Negore il vile

di
Jack London

tempo di lettura: 19 minuti


Seguiva da undici giorni la pista della sua tribù in fuga, e il suo stesso inseguimento era una ritirata; perchè egli sapeva bene che dietro di lui vi erano i Russi temuti, i quali, nella loro marcia attraverso pianure paludose e montagne dirute, non avevano altro scopo che di sterminare tutti i suoi. Viaggiava con un carico leggero: una coperta di pelle di coniglio per la notte, una carabina ad avancarica e qualche libbra di salmone seccato al sole formavano tutto il suo equipaggiamento. Ed egli sarebbe stato sorpreso del fatto che una tribù intera, uomini, donne, bambini e vecchi, potesse marciare con tanta rapidità, se non avesse conosciuto il terrore che li cacciava avanti.

Era l’epoca in cui i Russi occupavano l’Alaska, allorchè, il diciannovesimo secolo era appena alla metà del suo corso, quando Negore si lanciò dietro la sua tribù fuggiasca e la raggiunse una sera d’estate, presso le sorgenti del Pee-lat. Quantunque fosse vicina la mezzanotte, era chiaro come di pieno meriggio, nel momento in cui attraversò il misero accampamento. Molti lo videro e lo riconobbero; ma i saluti che ricevette furono freddi e rari.

«Negore il vile» intese dire ridendo da Illiha, una fanciulla; e Sun-ne, la figlia di sua sorella, rise con lei.

Una collera cieca gli rodeva il cuore; ma nulla apparve esternamente mentre passava in mezzo ai fuochi del campo, fino al punto dove un vecchio era seduto. Una fanciulla faceva dei massaggi con le sue abili dita ai muscoli stanchi del vecchio. Questi levò in su un viso da cieco ed ascoltò con le orecchie tese lo scricchiolio di un ramoscello morto sotto i piedi di Negore.

— Chi è? – domandò con voce debole e tremante.

Il volto di Negore era senza espressione; per lunghi minuti rimase in piedi, nell’attesa. I1 vecchio aveva lasciato ricadere il capo sul petto. La fanciulla, in ginocchio, comprimeva e frizionava i muscoli irrigiditi, ed il suo capo chino era quasi nascosto in una nuvola di capelli neri. Negore guardò il corpo agile che si piegava sulle anche con la flessibilità di una lince, sottile come un giovane salice, pur essendo forte come la sola giovinezza è forte. Guardò e provò un gran desiderio, che somigliava alla fame, e disse:

— Non vi è un saluto per Negore, che da gran tempo era partito e che ora ritorna?

Ella lo guardò freddamente; il vecchio si mise a ridere piano, come fanno i vecchi.

— Oona, tu sei mia moglie – disse Negore, elevando una voce nella quale era un tono di minaccia.

La fanciulla sorse in tutta la sua altezza con una rapidità e una disinvoltura felina, gli occhi brillanti e le narici palpitanti come quelli di una cerbiatta.

— Dovevo essere tua moglie, Negore, ma tu sei un vile e la figlia del vecchio Kinoos non si unisce a un vile.

Negore fece per parlare, ma ella gli chiuse la bocca con un gesto di comando.

— Il vecchio Kinoos ed io siamo giunti fra voi, venendo da una terra straniera. La tua tribù ci ha riscaldati senza domandare donde venissimo, né perché fossimo venuti. Essi credevano che il vecchio Kinoos avesse perduto gli occhi per la vecchiaia; Kinoos ed io abbiamo lasciato loro creder questo. Il vecchio Kinoos è un uomo coraggioso, ma non è mai stato un millantatore. Ed ora, quando t’avrò detto come la cecità gli è venuta, tu saprai, senza far domanda, perché la figlia di Kinoos non vuole allevare figli di un vile come te, Negore…

Una volta ancora arrestò le parole che il giovane aveva sulle labbra.

— Sappi, Negore, che se tu mettessi in fila tutti i viaggi di questo paese, non giungeresti fino a Sitka l’ignota, sul gran mare salato. Là vi sono molti Russi e la loro legge è dura. Da Sitka il vecchio Kinoos, che era giovane allora, fuggì con me, che ero una bambina, portandomi nelle braccia, verso le isole nel mezzo del mare. La morte di mia madre fu la storia della sua sventura; un russo ucciso con uno spiedo, attraverso la schiena e il petto, è la storia della vendetta di Kinoos.

«Ma dovunque noi fuggissimo e per quanto lontano andassimo, trovavamo sempre il Russo detestato. Kinoos non aveva paura, ma la vista dei Russi gli faceva male agli occhi. Per questo fuggimmo sempre più lontano, attraverso i mari e gli anni, fino al nostro arrivo al mare della Grande Nebbia, Negore, di cui tu hai udito parlare, ma che non hai mai veduto. Vivemmo fra molti popoli ed io crebbi: Kinoos invecchiato non prese un’altra moglie, ed io non presi marito.

«Infine giungemmo a Pastolik, che sorge dove lo Yukon si versa nel mare della Grande Nebbia. Là vivemmo a lungo fra uomini che odiavano i Russi. Ma talvolta quei Russi venivano in grandi battelli e domandavano agli uomini di Pastolik di mostrare loro le isole innumerevoli dello Yukon dalle bocche numerose. E talvolta gli uomini che essi prendevano per guidarli non tornavano, ciò che fece entrare in furore gli uomini e li indusse a preparare un piano.

«Così, quando un battello giunse, il vecchio Kinoos si avanzò e disse che egli mostrerebbe il cammino. Era già vecchio e i suoi capelli erano bianchi; ma non aveva paura. Ed era astuto, perchè condusse il battello nel punto dove il mare ha una corrente che va verso la terra e dove le onde bianche battono una montagna chiamata Romanoff. Il mare trascinò il battello in un posto dove battevano le onde bianche e gli squarciò il fianco. Allora giunsero tutti gli uomini di Pastolik (perchè era questo il loro piano) con gli spiedi di guerra, le frecce e i fucili. Ma per prima cosa i Russi accecarono il vecchio Kinoos, affinchè egli non li guidasse mai più. Poi si batterono col popolo di Pastolik, in quel posto dove le onde erano bianche.

«Il capo dei Russi era un certo Ivan; fu lui a cavare coi suoi due pollici gli occhi di Kinoos. Fu lui a lottare per passare attraverso le onde bianche coi due uomini che gli restavano di tutta la sua truppa; egli non poteva vedere ed era impotente come un bambino. Fuggì lungi dal mare risalendo il grande Yukon strano, fino a Nulato, ed io fuggii con lui.

«Ecco quello che fece mio padre Kinoos, un vecchio. Ma che fece il giovane Negore?

Una volta ancora ella gli impose silenzio.

— Ho veduto questo con i miei occhi, a Nulato, davanti alle porte del gran forte, appena qualche giorno fa. Ho veduto Ivan, il Russo, colui che ha accecato mio padre, sferzarti con la sua frusta da cani e batterti come un cane. L’ho veduto coi miei occhi, ed ho saputo che tu eri un vile. Ma non ti ho veduto quella notte, quando tutti i tuoi, anche i fanciulli che non sono ancora cacciatori, si gettarono sui Russi e li uccisero tutti.

— Non Ivan – disse Negore con calma. – Egli è ora sulla nostra pista, e con lui molti Russi che sono giunti per mare.

Oona non fece alcuno sforzo per nascondere la sorpresa ed il dolore che provava nel sapere che Ivan non era morto, e continuò:

— Il giorno, seppi che eri un vile; la notte, quando tutti si battevano, anche i piccoli ragazzi, non ti vidi e compresi che eri doppiamente vile.

— Hai finito? Completamente finito? – domandò Negore.

Ella scosse il capo e lo guardò di traverso, come annoiata che egli avesse qualche cosa da dire.

— Sappi dunque che Negore non è un vile – egli disse, e la sua voce era molto bassa e calma. – Sappi che quando ero appena un fanciullo, viaggiai solo fino al posto dove lo Yukon si getta nel mare della Grande Nebbia. Andai fino a Pastolik, anche più lontano, nel Nord, lungo la riva del mare. Ho fatto questo, quando ero un bambino, e non ero vile. E non ero vile, quando, giovanetto, viaggiai tutto solo, risalendo lo Yukon più lontano di chiunque, così lontano che incontrai un altro popolo dal viso bianco, che vive in una grande fortezza e che parla una lingua differente da quella dei Russi. Ho ucciso così il Grande Orso nel distretto di Tanana, dove nessuno della mia tribù è mai stato. Mi sono battuto coi Naklukyet e coi Kaltag, e con gli Stick nelle regioni lontane, io stesso, tutto solo. Questi fatti che nussun uomo conosce, io li racconto per la prima volta. Lascia che la mia tribù parli di me, e di quel che mi ha veduto fare. Essa non dirà che Nagore è un vile.

Finì con accento di fierezza ed attese.

— Quelle cose sono accadute prima della mia venuta nel paese – ella disse – ed io le ignoro. Ma quel che so, e ti ho veduto frustato come un cane allorchè il gran forte bruciava e gli uomini uccidevano ed erano uccisi. D’altronde, i tuoi ti chiamano Negore il vile. È ora il tuo nome: Negore il vile.

— Non è un bel nome – brontolò il vecchio Kinoos.

— Kinoos, tu non comprendi – disse Negore dolcemente, ma io ti farò comprendere. Sappi che andai alla caccia all’orso con Kamo-tah, il figlio di mia madre, e Kamo-tah si battè con un grande orso. Non avevamo carne da tre giorni, e Kamo-tah non aveva il braccio forte nè il piede agile.

«E il grande orso lo stritolò, così, in modo da fare scricchiolare le sue ossa come legno morto. Lo trovai in questo modo, malatissimo e gemente a terra. E non c’era carne e io non potevo uccidere nulla affinchè l’uomo potesse mangiare.

«Allora dissi: «Andrò a Nulato a cercarti del cibo e degli uomini forti per portarti al campo». E Kamo-tah disse: «Vai a Nulato e portami del cibo, ma non dire a nessuno quel che mi è accaduto. Quando avrò mangiato ed avrò ripreso le forze, ucciderò quell’orso. Allora tornerò a Nulato con onore, e nessuno potrà ridere dicendo che Kamo-tah è stato vinto da un orso».

«Seguii le raccomandazioni di mio fratello, e quando, giunto a Nulato, Ivan il Russo mi sferzò con la frusta dei cani, io seppi che non dovevo battermi perchè nessuno sapeva che Kamotah era malato, gemente ed affamato, e se mi fossi battuto con Ivan e fossi stato ucciso, mio fratello sarebbe morto anche lui. È per questo, Oona, che mi hai visto battuto come un cane. Poi udii gli sciamani e i capi dire che i Russi avevano ucciso i nostri uomini e rubato le nostre donne, e che il paese doveva essere purificato. Come ti dico, udii quel che dicevano; compresi che erano parole vere, e che quella notte i Russi sarebbero stati uccisi. Ma vi era mio fratello Kamotah malato e gemente e senza carne. Non potevo dunque restare e combattere con gli uomini e coi fanciulli.

«Presi con me la carne e il pesce, e i segni della frusta di Ivan, e trovai Kamo-tah non più gemente: era morto. Allora tornai a Nulato, e non vi era più Nulato; nulla all’infuori di ceneri là dove era la grande fortezza, e i corpi di molti uomini. E vidi i Russi risalire lo Yukon in battello, venendo dal mare, in gran numero, e vidi Ivan uscire dal suo nascondiglio e parlare con loro. Il giorno seguente, vidi Ivan condurli sulle tracce della tribù. A quest’ora, essi sono sulla nostra pista, ed io sono qui, io Negore, e non un vile.

— È una storia che odo – disse Oona, con voce tuttavia più dolce di prima. – Kamo-tah è morto e non può parlare per te, e non so altro all’infuori di quello che ho veduto, e occorre che coi miei propri occhi riconosca che non sei un vile.

Negore fece un gesto d’impazienza.

— Vi sono varî mezzi – ella aggiunse. – sei pronto a fare quanto ha fatto il vecchio Kinooa?

Il giovane accennò affermativamente col capo e attese.

— Come tu dici, questi Russi sono ancora al nostro inseguimento. Mostra loro il cammino, Negore, come il vecchio Kinoos ha mostrato loro il cammino, in modo che vengano senza esser preparati nel sito dove noi li attendiamo, ad un passaggio in mezzo alle rocce. Conosci il sito dove la parete è alta e diruta. Allora li distruggeremo tutti, anche Ivan. Mentre essi si arrampicheranno lungo la muraglia come mosche e saranno a metà strada, i nostri uomini cadranno su di loro dall’alto e da ogni lato con gli spiedi, le frecce e i fucili. Le donne e i fanciulli, dalle cime, staccheranno grandi rocce e le lasceranno rotolare su loro. Sarà un gran giorno, perchè tutti i Russi saranno uccisi, il paese ne sarà ripulito e lo stesso Ivan sarà ucciso, lui che ha accecato mio padre, lui che ti ha sferzato con la frusta dei cani. E come un cane arrabbiato egli morrà, col respiro schiacciato sotto le rocce. E quando il combattimento comincerà, starà a te, Negore, di strisciar lontano, senza lasciarti vedere per non essere ucciso.

— Ebbene – egli rispose – Negore mostrerà loro il cammino, e poi?

— Allora io sarò tua moglie, la moglie di Negore, la moglie dell’uomo coraggioso. E tu caccerai la carne per me e per il vecchio Kinoos, ed io cuocerò il tuo cibo e ti preparerò le pelli calde e solide e ti farò i mocassini alla maniera del mio popolo. E come ti ho detto, Negore, sarò tua moglie, sempre tua moglie, e farò la tua vita gioiosa. Ognuno dei tuoi giorni sarà una canzone ed un riso e tu vedrai che Oona è diversa dalle altre donne, perchè ha viaggiato lontano, è vissuta in paese stranieri, conosce gli uomini e i modi di piacer loro. E nella tua vecchiaia, ella ti renderà ancora felice, e la memoria che serberai di lei, di quando tu avevi la tua forza, ti sarà dolce, perchè saprai che ella è sempre stata per te la pace ed il riposo e che è stata una donna fra le altre donne.

— Sta bene – disse Negore.

E la fame che aveva di lei gli rodeva il cuore, e le sue braccia si tendevano verso di lei come quelle di un affamato che si tendono verso il cibo.

— Quando avrai mostrato il cammino, Negore – ella disse duramente; ma i suoi occhi erano dolci e pieni di passione, ed egli sapeva che la fanciulla lo guardava come mai donna lo aveva guardato prima di allora.

— Sta bene – disse risolutamente, girando sui talloni. – vado ora a discutere coi capi, affinchè sappiano che parto per mostrare il cammino ai Russi.

— Oh, Negore! Mio uomo, mio uomo! – esclamò la fanciulla come fra sé, mentre lo guardava allontanarsi; ma lo disse così piano che neanche il vecchio Kinoos l’intese, benchè il suo udito fosse acutissimo, tanto più acuto in quanto egli era cieco.

Tre giorni più tardi, avendo, con astuzia, celato malamente le proprie tracce, Negore fu snidato come un topo, e trascinato davanti ad Ivan, Ivan il terribile, come lo chiamavano gli uomini del suo seguito. Negore era armato del suo spiedo con la punta d’osso e teneva la sua pelliccia di coniglio stretta intorno al corpo; e quantunque il giorno fosse caldo, tremava come se avesse la febbre. Scosse il capo per mostrare che non comprendeva quel che Ivan gli diceva, e indicò che era molto stanco e malato e che non desiderava altro che sedersi e riposarsi. E metteva la mano sul ventre per mostrare che era malato, e che tremava forte.

Ma Ivan aveva con sè un uomo di Pastolik che parlava la lingua di Negore. Le domande che gli rivolsero sulla sua tribù furono numerose, ma vane, finchè l’uomo di Pastolik, che si chiamava Karduk, disse:

— La parola di Ivan è che tu sia frustato finchè tu muoia, se non parli. E sappi, fratello straniero, che quando ti dico che la parola di Ivan è legge, sono tuo amico e non quello di Ivan. Sono venuto infatti contro il mio desiderio dal mio paese vicino al mare, e desidero fortemente vivere; perciò ubbidisco alla volontà del padrone Ivan, come gli ubbidirai tu, fratello straniero, se sei saggio e se desideri vivere.

— No, fratello straniero – disse Negore; – non so da quale parte la mia tribù sia andata, perchè ero malato ed essi sono fuggiti così presto che le mie gambe si sono piegate e sono restato indietro.

Negore attese mentre Karduk parlava con Ivan; poi Negore vide il volto del Russo divenire cupo, e vide gli uomini venire verso di lui facendo scoppiettare le fruste. Allora mostrò una grande paura e gridò ad alta voce che era malato, che non sapeva nulla, ma che direbbe quel che sapeva. E dopo che ebbe parlato, Ivan diede l’ordine agli uomini di avanzare; da ciascun lato di Negore camminavano gli uomini armati di frusta, affinchè egli non potesse fuggire. Quando diceva di essere debole a causa della sua malattia, quando vacillava o rallentava il passo, essi abbattevano le fruste affinchè egli gridava di dolore e ritrovava una forza nuova. E quando Karduk gli disse che tutto andrebbe bene non appena avessero raggiunta la sua tribù, egli domandò:

— Allora potrò riposarmi e non più muovermi?

E senza posa domandava:

— Allora potrò riposarmi e non più muovermi?

E mentre sembrava assai malato e con gli occhi vaghi si guardava intorno, osservò il numero dei soldati di Ivan, e vide con soddisfazione che questi non riconosceva in lui l’uomo che aveva battuto davanti alle porte del forte. Vi erano cacciatori di Slavonia, dalla pelle bianca e dai muscoli poderosi; Finlandesi, piccoli e tozzi, che avevano il naso piatto ed il viso rotondo; meticci siberiani il cui naso era a becco d’aquila; ed uomini magri, con gli occhi profondamente incavati e che avevano nelle vene sangue mongolo e tartaro insieme con sangue slavo. Erano tutti avventurieri selvaggi, rapinatori e distruttori che venivano da paesi lontani, dall’altra parte del mare di Bering e che devastavano col ferro e col fuoco il mondo sconosciuto e nuovo, delle cui ricchezze in pelli e pellicce s’impadronivano avidamente. Negore li guardò con soddisfazione, e nella sua immaginazione li vide schiacciati e senza vita nel passaggio delle rocce. E vedeva senza posa in quel medesimo passaggio, in attesa di lui, il volto di Oona, e senza posa udiva la sua voce e sentiva il caldo sguardo dei suoi occhi. Ma non dimenticava un istante di tremare nè di gridare sotto il morso della frusta. Aveva, inoltre, paura di Karduk, perchè sapeva che non era un uomo del quale potesse fidarsi: aveva l’occhio falso e la lingua agile, una lingua troppo sciolta, pensava.

Camminarono tutto il giorno. L’indomani, quando Karduk l’interrogò per ordine di Ivan, disse di dubitare che potessero raggiungere la sua tribù prima del giorno seguente; ma Ivan non credeva più nulla, perchè era stato guidato una volta dal vecchio Kinoos, il quale aveva trovato il cammino che portava all’acqua bianca di schiuma ed alla battaglia sanguinosa. Così, quando giunsero alla gola fra le rocce, arrestò i suoi quaranta uomini, e per mezzo di Karduk chiese se il passaggio era libero.

Negore guardò la gola rapidamente e con indifferenza. Era un’immensa frana che si era staccata dalla parete di roccia e che, ricoperta di cespugli e di piante rampicanti, avrebbe potuto nascondere varie tribù.

Scosse il capo.

— No, non vi è nulla qui – disse: – il cammino è aperto.

Ivan parlò di nuovo a Karduk e Karduk disse:

— Sappi, fratello straniero, che se le tue parole non sono vere e se la tua tribù sbarra il passaggio ed attacca Ivan ed i suoi uomini, tu morrai, ed immediatamente.

— La mia parola è diritta – disse Negore: – il cammino è libero.

Ivan dubitava ancora, ordinò a due dei suoi cacciatori di avanzare soli, e due altri uomini, ad un suo ordine, si misero ai fianchi di Negore. Gli appoggiarono i fucili contro il petto ed attesero, Attesero tutti; e Negore sapeva che se una freccia volava o se una lancia era scagliata, la morte sarebbe per lui. I due Slavoni salirono in avanti, e divennero sempre più piccoli, e quando, giunti in alto, agitarono il cappello per far segno che tutto andava bene, apparivano come punti neri sull’orizzonte. I fucili furono allontanati dal petto di Negore, ed Ivan comandò ai suoi uomini di avanzare. Ivan era silenzioso, perduto nei suoi pensieri. Per un’ora camminò come assillato dalla curiosità, poi domandò a Negore con l’intermediario Karduk:

— Come sapevi che la strada era libera dopo averla esaminata solo per così poco tempo?

Negore pensò agli uccellini che aveva veduti appollaiati fra le rocce e sui cespugli, e sorrise, perchè era così semplice; ma si strinse nelle spalle e non rispose, perchè pensava ad un altro passaggio fra le rocce nel quale sarebbero giunti fra poco e donde gli uccellini si sarebbero tutti involati. Era contento che Karduk fosse venuto dal Gran Mare della Nebbia, dove non c’erano alberi nè cespugli e dove gli uomini apprendono le cose del mare, e non quelle della terra o della foresta.

Tre ore più tardi, quando il sole era sopra la loro testa, giunsero ad un altro passaggio nelle rocce, e Karduk disse:

— Guarda con tutti i tuoi occhi, fratello straniero, e vedi se il cammino è libero, perchè Ivan non attenderà questa volta che due uomini vadano avanti.

Negore guardò, mentre due uomini ai suoi fianchi appoggiavano la bocca dei fucili contro il suo petto. Vide che gli uccellini erano partiti, e vide una volta il riflesso del sole sopra una canna di fucile. E pensò ad Oona ed alle sue parole: «Quando il combattimento incomincerà, occorrerà che tu sparisca segretamente per non essere ucciso».

Sentì i due fucili appoggiati sul petto; questo non era nel piano che ella aveva immaginato; egli non avrebbe potuto fuggire e sarebbe stato il primo a morire appena il combattimento fosse cominciato.

— Il cammino è libero.

Disse questo con voce ferma, fingendo di avere gli occhi turbati e di tremare per la malattia.

E si mossero tutti, Ivan ed i suoi quaranta uomini delle contrade oltre il mare di Bering, e Karduk, l’uomo di Pastolik, e Negore che aveva sempre i due fucili contro il suo corpo. Fu una lunga ascensione; non potevano avanzare rapidamente, ma sembrava a Negore che si avvicinassero molto presto al posto che era a metà strada.

Un colpo di fucile partì dalle rocce a destra e Negore udì il grido di guerra della sua tribù; e per un momento vide le rocce e i cespugli animarsi di uomini. Poi si sentì squarciato da una fiammata ardente che attraversò il suo essere; e, mentre cadeva, conobbe l’agonia della vita che si scuote dalla carne per liberarsi.

Ma egli trattenne la vita con l’artiglio di un avaro e non volle lasciarla. Respirava ancora l’aria che gli mordeva i polmoni con una dolcezza dolorosa; vedeva ed udiva vagamente, con intervalli di cecità e di sordità, lampi di luce e suoni.

Vide i cacciatori di Ivan cadere e i suoi propri fratelli, in piena carneficina, che riempivano l’aria del tumulto delle loro voci e delle loro armi, ed alla sommità del passaggio le donne e i fanciulli staccare grandi rocce, che balzavano come cose animate e cadevano con fracasso.

Il sole danzava sopra di lui nel cielo, poi le grandi muraglie di roccia vacillarono e si abbatterono, mentre egli continuava a udire ed a vedere vagamente. E quando il grande Ivan cadde di traverso, gettato lì senza vita, schiacciato da una roccia, rammentò gli occhi ciechi del vecchio Kinoos e fu felice.

Poi i suoni morirono, i blocchi di roccia non caddero più e vide gli uomini della sua tribù avanzare a poco a poco, uccidendo i feriti sul loro passaggio. Accanto a lui, intese la lotta di un possente Slavo che non voleva morire, e che gli spiedi avidi avevano abbattuto.

Poi vide sopra di sè il volto di Oona e sentì le braccia di lei che lo cingevano, e per un istante il sole si arrestò e le grandi muraglie restarono diritte e immobili. «Tu sei un uomo coraggioso».

La udì che gli diceva in un orecchio:

— Tu sei il mio uomo, Negore.

E durante quell’attimo, egli visse tutta la vita di gioia, di riso e di canti, di cui ella gli aveva parlato, e, mentre il sole abbandonava il cielo sopra la sua testa, seppe che il ricordo che aveva di lei era dolce, come se già fosse giunto alla vecchiaia.

Ed anche nel momento nel quale il ricordo si dileguava e moriva nella tenebra che lo ricopriva, conobbe fra le braccia di lei l’avverarsi di tutta la dolcezza e del riposo che ella gli aveva promesso. Mentre la notte nera lo avviluppava, col capo sul seno della sua donna, sentì una gran voce venire a lui, il crepuscolo cancellarsi, ed entrò nel mistero del silenzio.

Fine.


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TITOLO: Negore il vile
AUTORE: Jack London

DIRITTI D'AUTORE: no

LICENZA: questo testo è distribuito con la licenza specificata al seguente indirizzo Internet:
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TRATTO DA: La legge della vita : dai volumi: The God of his fathers, Children of the frost, e altri di J. L. / edizione 1939-17. - Milano : Sonzogno, 1938 (Tip. A. Matarelli). - 252 p. ; 16.

SOGGETTO: FIC002000 FICTION / Azione e Avventura