Il figliuolo del marinaio
ossia Jacopo Giraldo da Alessio

di
Pietro Giuria

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I

Conoscete voi le abitudini, gli amori, l’indole del marinaio! udiste voi, nei silenzi della notte, la monotona eppur commovente sua canzone, monotona e commovente come il mormorio dell’acque marine, su cui muore languida e solitaria; udiste la sua canzone quando, reduce dopo molti anni nel villaggio natale, saluta la giovane fidanzata che sporge il capo dal ridente pergolato d’una casuccia? Quest’uomo che la bastarda civiltà nostra non domò ancora alle sue bizzarre abitudini; quest’uomo che non apprese a finger volto e linguaggio, a spoetizzarsi, ad annientarsi sotto le meschine foggie del nostro vestire, quest’uomo adusto dai soli della linea, indurito dagli aquiloni dei mari ghiacciali, parco, severo, intrepido e religioso, serba ancora quell’impronta di grandezza, di libertà, di potenza che Dio gli stampò in volto nel crearlo signore della terra, prototipo degli esseri animati. Eppure, lo credereste? sotto quel petto, che Orazio dice fasciato di triplice acciaio, batte un cuore, cui le alte, sublimi imprese sono elemento necessario di vita, un cuore pieno di bontà e d’eroismo! Non lo vedeste, quando solo nella notte, vigilante sentinella sul cassero, contempla il cielo, ricorda la sua famigliuola e mormora la canzone del suo villaggio; non lo vedeste, quando ai tocchi dell’Ave Maria, si leva devotamente il suo berretto e saluta la Stella del mare, l’avvocata dei naviganti. Quest’uomo che corre all’arrembaggio e si disserra in campo chiuso sull’abisso dei flutti, a guerra mortale coll’avversario, se gli avviene d’incontrarlo errante ed affamato sulla vastità dell’Oceano, divide seco lui l’ultimo tozzo del suo pane; se lo vede travolto dalla procella, in procinto d’affondare, mette a repentaglio la propria vita per salvare l’altrui, sia pur quella d’un nemico; per ora, dimentico d’ogni odio nazionale, non sente che la carità d’uomo ad uomo; gli stringe, nel partire, fraternamente la mano, forse per mai piú rivederlo o per combatterlo con armi pari, ad un cenno della sua patria:

Quest’uomo è Cristoforo Colombo, che muore povero, rassegnato, e non chiede altro trofeo sulla propria tomba, che un gruppo di catene;

Quest’uomo è Andrea Doria, che antepone alla signoria della patria, offertagli da Carlo Quinto, il titolo di padre e di primo cittadino della repubblica;

Quest’uomo è Canaris che, distrutta la flotta turca, appena tocca il lido della sua patria, corre a prostrarsi e a render grazie innanzi all’ara della Vergine;

Quest’uomo insomma è il vincitore di Lepanto, di Navarino e d’altre mille battaglie, l’erede di tante glorie, è l’onesto, l’intrepido, il religioso marinaio, il piú bel tipo della classe del popolo.

Ma l’uomo di cui parleremo, è ben lungi dalla fama di Colombo, di Doria, di Canaris; il suo eroico sacrifizio, argomento di questo racconto, è di que’ tali che la storia non registra; ma che il popolo sa raccogliere e conservare nei modesti suoi focolari, come la sacra fiamma della vestale; e noi non possiamo presentargli miglior racconto della vita di que’ generosi che da lui nacquero, grandi solamente della grandezza dell’anima loro.

II

Alessio, nella riviera di ponente, sede antica degli Ingauni, popolo bellicosissimo, ti si presenta, venendo dal mare in scena pittoresca sul declive della montagna. La natura fu matrigna agli abitanti di questo villaggio, poiché non diede loro che pochi oliveti, nudi greppi, donde trarrebbero a fatica di che sostentar la vita un solo mese dell’anno; ma attivi, probi, coraggiosissimi, riparano colle forze dell’animo e coll’industria al difetto della natura. I marinai d’Alessio furono detti, ben a ragione, senza rimprovero e senza paura; e quindi Genova, Livorno, Marsiglia, persino Buenos-Aires e i porti del Messico, gareggiano nel ricercarli, e li tengono per eccellenti. Il leopardo stesso dell’Inghilterra, che nelle ultime guerre, non si recò ad onta l’avventarsi contro l’umili case di questo villaggio, e fulminarle colle sue batterienota 1, ebbe a provar l’impeto di quegli intrepidi marinai che, calati dai lor greppi, rincacciarono a furia sulle navi i superbi dominatori dell’Oceano.

Ma in aprile del 1798 sorse un giorno di profondo lutto per questi semplici abitatori. Tacque il canto del marinaio, cui risponde l’allegra villanella da’ suoi dirupi tra il verde pallido degli ulivi, tacque il canto alternato del pescatore che trae le reti dal mare al primo levarsi del sole. La campana della chiesa parrocchiale suonava a tocchi lenti, malinconici, e gli abitanti del villaggio ascendevano, senza scambiarsi parola, il limitare del tempio. La parrocchia di Alessio è una costruzione magnifica, poiché il ligure navigante, cosí parco nel suo vivere, cosí modesto negli arredi di sua casuccia, ama lo sfoggio, la ricchezza nella casa di Dio; e perciò t’avviene d’incontrare lunghesso le spiaggie, in villaggi poverissimi, templi tali che starebbero a decoro d’una metropoli. Nel visitare le chiese di Albissola e di Sestri, dimanderai, meravigliando, a te medesimo, chi ha potuto innalzar quelle moli, chi arricchirle di tanti preziosi marmi e dipinti. L’obolo del marinaio, del contadino, le loro istesse mani innalzarono questi vasti edifizii; ed essi ben a ragione ne menan vanto non altrimenti che d’una gloria domestica. Quel giorno, l’altar maggiore nella chiesa di Alessio era abbrunato; il popolo assisteva tacito, genuflesso al sacrifizio della messa, quasi invocasse l’aiuto del cielo in una pubblica calamità. Spiccava sopra l’altare un gran quadro, rappresentante S. Nicola, che trasporta per aria, afferrandolo ne’ capelli, un bellissimo giovanetto, mentre questi servia alla mensa d’un superbo musulmano. La tradizione popolare racconta che il buon garzone, rapito dai Turchi e venduto ad un ricco signore, di cui seppe procacciarsi l’animo con modi accorti ed onesti, comparve un giorno piú malinconico dell’usato al cospetto del padrone che banchettava. Chiesto del motivo di sua nuova tristezza, — Oh questo giorno, rispose egli con un sospiro, è giorno solenne nel mio villaggio! Mia madre, i miei fratelli, le giovanette del mio paese si recano ora alla chiesa dove si celebra la festa di S. Nicola, nostro patrono! — Se il tuo S. Nicola, soggiunse allora con riso befardo il musulmano, avesse braccio di redimerti, verrebbe adesso a sollevarti per i capelli, e ti recherebbe nel tuo villaggio, nel mezzo del suo tempio. — Non avea finite queste parole, continua la tradizione, che la sala avvampò in un subito di luce abbagliantissima; e fu veduto tra quella luce il santo vescovo, in abiti pontificali, di statura soprumana, avvolgere la sacra destra nella bionda capigliatura del giovane, e via trasportarlo fra il terrore e la meraviglia dei convitati. Lo schiavo cristiano, liberato in maniera cosí prodigiosa, comparve improvvisamente nel tempio del sospirato suo villaggio, e narrò la visione e la potenza del Santonota 2. Da quel momento i poveri schiavi ebbero a patrono S. Nicola, e reduci nella patria, fuggiti dalle catene, o riscattati dall’obolo della vedovella e del pescatore, appesero votivamente agli altari di lui i ferri spezzati, il remo, la tavola del naufragio ed altri attrezzi marinareschi, argomenti di loro scampo.

Ed ora, a quest’altare si celebrava la messa, e il popolo v’assisteva costernato, tacito, con tutti i segni della pietà e del dolore.

Il buon curato, uomo venerabile dai bianchi capelli, dall’augusta e soave fisonomia, contristata profondamente in quel giorno, finita la messa, si volse al popolo: — Preghiamo, fratelli miei, per un nostro fratello che poc’anzi si inginocchiava con noi sui marmi di questo altare, ed ora, certo vi si raccomanda dai lidi inospiti di Barberia; Emmanuele Giraldo, che voi tutti conoscete, quel buon padre di famiglia che accorrea primo al soccorso dei pericolanti e dei naufraghi, fu rapito dai corsari! — Benché il caso funestissimo fosse già noto, si levò un alto gemito, un misto di singhiozzi e di preghiere, che que’ buoni terrazzani innalzavano di cuore per la salute del loro compagno. Ma tutti gli occhi si posavano su tre persone che si teneano in disparte nel recesso d’una cappella; una donna d’età matura, ma vegeta; una graziosa giovanetta, ed un garzone di 20 anni all’incirca; famiglia dell’infelice Giraldo. Veniano anch’essi a pregare in comune pel loro padre e marito. Le due donne, coperto il volto del loro gran peplo, vestimento nazionale delle Liguri, stempravansi tacitamente in lacrime; ma il giovane, sparso d’insolita pallidezza la faccia ardita ed abbronzata, piú che vinto dal dolore, parea assorto in una cupa meditazione; nè fu vano il suo meditare, come or ora racconteremo.

III

Era già l’ora che volge il desio
Ai naviganti, e intenerisce il cuore
Lo dì che han detto ai dolci amici addio;

E che lo novo pellegrin d’amore
Punge, se ode squilla di lontano,
Che pare il giorno pianger che si muore.

La scena del tramonto in un villaggio di mare è piena di tanta soavità, di tante commoventi bellezze, che nè parola, nè pennello han valore di ritrarre adequatamente. Perdonami, cortese lettore, se io mi abbandono alle ispirazioni del mio cuore, alle care reminiscenze della mia fanciullezza, per meco condurti sulla scena incantevole de’ miei lidi natali, al mormorio delle acque rischiarate dolcemente dalla luna che indora gli orli di lontano nugoletto donde si leva; al sussurro lamentevole dell’auretta vespertina che commove la vela della navicella, e fa ondeggiar lentamente sullo specchio dell’acque le ghirlande dei fiori selvatici pendenti dagli scogli; al canto del pescatore che trae le reti, e cessa improvvisamente allo squillo dell’Ave Maria; mentre fumano i casolari, e i fanciulli accorsi dal lido, si raccolgono intorno al fuoco. Le ultime tinte del sole che è tramontato, i primi raggi delle stelle che si accendono ad una ad una sull’arco dei firmamenti, ora contrastano, ora si sposano tra di loro con soavi temperanze sopra la queta superficie dell’acque. Il zeffiro che si risveglia dopo il tramonto del sole, diffonde una fragranza deliziosa che rapì ai fiori delle collinette circostanti; qua vedi una navicella che scioglie le vele; colà un’altra che le raccoglie; un misto spumeggiare sotto i colpi misurati de’ remi, e mille scintille fosforiche che guizzano e si dileguano; voci amiche che si chiamano e si rispondono dalla collina al lido, dal lido al mare. Oh questa è pur l’ora delle meste, delle pie ricordanze, l’ora che, per ripetere il verso d’un gentilissimo poeta ligurenota 3,

Fa il cor piú mesto e l’anima piú grande.

E Jacopo, che tale è il nome del figliuolo di Giraldo, siedea appunto in quest’ora al fianco di sua madre, sul limitare d’una casuccia, amendue taciti, assorti amendue nello stesso pensiero. Suonò il De profundis, ed essi lo recitarono sommessamente, con raccoglimento inusitato, coll’ansia d’un sospetto che non osavano comunicarsi, e che sentivano amendue egualmente nel profondo del cuore. Nel povero focolaio non brillava quella fiamma che solea radunarli allo stesso desco; come entrar nella camera, come affrontare quelle memorie… quella seggiola, dove un altro solea riposarsi al finire della giornata, quella seggiola rimasta vuota, luttuoso monumento della famiglia! La buona donna si coricò finalmente sopra un involto di reti e di vele, ma non sullo strato consueto, ché il cuore non le reggeva. Il figliuolo l’abbracciò piú volte e piú affettuoso del solito, con lacrime frenate a stento; oh se ella avesse allora potuto leggere negli occhi del giovanetto, le sarebbe scoppiato il cuore, perché quell’abbraccio, quel saluto forse era l’estremo!

IV

Una giovanetta, graziosa nell’aspetto, sebbene alquanto abbronzata dal sole, dagli occhi e dai capelli nerissimi, al domani di questa scena siedeva presso il mare, dietro uno scoglio, sul primo, primissimo biancheggiar dell’aurora.

— Che vorrà mai dirmi, pensava fra se stessa, a quest’ora inusitata, in questo luogo? Certo, il povero Jacopo piú non dorme! La sventura che l’ha percosso colla perdita del suo buon padre, che io già teneva per mio, oh quanto me lo rese piú caro, piú interessante! Se tra poco io diverrò sua sposa, come egli mi promise, mi studierò di compensarnelo con raddoppiare d’affetto, di cure per lui! — E qui la buona giovane, senza avvedersene, lasciata affatto in disparte la memoria del prigioniero, si immergea tutta nelle speranze dell’amor suo, nei disegni d’un futuro che forse non è per lei. Comparve finalmente un’ombra oscura, in cui l’acutissima pupilla della giovanetta ravvisò ben presto le sembianze del suo fidanzato.

— Maria, cominciò Jacopo avvicinandosele, e sedendosi presso di lei sullo scoglio; buona Maria, vorrai perdonare la mia indiscretezza a titolo della confidenza che sono per farti. Ho contato sull’amor tuo. — E la voce del giovane suonò cosí solenne, cosí appassionata, che il cuore di Maria si empiè di lacrime e di sgomento.

Ma il giovane, che ben lesse nell’anima della sua fidanzata, entrò di subito nel motivo di quel convegno, ed accennando la propria casa:

— Mai piú metterò piede sotto quel tetto, mai piú, se mio padre non mi precede!…

Parve, su questi detti, maggior di se stesso e cosí fermo nel suo proposito, che l’idea di poternelo allontanare non venne nemmeno in capo a Maria.

— E quale è il vostro divisamento? domandava tristamente la giovinetta.

— Partir subito per Barberia e riscattarlo.

— E i danari del riscatto?

— La mia vita, e posso darla per quegli da cui la tengo; la vita d’un giovane di venti anni sarà valutata piú di quella d’un uomo già attempato e logoro dalle fatiche.

— Darvi dunque in iscambio?

— Appunto.

— E vostra madre che dirà? chi potrà consolarla?

— E perciò appunto, io t’ho pregata di questo convegno; rispose Jacopo, atteggiandosi ad una espressione di tenerezza, di gratitudine e di dolore inesprimibile. — Il tuo cuore, buona Maria, sarà l’interprete piú fedele del mio; tu consolerai mia madre, quando il tuo Jacopo sarà lontano; tu pregherai, piangerai anche con essa lei. Di’, non è vero che posso ciò promettermi dal forte, dal sublime amor tuo? —

Maria abbassò il volto tra le mani e nascose le sue lacrime; rialzando poi la fronte, e stringendo amendue le mani del suo fidanzato, con uno sguardo piú espressivo d’ogni parola:

— Ma noi, soggiungeva, non ci rivedremo mai piú, noi?

— O Maria, non tentare il mio coraggio, non tentar la mia fede in chi mi spirò in animo cosí santo proponimento. E poi, fosse pur l’ultimo questo nostro colloquio, sai tu pure, come dice il curato, la vita umana è un breve viaggio in burrasca; l’alga divelta dal suo scoglio è spinta a riva dai flutti stessi che la strapparono; noi pure getterem l’àncora in un porto comune, al di là di questi confini. In quel porto, amica mia, ci rivedremo! —

Gli occhi del giovane, levati in alto, accesi da un’eroica, da una santa speranza, s’innondarono nella luce del mattino; la brezza del mare commovea dolcemente la sua folta capigliatura; la sua mano tenea quella di Maria; quel momento era troppo solenne e troppo amaro perché potessero articolar sillaba.

Si udirono in quell’istante i primi tocchi della campana parrocchiale che annunziava l’apparire del giorno. Jacopo si riscosse; si intenerì al dolce suono di quella squilla, che tante volte l’avea chiamato alla chiesa con sua madre e con suo padre; le pie, le innocenti ricordanze della sua giovinezza gli spiccarono vive dal cuore, e le altere sue ciglia si inumidirono.

— Non udrò mai piú quella squilla, non vedrò mai piú quell’altare che dovea consacrare l’amor nostro? Quando sarete raccolti in quel tempio e pregherete pei vostri fratelli erranti per l’Oceano, gementi in carceri e privi di sepoltura in terra barbara… oh ricordatevi ancora di me!

Allora la buona giovane, togliendosi di seno una crocetta e riponendola nelle mani di Jacopo, con tutto il candore dell’anima e con tutto l’affetto:

— Conservate, Jacopo, questa memoria della vostra Maria; mia madre me l’ha data nel giorno della mia prima comunione: questa vi parlerà di Maria, e voi spargerete sopra lei qualche lacrima. Vi porterà buona ventura.

E il marinaio senza macchia e senza paura si strinse al cuore quella crocetta e la compresse vivamente colle sue labbra.

— Coraggio, Maria, ripigliò quindi animosamente e levandosi da sedere; quanto volte ci separammo, mentre il mare bollia furiosissimo! Eppure la stella del marinaio rischiarò sempre il suo cammino, e sano e salvo lo ricondusse al tetto natale. Svelerai a mia madre il motivo di mia partenza, quando io sarò lontano, quando mio padre sarà a casa; io tacqui per risparmiarle una scena atrocissima e inutile. Addio, Maria! —

Le impresse un bacio, un primo bacio sopra la fronte, e balzò nella navicella che già avea preparata.

Si levò il sole, e saettò il primo raggio sulla fronte di Maria, seduta sempre sopra lo scoglio, cogli occhi impetrati, colle mani gelide e chiuse tra di loro. Le goccie della rugiada scintillavano sopra i nerissimi suoi capelli; e quelle delle sue pupille cadeano tacitamente sul macigno, piú amare dell’acqua salsa che si rompeva a’ suoi piedi.

V

Quando Jacopo fu di tanto allontanato dalla spiaggia, che non potea piú vedere se non un tratto smisurato di cielo e d’acqua, sollevò il capo che avea tenuto sempre dimesso, remigando a tutta lena, e cercò il lido. Le montagne della sua patria si delineavano azzurrine nell’orizzonte, e si velavano ad ogni poco per lontananza; cercò il suo villaggio, e gli parve di intravvedere la cupola del campanile parrocchiale, biancheggiante tra il fogliame degli alberi; le lacrime che gli stagnavano sino allora nel cuore, irruppero improvvisamente, abbandonò i remi e pianse, pianse senza alcun testimonio, senza alcun refrigerio. – Un abisso d’acque sotto i suoi piedi, solitudine immensa nei firmamenti, solitudine sterminata all’intorno! Quasi atomo travolto nei giri immensi della creazione, sentì veramente d’esser solo, tremò di tutta la persona, chiuse gli occhi e cercò ricovero dentro il suo cuore. — Partire come un proscritto, come un colpevole! scambiar le dolcezze del tetto natale, la libertà del mare, i venti delle sue montagne, il bacio aspettato, vagheggiato della sua fidanzata collo squallore d’una carcere, colle catene dello schiavo, col flagello d’un custode inesorabile… e a venti anni! Ma l’anima del giovane eroe soprastava a tutte queste miserie, alle paure, alle tentazioni delle povera creta; ed è pur tanta la grandezza naturale dell’uomo che, anche in iscambio cosí orribile di condizione, può trovare non solamente di che confortarsi, ma di che sublimarsi e godere!

Giunse a Genova, a Marsiglia, e si avviò quindi per l’Africa. Ma prima di abbandonare il lido europeo, pensò che in terra barbara non avrebbe mai piú rivedute le chiese de’ suoi padri, le tombe consolate e santificate dalla Croce di Cristo; pensò che non si sarebbe mai piú cibato del pane eucaristico, e quasi fosse moribondo, assolto da ogni macchia di peccato, si appressò all’altare. L’intrepido giovanetto, che stava per consumare il sacrifizio spontaneo di tutta la vita, sentì bisogno d’un sostegno piú che terreno contro la debolezza del proprio cuore, le tentazioni della paura e gli orrori del servaggio. Pregò per sua madre, per la sua fidanzata che forse non avrebbe mai piú vedute, e invocò l’aiuto del cielo su quell’anime desolate.

Ateo, materialista, ridi pure a queste superstizioni del dabben uomo, ma interroga il tuo cuore, i tuoi polsi; senti se ferve in essi l’ardimento di Jacopo, la sublime devozione del povero figliuolo d’un marinaio.

VI

E son quelle le coste d’Africa, già ripiene della gloria di Cartagine, di Sant’Agostino! Dove un cittadino romano siedea disdegnoso, consolando la caduta sua grandezza nell’aspetto dell’immense rovine d’una città, dove siedea Mario, morì San Luigi sopra uno strato di cenere, martire della fede e del proprio valore. Là fu il teatro della gloria di Scipione e dell’infelice virtù di Annibale; e piú tardi di Gelimero, prostrato da Belisario. E quelle sponde santificate dall’eroismo e dalle sventure, piú non sono che un nido infame di ladroni! Carlo Quinto solcò tre volte quest’acque, e 22,000 schiavi liberati e la morte di Barbarossa furono premio della vittoria. Il maresciallo d’Etrèes e Duquesne fulminarono piú volte le case e le moschee della città inospitale; i vascelli dell’Inghilterra arsero i legni dei ladroni appiattati nel loro portonota 4; ma l’iniqua pirateria tiranneggia pur sempre i mari, e solamente nel 1830 la Francia acquistava alla fede, all’europeo incivilimento queste regioni, inviando eserciti, missionarii e suore di Carità.

Ed ora vi approda furtivo e col favor della notte il marinaio d’Alessio, l’erede della gloria di Lercari che costringeva l’imperatore di Trebisonda a baciargli i piedi, il compaesano di Andrea Doria, che fiaccava a Lepanto la baldanza dei Musulmani, e si vedea tratto innanzi Dragutte incatenato; ma questa volta il ligure marinaio non viene a domandare che le catene di suo padre.

Quando Jacopo approdò a riva, era notte, nè a lui, giovane e marinaio, fu malagevole balzar non visto, e perciò sottrarsi ad ogni importuna investigazione. – Facea un lume di luna incantevole sulla collina che si atterga alla città d’Algeri e sulle spiaggie, talché spiccavansi distintamente nell’orizzonte le cupole, i minareti della moschea e le torri delle fortezze. Jacopo, nella sua rozza intelligenza, stupia seco stesso che sorridessero cosí lucenti le stelle su quelle lacrimevoli e infami sedi di tiranni e di schiavi; e mentre errava alla ventura, a poca distanza dalla città, vide una gran torre, ma senza fanale, bruna, solitaria, fantastica, quasi fosse abitata da demoni, e sui cui luridi fianchi strisciando il raggio della luna parea illividirsi. Si accostò e scoperse – orrendo a dirsi! – che invece di cemento e sassi, la si componeva di teschi umani, accatastati a piramide – spettacolo osceno e spaventevole, cui solo starebbe a pari la caverna ossuaria della Svizzera, formata cogli ossami de’ soldati di Carlo il Temerario. – Venticinquemila teste di soldati spagnuoli, già signori del paese e colti all’impensata dai Turchi, componeano questo infame trofeo della vendetta barbarescanota 5. L’incolpabile marinaio che tante volte avea sfidata la morte, ora azzuffandosi coi corsari, ora lottando contro le acque e gli uragani, inorridì alla vista di quel lugubre monumento; volse altrove lo sguardo, e pregò sommessamente per le anime di que’ sventurati che, certo, furono come lui cristiani, e alle cui teste dovrà forse andare compagna la sua.

Si ritrasse aspettando il giorno, piú accosto al mare, e si sdraiò sull’arena, all’ombra di bastioni enormi che aveano in acqua le fondamenta, e le cui torri delineavansi nere, gigantesche, minacciose sulla tranquilla superficie del mare. E qui nuovo spettacolo di pietà e di orrore gli si dovea presentare, quasi ogni cosa congiurasse per rimuoverlo dal suo proposito. Mezzo sepolto nell’arena e mezzo nascosto da erbe marine, travide un corpo umano, i cui miserandi avanzi disputavansi tra di loro un branco di cani ed uno sciame di uccelli carnivori. Jacopo gli si avvicinò, e inginocchiatosi accanto al cadavere, lo guardò in volto, pieno d’un sospetto orribile, che gli strinse le vene e i polsi. Gli occhi dell’infelice, strappati forse dal rostro degli avvoltoi, piú non erano; e solamente alga e sabbia ne riempiano le cavità ossose; sul volto scarnato e lurido penzolavano alcune ciocche di capelli che que’ feroci animali gli avevano strappate dal cranio; allo stinco del piede, già biancheggiante e fatto scheletro, pendea un anello di ferro irruginito. Mentre Jacopo tentava di rintracciare qualche notizia su quel volto, un raggio di luna brillò tra le ossa del petto di quel cadavere, e rifulse una crocetta che l’incognito portava al collo. — Se tu eri cristiano, disse Jacopo sommessamente, come, certo, questo segno me lo dimostra, e schiavo, come appare da questo anello, abbi sepoltura da un tuo fratello. Riposa in pace, e serba teco questo segno della nostra fede, questo caro ricordo della tua patria, della tua famiglia. Chi sa forse che la tua madre o la tua fidanzata, simile alla mia Maria, non ti aspetti nella vuota casa; e tu, qui giaci cadavere abbandonato! Se i Barbari non conoscono il nostro Dio, avessero almeno in te rispettato il volto umano! — E mio padre!… ma i capelli di questo scheletro sono ancor neri… non è desso! — E il buon Jacopo, pregando tacitamente per quell’incognito, lo copriva di sabbia e sterpi per involarlo all’osceno ludibrio degli animali, al vento ed alla pioggia.

Compiuto il mesto ufficio, tale era la fatica delle sue membra e il bisogno della natura, che, sdraiatosi nuovamente in un angolo della spiaggia, prese sonno. — O Jacopo, tu dormi tranquillamente su questa terra inospitale; serena, imperturbabile è l’anima tua nel suo eroico sacrifizio. Oh fuggi, mentre n’hai tempo; il mare è aperto; propizia la notte e le aure. L’orrendo muro presso cui dormi, ti divide dal servaggio, dall’agonia, dalla morte; fuggi, prima che l’alba rischiari questi lidi; serba il fiore della tua giovinezza alla tua fidanzata; dinanzi a te è la vita, lo spazio aperto, l’avvenire; tra poco non avrai speranza che d’un sepolcro, e forse nemmen di questo. Vedi quello stesso cadavere che tu hai sepolto? — Ma il sonno di Jacopo non è interrotto nè da rimorso nè da paura; è il sonno della giovinezza e dell’innocenza. Si dipingono nella sua fantasia i dolci colli della sua patria, i boschetti d’oliveti mestamente indorati dal tramonto; gli sembra udire la nota canzone del pescatore, e il sibilio del vento che scuote il pergolato sul dinanzi della sua casuccia. La sua Maria, coronata di fiori nuziali, bellissima sopra ogni donna mortale, gli si fa incontro; l’altare è preparato; la sua canuta madre piange di tenerezza; Emmanuele, il suo buon padre, benedice l’augusta gioia de’ suoi figliuoli. Come il cielo è sorridente! come tranquillo il mare! – Ma quella dolce visione scomparve; destati, o giovanetto; la realtà della vita, al primo sguardo che getti intorno, ti piomba addosso con tutti i suoi terrori, come un’onda inesorabile si rovescia sopra la testa del naufrago.

Non ancora facea l’alba, che un cigolio di catene strascinate, un miscuglio di grida minacciose e di gemiti lo riscosse improvvisamente; sospettò, nè il sospetto andò lungi dal vero, che nel profondo di quelle torri, di que’ lunghi sotterranei, di cui al primo raggio di sole scoperse le inferriate enormi, si racchiudessero a guisa di belve gli schiavi cristiani; gli sorse viva nella mente l’imagine di suo padre, quella canizie venerata sotto la sferza d’un agozzino… oregliò se gli venisse distinta quella voce… i suoi capelli e la sua fronte rabbrividirono, agghiacciarono. Sorse, e si avviò risoluto alle porte della città. Dio coroni la tua virtù, eroico giovanetto!

VII

In questo mentre, che facevano le buone donne, la madre e la fidanzata di Jacopo?

La prima di esse credeva che il suo figliuolo si fosse allontanato pe’ suoi viaggi consueti, poiché i marinai di Alessio ardiscono mareggiare su grossi pinchi e sotto bandiera non franca, per tutto il Mediterraneo e perfino lunghesso le coste dell’America; vivea quindi tranquilla, rassegnata, in quella mestizia serena, religiosa che sa comporre gli affetti piú strazianti del cuore umano. Ma l’indole ardente di Maria non si acquetava in un dolor rassegnato. Ella sola possedea il secreto dell’assenza di Jacopo, e il reprimerlo sempre in se stessa, le infiammava il cervello con mille strane congetture, le accrescea strazio indicibile, perché indiviso. Piú non cantava nel tessere le sue reti, piú non si ornava a festa, come sogliono le liguri contadine e le pescatrici con quella mondezza, con quel brio che sono proprii di loro; ma lavorava piú ardentemente del solito, con un impeto, con una persistenza, dove parea si sfogasse la crudele attività de’ reconditi suoi pensieri; tenea conto d’ogni piú tenue risparmio; e nelle tristi sue vigilie, coll’obolo che riponea ogni giorno nel povero borsacchino, si maturava nella sua mente un pietoso e magnanimo divisamento. Quanta virtù, quanto eroismo nella umile pescatrice! Ma il piú delle volte, un’ora prima dell’alba, si raccogliea taciturna su quello scoglio, unico testimonio delle sue confidenze, dell’addio, forse estremo, col suo Jacopo; e là seduta, cogli occhi immobili e quasi impietrati, colle braccia abbandonate sulle ginocchia, guardava il mare.

Ma sorse un giorno in cui ogni incertezza dovea dileguare.

Maria siedeva su quello scoglio, divenutole cosí caro, quasi sacro dopo la partenza di Jacopo; il vento imperversava, le onde si spezzavano fragorose sotto i concavi fianchi della montagna. Un pinco, facendo forza di remi, come meglio si poteva, ed aiutandosi di tutte le vele, si cacciava a furia dentro la rada, quasi alcione che si rifuggiasse nel porto, coll’ali affaticate dall’uragano. Un uomo dai grigi capelli, dalle lacere vestimenta, balzò a terra, vi si prostese, e, baciatala più volte, alzò gli occhi e le mani al cielo in atto di muta ma profonda preghiera.

— Maria, quello è il padre di Jacopo; il sacrifizio fu consumato; il tuo amante è fra le catene, sotto il flagello dei Barbari; spogliati su quello scoglio d’ogni umana speranza. —

Maria onorava ed amava Emmanuele, padre del suo fidanzato, con affetto ossequioso di figliuola, ché già tale si riguardava; ma in quel momento la ricordanza del magnanimo giovanetto, l’orrore della schiavitù di lui, la sterile desolazione dell’avvenire, le oppressero per modo e mente e cuore, che sentì quasi morirsi; le parve che terra, cielo, Iddio stesso avessero abbandonato il povero Jacopo; che tutto congiurasse a’ danni loro. Ma pur l’umile pescatrice non maledisse alla virtù, come Bruto morente; una luce serena, avvivatrice ruppe le orrende tenebre che la stringevano; ella pure offerse il suo Jacopo, l’amor suo, tutte le sue speranze. La virtù non è un sogno per il buon popolo che lavora e che soffre; le opere oneste e forti, siano pure ignote nel mondo, diceale in cuore una voce piú che mortale, sono rigagnoli che, traversando paludi e sassi, mettono foce nel mare dell’eternità; l’Onnipossente che misurò nella palma l’abisso degli oceani, l’arco dei firmamenti, tiene conto della gocciola di rugiada che va sepolta nei gorghi immensi. Ma queste non erano verità sterili nell’umile intelletto di quell’infelice; ne traducea in opere la sua sublime morale, col sacrifizio di se stessa e delle cose piú care.

Emmanuele corse precipitoso verso la sua casuccia; ma nel rivederla, nello stendere le braccia verso la buona moglie che si affrettava ad incontrarlo, gli fallirono per soverchia gioia le forze, e sarebbe stramazzato, se i compagni non lo sorreggevano. Chi mai l’avea redento dalle catene dei Barbari? Egli stesso l’ignorava.

VIII

Sedeano sul limitar della casa gli amici, i parenti di Giraldo, i giovani e le fanciulle del villaggio, mentre i racemi del pergolato che ne ombreggiava la porta, ondeggiavano soavemente alla brezza della sera, e la luna, sorgendo dirimpetto, inargentava la superficie del mare. Era pur questa una scena degnissima d’un egregio pennello! Que’ volti di garzoni, di giovanette, di vecchi, tutti intenti alle parole del buon marinaio che narrava le paure, le crudeltà di que’ luoghi, le foggie, i costumi dei Barbareschi; que’ volti, dove l’ira si alternava alla pietà, allo spavento, commossi secondo l’età, il sesso e la tempra diversa dell’animo; – E v’era anch’essa la povera Maria, e celava il volto tra le mani, pensando che quegli orrori pesavano omai tutti sulla testa del suo Jacopo; non voleva amareggiar la dolcezza del ritorno di Emmanuele, con rivelare di subito quanto costasse; taceva, divorava le sue lacrime; ma quando egli, finito il racconto, ruppe nell’esclamazione: — Oh se il mio primogenito fosse adesso con noi! A poco andare sarà di ritorno; e tu, buona Maria, diverrai subito sua sposa! — Maria, trasportata suo malgrado da un impeto convulsivo, spiccò in piedi, e tremando di tutta la persona: — Jacopo è schiavo tra i Barbareschi: è Jacopo che v’ha liberato! —

Avresti detto che la vita della infelice si spezzasse a quelle parole, come corda troppo tesa e troppo forte percossa. Allargò le braccia tremanti, irrigidite, quasi abbracciar volesse un oggetto piú caro della vita, e che per sempre dileguava; travolse gli occhi, e cadde semiviva.

IX

Al domani, giorno di domenica, Emmanuele, che dal sommo della gioia era caduto nell’afflizione piú profonda, stava in chiesa colla sua famigliuola; ma Jacopo vi mancava. Non v’era cuore che non lacrimasse, labbro che non pregasse per l’amara ventura dell’egregio giovanetto, tolto per sempre alle allegre brigate de’ suoi compagni, alle feste del villaggio. Allora il curato ascese in pulpito, e dopo aver descritto gli orrori della schiavitù, le virtù del giovine, non senza lacrime dei buoni uditori, che tutti conoscevano l’onestà e il coraggio di Jacopo: — Or dunque, fratelli miei, soggiungeva, rechiamo tutti i comune il nostro obolo per riscattarlo; al difetto della somma voluta, provvederanno alcuni voti dell’altare di S. Nicola; i santi di Dio e Dio stesso non abbisognano d’argento e d’oro; passeggiano sopra le stelle dei firmamenti; le azioni meritevoli sono i preziosi vasi d’incenso che ardono continuamente innanzi a Lui! —

Non vi fu povero marinaio, non vedovella, non madre che, pensando a’ suoi figliuoli e all’esempio del buon Jacopo, non recasse il suo picciolo tributo per riscattarlo. Maria aperse allora il suo tesoretto che da lunga mano accumulava con fatiche e privazioni, per sciogliere, quandoché fosse, le catene del suo Jacopo; Emmanuele avrebbe voluto che lo ritenesse per procacciarsi gli ornamenti di sposa: — Ma no, disse pronto il curato, che non volea perduta quella buona opera — no, Maria; Jacopo deve sapere che ti è in parte debitore della sua redenzione. — Alcuni giovani marinai, guidati dal padre stesso di Jacopo, partirono subito alla volta di Barberia col danaro del riscatto.

Occorrea la festa di S. Nicola; ed una leggiera barchetta, indorata dal mattino, adorna di alcune banderuole spiegate al vento, e colla poppa coronata di fiori, entrava quasi in trionfo nella rada di Alessio. La madre di Jacopo e Maria, tra gli applausi e gli evviva di tutti i terrazzani, stavano prime sul lembo estremo della spiaggia; ma non possiamo descrivere a sole parole la solenne gioia che raggiava dalle loro sembianze. Era Jacopo che ritornava; Jacopo, commosso sino alle lacrime per la tenerezza di rivedersi in mezzo a’ suoi cari, ma altamente meravigliato alle lodi, agli applausi che gli venivano tributati per un atto che egli non riputava oltre il proprio dovere. L’altezza morale di Jacopo soprastava alle opere che la circostanza gli avea dato di compiere.

Ivi a pochi giorni, i voti dei due amanti furono solennemente benedetti dinanzi all’altare; e i due sposi rientrarono nelle tranquille ed oscure abitudini della loro povera ma felice condizione.

Quando penso ai titoli superbi, alle ambizioni miserabili di che taluni vanno tronfii nella società, titoli compri talvolta coll’abbiettezza, e a questi paragono le positive virtù del popolo, virtù temprate, direi quasi, colla fatica e col digiuno, e vilmente o ingratamente dimenticate, sento quanto prema il bisogno d’un supremo estimatore delle cose, d’un premio conforme alla natura dell’anima, e mi inchino devotamente a Lui, che cercò la virtù oscura sotto il tetto del povero, ed elesse all’altissimo ufficio di banditori del vero dodici ignoranti pescatori.

E tu, o Jacopo, se ancora respiri, Iddio coroni la tua veneranda canizie! I Romani innalzarono un tempio alla pietà figliale per un atto di virtù che non può certo paragonarsi alla grandezza del tuo. Dio conservi la tua stirpe di figliuoli non degeneri, e i marinai d’Alessio possano meritar sempre il glorioso titolo di marinai senza rimprovero e senza paura! Tu forse sarai povero; ma se riportasti dai lidi barbari la tua catena di schiavo, lasciala in eredità a’ tuoi figli, e tieni per fermo che non v’ ha titolo, nè fregio d’oro che equivalga allo splendore di quel pezzo di ferro.

Fine.


nota 1 – Si veggono ancora confitte nelle muraglie delle case le palle lanciate dai cannoni inglesi. Vedi il Viaggio in Liguria del cav. Bertolotti, là dove parla d’Alassio o Alessio.
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nota 2 – Anche questa è una tradizione popolare conosciutissima nella Liguria. Nella parrocchia d’Albissola, accanto all’altar maggiore, si vede rappresentato in un gran quadro questo stesso argomento.
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nota 3 – Avv. Antonio Crocco, nelle sue bellissime stanze sopra Colombo.
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nota 4 – Nel mese d’aprile del 1816, le navi d’Inghilterra, capitanate da lord Exmouth, bombardarono Algeri, ed incendiarono i legni algerini nello stesso porto della città.
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nota 5 – Questo orrendo trofeo, detto Bure-er-Roos, ossia Torre dei teschi, non si trova, a ver dire, presso le mura di Algeri, ma sí bene nell’isola Jerbeh, poco lungi Triboli. Come altri si fan lecito di avvicinare le date per riunire intorno ad un fatto principale diversi accidenti succeduti prima o dopo, cosí io pure, per servir meglio alle convenienze dell’argomento, mi feci lecito di avvicinar le distanze.
La storia si è “che nel 1561, Filippo II, ad istigazione di La Valette, gran mastro di Malta, aveva messa in punto una flotta ragguardevole per istrappar dalla signoria dei Turchi la città di Tripoli. Questa flotta si fermò all’isola di Jerbeh per aspettarvi un rinforzo. Le soldatesche spagnuole, assalite dagli Arabi, li rintuzzarono, e si impadronirono della città che misero a ferro e fuoco; ma sorpresi nell’ebbrezza della vittoria da Yokdah, capo dell’isola, che avea raccozzati i suoi, li Spagnuoli furono tutti uccisi, mentre la loro flotta cadeva in potere dei Musulmani. Questa spedizione costò alla Spagna venticinquemila uomini, e colle teste delle vittime si innalzò il Bury-er-Roos, sul luogo stesso ove i Cristiani erano sbarcati.
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QUESTO E-BOOK:

TITOLO: Il figliuolo del marinaio ossia Jacopo Giraldo da Alessio
AUTORE: Pietro Giuria
CURATORE: Rigoli, Aurelio
NOTE: Racconti popolari che, nella prima metà dell'Ottocento "rinomati scrittori italiani" (Pietro Giuria, Emanuele Celesia, F. Ramognini) recuperarono dalla tradizione orale e trasposero in prosa d'arte, per la ben nota raccolta di Angelo Brofferio "Tradizioni italiane".

DIRITTI D'AUTORE: no

LICENZA: questo testo è distribuito con la licenza specificata al seguente indirizzo Internet:
https://www.liberliber.it/online/opere/libri/licenze/

TRATTO DA: Racconti popolari dell'Ottocento ligure. - Palermo : Edikronos, 1981. - 2 v. ; 17 cm. - vol. 1.: 203 p. - vol. 2.: 226 p. - (I Contastorie)

SOGGETTO: FIC027080 FICTION / Romantico / Brevi Racconti