verità da sé medesimo, andò alla torre. Il Principe Camaralzaman ricevette il Re suo padre nella camera ov’era prigioniero, con gran rispetto.

Il Re si sedette, e dopo aver fatto sedere il Principe vicino a lui, gli fece alcune domande, alle quali costui rispose assennatamente. Ogni tanto il Re guardava il gran Visir, come per dirgli che il Principe suo figliuolo non aveva perduta la ragione, com’egli aveva assicurato. Il Re finalmente parlò della signora al Principe.

— Sire – rispose Camaralzaman – supplico Vostra Maestà di non aumentare il dispiacere già statomi cagionato su questo proposito; fatemi piuttosto la grazia di darmela per consorte.

Il principe Camaralzaman raccontò allora al Re suo padre in qual modo s’era svegliato, gli esagerò la bellezza e le attrattive della donna da lui veduta, l’amore concepito per essa in un momento, come si fosse riaddormentato, dopo aver fatto il cambio del suo anello con quello della donna: e ciò detto glielo presentò.

— Sire, voi conoscete il mio, avendolo veduto più volte; dopo ciò spero sarete convinto non aver io perduta la ragione come vi si è fatto credere.

— Dopo quanto ho inteso, figliuol mio, e dopo aver veduto l’anello, non posso dubitare che la vostra passione non sia reale, e che voi non abbiate veduto la donna che vi ha infiammato. Piacesse al cielo che io la conoscessi, voi sareste contento ed io sarei il più felice padre del mondo: ma dove cercarla? com’è entrata qui? e se il cielo non ci favorisce, darà la morte a voi ed a me.

Il re Schahzaman trasse il Principe fuori della torre e lo condusse al Palazzo ove, disperato d’amare con tutta l’anima una donna sconosciuta si pose a letto.

Mentre queste cose avvenivano nella capitale del Re Schahzaman, i due Genii Danhasch e Saschasch avevano riportata la Principessa della China al Palazzo ove il Re suo padre l’aveva rinchiusa.

L’indomani allo svegliarsi la Principessa della China si guardò a destra ed a sinistra, e non vedendo più il principe Camaralzaman a suo lato, chiamò premurosamente le sue donne, le quali tosto accorsero.

La nutrice le domandò se le fosse avvenuto qualche cosa.

— Ditemi, che n’è avvenuto del giovane che amo con tutta l’anima e che ho veduto questa notte?

— Ma, principessa, – insistette la nutrice – quanto ci dite è impossibile, per quanto ne sappiano le vostre donne ed io.

La Principessa della China perdette la pazienza, prese la nutrice pei capelli, dandole schiaffi e pugni, e dicendole:

— Tu me lo dirai, vecchia strega, o t’accopperò!

La nutrice fece grandi sforzi per isfuggire dalle sue mani, e trattasene finalmente, se ne andò sollecitamente a trovare la Regina della China, madre della Principessa, e se le presentò colle lagrime agli occhi e il viso tutto pesto.

— Signora, vedete in qual modo mi ha trattata la Principessa, e m’avrebbe accoppata se non fossi sfuggita dalle sue mani.

Le raccontò poscia la cagione della sua collera e del suo trasporto, da cui la regina non fu meno afflitta che sorpresa.

— Voi vedete, signora – aggiunse terminando – che la Principessa è fuori del suo buon senno e ne giudicherete voi medesima se vorrete prendervi la pena di venirla a vedere.

Siccome la Regina della China amava moltissimo la sua figliuola, facendosi seguire dalla nutrice, andò sul momento a vedere la Principessa.

La Regina della China si assise vicino alla figliuola, giungendo nell’appartamento ov’era rinchiusa, e dopo averla interrogata della sua salute, e chiestale Ia ragione del suo sdegno contro la nutrice da lei maltrattata, le disse:

— Figliuola mia ciò non va bene, ed una Principessa come voi non deve mai giungere a tali eccessi.

— Signora – rispose la Principessa – vedo che Vostra Maestà viene per burlarsi di me: ma vi protesto di non aver calma finché non mi sarà dato per isposo l’amabile cavaliere veduto questa notte. Voi dovete sapere ov’egli è, e però vi supplico di farlo ritornare.

— Figliuola mia – soggiunse la regina – sono oltremodo sorpresa del vostro discorso, senza peraltro comprenderlo.

Ma, invece di ascoltarla, la principessa la interruppe, facendole delle stravaganze le quali costrinsero la regina a ritirarsi e andarsene a farne consapevole il re, il quale volendo assicurarsi da sé della cosa, e giunto all’appartamento della figliuola, le chiese se quanto gli era stato detto era vero.

— Sire – gli diss’ella – non parliamo di ciò: fatemi solamente la grazia di farmi sposa al giovine che ho veduto.

— Come, figliuola! Qual è quel giovane?

— Sire – replicò la principessa senza dargli il tempo di proseguire – voi mi dimandate se ho veduto qualcheduno? Vostra Maestà non ignora esser egli il più ben fatto sotto il cielo. Io ve lo ridomando: deh, non me lo ricusate, ve ne supplico! Ed affinché Vostra Maestà non dubiti di quanto dico, vedete, se vi piace, questo anello.

E, ciò dicendo, stese la mano, ed il re della China vide esser l’anello di un uomo. Ma non potendo comprender nulla di quanto gli aveva detto ed avendola rinchiusa per pazza, la ritenne più pazza di prima.

Però senz’altro dirle, temendo non gli facesse qualche violenza, la fece incatenare e chiudere più strettamente, dandole solo la nutrice per servirla con una buona guardia alla porta.

Il Re della China, inconsolabile della sciagura accaduta alla principessa sua figliuola, credendo aver essa perduta la ragione, pensò ai mezzi di guarirla.

Alcuni giorni dopo, per non aver a rimproverarsi di aver tralasciato alcun mezzo onde guarire la principessa, questo monarca fece pubblicare nella sua capitale, che se vi era qualche medico, astrologo o mago capace di ristabilirla in salute, venisse a presentarglisi colla condizione di perdere il capo qualora non la guarisse.

Il primo a presentarglisi fu un astrologo, e mago; il re lo fece condurre alla prigione della principessa da un eunuco.

L’astrologo trasse da un sacco portato sotto il braccio un astrolabio, una piccola sfera, uno scaldavivande, diverse specie di droghe atte alla fumicazione, un vaso di rame con parecchie altre cose, e chiese del fuoco.

La principessa della China domandò che significasse tutto quell’aparecchio.

— Principessa – rispose l’eunuco – gli è per scongiurare lo spirito maligno che vi possiede, rinchiuderlo in un vaso che vedete, e gettarlo in fondo al mare.

— Maledetto astrologo – esclamò la principessa – non ho bisogno dei tuoi preparativi, sono in tutto il mio buon senso; tu solo sei un insensato. Se hai qualche potere conducimi solamente quello che amo: questo è il solo servizio che tu possa rendermi.

— Principessa – rispose l’astrologo – se in tal modo va la bisogna, non da me, ma dal re vostro padre unicamente dovete attenderlo – e in ciò dire ripose nel suo sacco i suoi istrumenti.

Quando l’eunuco ebbe ricondotto innanzi al sovrano della China l’astrologo, costui senza aspettar altro disse:

— Sire, ho creduto, conformemente a quanto avete fatto pubblicare, che la principessa vostra figlia fosse pazza, ed ero sicuro di ristabilirla in salute pei secreti di cui ho cognizione: ma non ho durato molta fatica a conoscere non aver essa altra malattia se non quella d’amore; vostra Maestà vi rimedierà meglio degli altri, dandole il marito che essa desidera.

Il re trattò l’astrologo d’insolente e gli fece mozzare il capo.

Finalmente se ne presentò uno, fratello di latte della principessa, per nome Marzavan, la cui storia è la seguente:

Continua…


Troverai tanti altri racconti da leggere nella Mediateca di Pagina Tre (clicca qui!)


Liber Liber

Scopri sul sito Internet di Liber Liber ciò che stiamo realizzando: migliaia di ebook gratuiti in edizione integrale, audiolibri, brani musicali con licenza libera, video e tanto altro: https://www.liberliber.it/.

Fai una donazione

Se questo libro ti è piaciuto, aiutaci a realizzarne altri. Fai una donazione: https://www.liberliber.it/online/aiuta/.


QUESTO E-BOOK:

TITOLO: Storia della fata Maimoune e del genio Danhasch

DIRITTI D'AUTORE: no

LICENZA: questo testo è distribuito con la licenza specificata al seguente indirizzo Internet:
https://www.liberliber.it/online/opere/libri/licenze/

TRATTO DA: Le mille e una notte : novelle arabe. - Milano : Bietti, [1934]. - 541 p. : ill. ; 19 cm.

SOGGETTO:
FICTION PER RAGAZZI / Fantasy e Magia
FICTION PER RAGAZZI / Leggende, Miti, Fiabe / Generale