Il cavallo di bronzo. Fiaba.

di
Luigi Capuana

tempo di lettura: 9 minuti


C’era una volta un re e una regina che avevano una figliuola più bella della luna e del sole, e le volevano bene come alla pupilla degli occhi.

Un giorno venne uno e disse al re:

— Maestà, passavo pel bosco qui vicino e incontrai l’Uomo selvaggio. Mi disse: — Vai dal re e digli che voglio la reginotta per moglie. Se non l’avrò qui fra tre giorni, guai a lui.

Il re, sentendo questo, fu molto costernato e radunò Consiglio di corona.

— Che cosa doveva fare? L’Uomo selvaggio era terribile: poteva devastare tutto il regno…

— Maestà, disse uno dei ministri; cerchiamo una bella ragazza, vestiamola come la reginetta e mandiamola lì: l’Uomo selvaggio sarà contento.

Trovarono una ragazza bella come la reginotta, le fecero indossare uno dei più ricchi abiti di lei, e la mandarono nel bosco. Doveva dire che lei era la figlia del re.

Il giorno appresso quella ragazza tornò indietro.

— Che cosa è stato?

— Maestà, trovai l’Uomo selvaggio e mi domandò:

— Chi sei? — Sono la reginotta. — Lasciami vedere. — Mi sbottonò la manica del braccio sinistro e urlò:

— Non è vero! La reginotta, dice, ha una voglia in quel braccio! — E mi ha rimandato. Se fra due giorni non avrà lì la sposa, guai a voi!

Il re non sapeva che cosa fare e radunò di bel nuovo Consiglio di corona.

— L’Uomo selvaggio sa che la reginotta ha una voglia nel braccio sinistro ; è impossibile ingannarlo.

— Maestà, disse il ministro, cerchiamo un’altra ragazza, chiamiamo un pittore che le dipinga una voglia simile a quella della reginotta, vestiamola con uno dei suoi vestiti e mandiamola lì. Questa volta l’Uomo selvaggio non avrà da ridire.

Trovarono un’altra bella ragazza, le fecero dipingere una voglia sul braccio, simile a quella della reginotta, l’abbigliarono con uno dei più ricchi abiti di lei e la mandarono nel bosco. Dovea dire che lei era la figlia del re.

Ma il giorno appresso quella ragazza tornò indietro.

— Che cosa è stato?

— Maestà, trovai l’Uomo selvaggio e mi domandò:

— Chi sei? — Sono la reginotta. — Lasciami vedere. — Mi osservò tra i capelli e urlò: Non è vero! — La reginotta, dice, ha tre capelli bianchi sulla nuca. Se domani la sposa non sarà lì, guai a voi!

Il povero re e la povera regina avrebbero battuto il capo in un muro.

— Dunque dovevano buttare quella gioia di figliuola in braccio all’Uomo selvaggio?

— Maestà, dissero i Ministri, facciamo un ultimo tentativo. Cerchiamo un’altra ragazza. Il pittore le dipingerà la voglia sul braccio, le tingerà in bianco tre capelli sulla nuca; poi le metteremo indosso uno dei vestiti della reginotta e la manderemo lì. Questa volta l’Uomo selvaggio non avrà più da ridire.

Ma il giorno appresso ecco quella ragazza che torna indietro anch’essa.

— Che cosa è stato?

— Maestà, trovai l’Uomo selvaggio e mi domandò:

— Chi sei? — Sono la reginotta. — Lasciami vedere. — Mi osservò il braccio sinistro: — Va bene! — Mi osservò tra i capelli sulla nuca: — Va bene! — Poi prese un paio di scarpine ricamate e mi ordinò:

— Calza queste qui. — E siccome i miei piedi non c’entravano, urlò: — Non è vero! — E mi ha rimandato. Dice: Guai! Guai! Guai!

Allora i ministri:

— Maestà, ora succede certamente un disastro! Per la salvezza del regno bisogna sacrificare la reginotta!

Il re non sapeva rassegnarsi: avrebbe dato anche il sangue delle sue vene invece della figliuola! Ma il destino voleva così e bisognava piegare il capo.

La reginotta si mostrava più coraggiosa di tutti:

— Infine l’Uomo selvaggio non l’avrebbe mangiata! Indossò l’abito da sposa e accompagnata dal re, dalla regina, dalla corte e da un popolo immenso, tra pianti ed urli strazianti, s’avviò verso il bosco.

Arrivata lì, abbracciò il re e la regina confortandoli che sarebbe tornata a vederli, e sparì tra gli alberi e le macchie folte. Non si seppe più nuova di lei né dell’Uomo selvaggio.

Passato un anno, un mese e un giorno, arrivava a corte un forestiero che chiese di parlare col re. Era un nanetto alto due spanne, gobbo e sbilenco, con un naso che pareva un becco di barbagianni e certi occhietti piccini piccini. Il re non avea voglia di ridere, ma come vide quello sgorbio non seppe frenarsi.

— Che cosa voleva?

— Maestà, — disse il Nano: — vengo a farvi una proposta. Se mi darete mezzo regno e la reginotta per moglie, io andrò a liberarla dalle mani dell’Uomo selvaggio.

— Magari! rispose il re. Non mezzo, caro amico, ma ti darei il regno intiero.

— Parola di re non va indietro.

— Parola di re!

Il Nano partì.

E non era trascorsa una settimana che il re riceveva un avviso:

— Domani allo spuntar del sole, si trovasse presso il bosco, colla regina, con la corte e con tutto il popolo, per far festa alla sua figliuola che ritornava!

Il re e la regina non osavano credere: dubitavano che quello sgorbio non si facesse beffa di loro: pure andarono. E allo spuntar del sole, ecco il Nanetto gobbo e sbilenco che conduceva per mano la reginotta vestita da sposa come quando era entrata nel bosco per l’Uomo selvaggio.

Figuriamoci che allegrezza!

Le feste e i banchetti non finivano più. Ma di nozze non se ne parlava e della metà del regno nemmeno.

Il re, ora che avea lì la figliuola e che l’Uomo selvaggio era stato ucciso dal Nano, non intendeva più saperne di mantener la sua parola. Il Nano, di quando in quando, gli domandava:

— Maestà, e le mie nozze?

Ma quello cambiava discorso: da quell’orecchio non ci sentiva.

— Maestà, e la mia metà del regno?

Ma quello cambiava discorso: da quell’altro orecchio non ci sentiva neppure.

— Bella parola di re! — gli disse il Nano una volta.

— Ah, nanaccio impertinente!

E il re gli tirò un calcio alla schiena che lo fece saltar dalla finestra.

— Doveva esser morto!

Andarono a vedere in istrada; ma il Nano non c’era più. Si era rizzato di terra, si era ripulito il vestitino ed era andato via, lesto lesto, come se nulla fosse stato.

— Buon viaggio! — disse il re, tutto contento.

Ma la reginotta, da quel giorno in poi, diventò di malumore: non diceva una parola, non rideva più, andava perdendo il colorito.

— Che cosa ti senti, figliuola mia?

— Maestà, non mi sento nulla; ma… chi dà la sua parola la dovrebbe mantenere.

— Come? Lei dunque voleva quel nano gobbo e sbilenco?

— Non intendeva dir questo; ma… chi dà la sua parola la dovrebbe mantenere.

Anche la regina non viveva tranquilla.

— Quel Nano era potente: aveva vinto l’Uomo selvaggio: doveva tramare qualche brutta vendetta!

Il re rispondeva con una spallata:

— Se quello sgorbio gli veniva un’altra volta dinanzi!

Ma la reginotta ripeteva:

— Chi dà la sua parola la dovrebbe mantenere! Intanto s’era sparsa la notizia che la reginotta era stata liberata dalle mani dell’Uomo selvaggio, e il reuccio di Portogallo mandò a domandarla per moglie.

La reginotta non disse di sì, né di no; ma il re e la regina non videro l’ora di celebrare le nozze.

Il reuccio di Portogallo si mise in viaggio, e per via incontrò un uomo che conduceva un gran carro con su un bel cavallo di bronzo che pareva proprio vivo.

— O quell’uomo, dove lo portate cotesto cavallo di bronzo?

— Lo porto a vendere.

Il reuccio lo comprò e ne fece un regalo a suo suocero.

Il giorno delle nozze era vicino. La gente accorreva in folla nel giardino del re dove il cavallo di bronzo era stato collocato sur un magnifico piedistallo. Restavano meravigliati:

— Par proprio vivo! Par di sentirlo nitrire! Scese a vederlo anche il re con la corte; e tutti:

— Par proprio vivo! Par di sentirlo nitrire!

Solo la reginotta non diceva nulla.

Il reuccio, sorpreso, le domandò:

— Reginotta, non vi piace?

— Mi piace tanto, rispose lei, che sento una gran voglia di cavalcarlo.

Fecero portare una scala e la reginotta montò sul cavallo di bronzo. Gli tastava il ciuffo, gli accarezzava il collo, lo spronava nei fianchi, leggermente, col tacco e intanto diceva, scherzando:

Cavallo, mio cavallo,
Salta dal piedistallo;
Non mettere il piede in fallo,
Cavallo, mio cavallo.

Non ha finito di dir così che il cavallo di bronzo si scuote, agita la criniera, dà fuori un nitrito e via con un salto per l’aria. In un batter d’occhio cavallo e reginotta non si videro più:

Tutti erano atterriti, non osavano rifiatare. Ma in mezzo a quel silenzio scoppia a un tratto una risatina, una risatina di canzonatura.

— Ah! ah! ah!

Il re guardò e vide il Nano che si contorceva dalle risa con quella sua gobbetta e quelle sue gambine sbilenche. Capì subito che quel cavallo fatato era opera del nano.

— Ah, Nano, nanuccio! — gli disse pentito. — Se tu mi rendi la mia figliuola, essa sarà tua sposa con mezzo regno per dote.

Il Nano continuava a contorcersi dalle risa:

— Ah! ah! ah!

E a vedergli fare a quel modo, tutta quella gran gente ch’era lì cominciarono a ridere anch’essi, e poi la corte e poi perfino la regina:

— Ah! ah! ah!

Si tenevano i fianchi, non ne potevano più. Soltanto quel povero re rimaneva lì così afflitto e scornato che faceva pietà.

— Ah! Nano, nanino bello! Se tu mi rendi la mia figliuola, essa sarà tua sposa con mezzo regno per dote.

— Maestà, se dite per davvero, rispose il Nano, prima dovrete riprendervi quel che mi deste l’altra volta.

— Che cosa ti diedi?

— Un bel calcio nella schiena.

Il re esitava, avea vergogna di ricevere un calcio in quel posto davanti il popolo e la corte. Ma l’amore della figliuola gli fece dire di sì.

Si rivoltò colle spalle al Nano e stié ad aspettare la pedata; però il Nano volle mostrarsi più generoso di lui; e invece di menargli il calcio, disse:

Cavallo, mio cavallo,
Non metter piedi in fallo;
Torna sul piedistallo,
Cavallo, mio cavallo.

In un batter d’occhio, cavallo e reginotta furono lì. Allora il Nano disse al re:

— Maestà, datemi un pugno sulla gobba!… Non abbiate paura.

Il re gli diede un pugno sulla gobba e questa sparì.

— Maestà, datemi una tirata alle gambe! Non abbiate paura!

Il re gli diè una tirata alle gambine e queste, di botto, gli si raddrizzarono.

— Maestà, afferratemi bene, voi per le braccia, e stiratemi forte. Il re e la regina lo afferrano l’uno pei piedi, l’altra per le braccia e tira, tira, tira, il Nano, da nano che era, diventò un bel giovane di alta statura.

Il reuccio del Portogallo si persuase che era di troppo e disse:

— Datemi almeno quel cavallo: farò la strada più presto.

Montò sul cavallo di bronzo, e dette le parole fatate, in un colpo sparì.

La reginotta e il Nano (lo chiamarono sempre così) furon moglie e marito.

E a noi rimane da leccarci le dita!

Fine.


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QUESTO E-BOOK:
TITOLO: Il cavallo di bronzo. Fiaba.
AUTORE: Luigi Capuana
DIRITTI D'AUTORE: no
LICENZA: questo testo è distribuito con la licenza specificata al seguente indirizzo Internet:
https://www.liberliber.it/online/opere/libri/licenze/

TRATTO DA: Giornale per i bambini / diretto da Ferdinando Martini ; [poi] da C. Collodi. – Roma : [Tipografia del Senato], 1881-1883.
SOGGETTO: JUV038000 FICTION PER RAGAZZI / Brevi Racconti


Audiolibro realizzato all’interno del progetto Libro Parlato in collaborazione con l’associazione “Leggere Per…” e gli alunni del liceo musicale Palizzi di Napoli. Voce di Laura Basile.