Le due bambole.

di
Iginia Agnolucci

tempo di lettura: 8 minuti


I.

— Vieni, cara la mia piccina. Giacché siamo venute in villa, e il tempo oggi è buono, dobbiamo fare una passeggiata insieme.

Così diceva la Virginia, bambina sugli otto anni, a una bella bambola che da qualche settimana era la sua delizia.

— Ti metterò il vestitino e il cappellino nuovo, purché tu prometta di tenerlo di conto.

E intanto vestiva la sua bambola di un abito di drappo guarnito di gale e di fiocchi, e le poneva in capo un cappello di paglia finissimo, fatto all’ultima moda.

— Ora possiamo uscire; ti condurrò a vedere il podere di Cecco. La mamma me ne ha dato il permesso.

E presa la bambola per la mano, scese nel giardino, e di lì entrò in una viottola del podere.

La Virginia era una buona bambina: quieta, ubbidiente, assennata. E perciò la mamma, sapendo di potersene fidare, le permetteva, quando erano in campagna, di fare qualche breve passeggiata anche da sé sola assegnandole peraltro il luogo e la via. Così era certa che la bambina non correva pericoli, e che l’avrebbe rintracciata.

Lungo la viottola, la Virginia, tenendo per mano con ogni cura la sua bambola, continuava a discorrere con lei, e le faceva osservare ora l’erba, ora l’acqua corrente, ora gli alberi, ora le farfalle, domandandole cento cose, e rispondendo per essa, e facendo tutte le spese della conversazione. A questo modo, percorse una buona metà del cammino; ma allora, sentendo ad un tratto il desiderio di fare liberamente una corsa, e non volendo esporre a rischi la bella bambola, la prese per i due braccini, e chinatasi verso di lei, le disse:

— Tu sarai stanca, povera piccina. Mettiti qui seduta, e aspettami; ch’io vo a cercarti un bel fiorellino di quelli di campo. Sta’ buona, e non ti muovere, per non sgualcirti il bel vestitino. Obbedisci veh! Altrimenti, al mio ritorno, ti metto in penitenza; e, se non basta, lo dico alla mamma.

La viottola faceva capo ad un boschetto, dove, fra i cespugli e i virgulti, una querce, curvata dagli anni, formava colla parte più bassa del tronco una specie di sedile a spalliera. Ivi la Virginia posò con garbo la bambola; e poi, via a correre, a saltare, interrompendo di tanto in tanto le corse ed i salti per cercare il fiorellino promesso alla bambola.

II.

Si era ella allontanata di poco, quando venendo dalla parte opposta del boschetto, giunse presso la querce l’Assuntina, figliuola della casiera.

L’Assuntina aveva la stessa età della Virginia. Ed ella pure era uscita a passeggiare in compagnia della sua bambola. Ma… che differenza tra questa e la bambola della Virginia! La bambola della Virginia era di una fattura squisita. Bianca e rossa, con un visino ridente, con le treccie di capelli biondi veri, snodata nelle articolazioni, era un capolavoro di una delle migliori fabbriche della Germania. E quella dell’Assuntina, ohimè! era un fagotto di cencio comprato alla fiera in campagna, un fantoccio sgarbato, senza piedi e senza mani e con un viso di molto brutto. Basta dire che gli occhi erano due margherite nere fermate con un punto, il naso era un cerchietto fatto coll’aleppo, e la bocca una filza torta, larga quanto tutta la faccia. Eppure l’Assuntina se ne contentava. Poveretta! non aveva ancora veduto di meglio!

Figuratevi ora che effetto le dové fare la vista della bambola della Virginia, seduta graziosamente sul pedale della querce! Da principio la credé una bambina in carne e in ossa, e quasi ne ebbe soggezione, e poco mancò non le dicesse: — Buona sera, signorina! — Poi guardandola attentamente e osservando che stava tutta impettita e fissa, ed immobile, le nacque il dubbio che potesse essere una bambola, sebbene di natura differente dalle altre. Se le avvicinò pian piano, la esaminò per tutti i versi, si arrischiò fino a toccarla, prima con un ramoscello, poi con un dito… e non potendo più frenarsi, si diede a gridare: — È una bambola! è una bambola davvero. Oh com’è bella! — E per vederla meglio, s’inginocchiava avanti ad essa, e la contemplava estatica, e fra lo stupore e l’ammirazione, dimenticando la sua bertuccia, la teneva appena per una delle maniche sfilacciate, e la lasciava ciondolare e strascicare per terra. Come sei bella! — seguitava a dire, — come sei vestita bene! Sembri proprio una signorina! non ti manca che il parlare. E di chi sei? Certamente d’una bambina di quelle venute a villeggiare per qui. Deve essere pur felice! Se ti avessi io, non mi rimarrebbe altro da desiderare. Guarda che occhi vispi! che bocchina rossa! che gotine fresche! E quel cappellino! e quel vestitino! e quegli stivalini! oh! carina… ti mangerei tutta dai baci.

Intanto la Virginia tornava correndo per dare il fiorellino alla bambola. Ma una siepe le fece ostacolo; e avendo in quel punto udito le esclamazioni dell’Assuntina, della quale riconobbe subito la voce, si soffermò; forse anche per appagare un tantino di vanità destata in lei dalle lodi che sentiva prodigare alla sua diletta bambola.

E l’Assuntina continuava: — Tu sì, che somigli una bambina vera! Tu stai seduta; starai su diritta; ti piegherai in tutti i modi! Questa mia, se non la tengo per le spalle o in collo, o sdraiata, la casca giù come un cencio. A te sì, ch’io potrei mettere in mano la treccia; hai i ditini! potrei anche insegnarti le divozioni, e fartele dire in ginocchio. Ti potrei tener seduta accanto a me quando lavoro! Oh! se tu fossi mia…! Ma… quanto sono sciocca! chi sa quanto costi ! E la mia mamma, poveretta, ha proprio i denari lì per comprarti! E poi, la tua padrona, non ti venderebbe sicuramente. Chi sa il bene che ti vuole!… Pazienza! bisognerà che mi contenti di questa che ho. — E nel dir così, la rialzò un poco per la manica, e le diede una occhiata di scancìo. Ma riguardandola le pareva anche più brutta; e non sapeva staccarsi da quella che aveva innanzi, tanto elegante, tanto ricca, tanto leggiadra! E lì, a rinnovare elogi della sua bellezza, e ad esprimere più vivo il desiderio di possederla.

III.

E la Virginia? Colla personcina un po’ chinata in avanti, col collo allungato, cogli orecchi tesi, era rimasta dietro la siepe, come inchiodata, e non perdeva una sillaba dei discorsi dell’Assuntina. L’aveva fermata l’impedimento inaspettato, la curiosità l’aveva trattenuta, e si è già visto che qualche briciolo di vanità era pure entrato in ballo. Ma, via via che l’Assuntina, credendosi sola, rivelava apertamente quello che sentiva, e faceva castelli in aria, e sognava, ravvisando la impossibilità di aver per sé quella bambola maravigliosa, e dicendo nondimeno quello che ne avrebbe fatto se fosse stata sua, nell’animo buono e gentile della Virginia, la curiosità si trasformava in una simpatia affettuosa, e la vanità in una specie di gratitudine per chi riconosceva e valutava così bene i pregi della cosa che le apparteneva, e poi in una disposizione, da prima indefinita, e a grado a grado sempre più distinta e determinata, ad appagare quell’appassionato desiderio che si manifestava con tanta ingenuità.

— Povera Assuntina! — pensava, — la non ha forse punti balocchi, ed io ne ho tanti! Che mi sarebbe il regalarle quella bambola! Io mi divertirò in qualche altra maniera. Ora son grandetta: impiegherò a leggere e a studiare il tempo che avrei passato con la bambola. E poi, non voglio pensare a me. Ormai, ho risoluto. Se la mamma me lo permette voglio regalare all’Assunta la mia bambola. Povera bambina! come la ne è desiderosa! scommetto che ne terrà più conto di me. Alla fine il privarmene non mi costerà un gran sacrifizio: mentre, per lei, l’averla sarà una consolazione grandissima. E rendendola tanto contenta, sarò contenta anch’io quanto lei. E la sua contentezza mi farà più piacere assai della bambola.

Formata così la sua risoluzione, aspettò che l’Assuntina si fosse allontanata. E non aspettò poco; perché l’Assuntina non trovava la via d’andarsene. Si moveva per partire, e rifaceva i passi. I piedi le andavano per un verso e gli occhi per un altro. Finalmente, un po’ malinconica e di mala voglia, ripigliò la strada donde era venuta, e sparì negli andirivieni del boschetto, tirandosi dietro il suo fantoccio che lasciava un brandello per ricordo a tutti i pruni.

Allora, presa in collo la sua bambola, la Virginia tornò di corsa a casa; e, raccontato alla mamma l’accaduto, la pose a parte del suo divisamento, chiedendole il permesso di mandarlo ad effetto.

IV.

Il permesso fu presto ottenuto. E la Virginia non tardò un momento a profittarne.

Appunto in quella sera aveva fissato di andare a veglia dall’Assuntina, dalla quale prendeva lezione di treccia. E, venuta l’ora, si recò tutta lieta all’abitazione della casiera, distante pochi passi dalla villa, portando seco la bella bambola in tutta la pompa del suo splendido abbigliamento.

L’Assuntina, nel rivedere l’oggetto sul quale avea lasciato gli occhi, ebbe un capogiro e si sentì come una stretta alla gola; ma poi si riebbe un poco, pensando che se la bambola fosse stata d’altri, ella non l’avrebbe più riveduta, mentre, essendo della Virginia, poteva sfogarsi a guardarla e ad ammirarla spesso e a suo bell’agio.

Non poté peraltro tenersi tanto che non le uscisse di bocca una esclamazione:

— Oh! signora Virginia… Che bella bambola!

E la Virginia:

— Ti piace?

— Oh se mi piace!

— Saresti contenta d’averla?

— Magari! signorina mia.

— Ebbene, tu m’insegni la treccia, ed è giusto che io ti ricompensi. Tieni. La bambola è tua. Col permesso della mamma, io te la regalo.

Che cosa provasse l’Assuntina, a queste parole, è difficile dire. Sulle prime, restò a bocca aperta, cogli occhi sbarrati; e come sbalordita. Poi, voleva abbracciare la Virginia e la bambola; ma si trattenne, dubitando d’aver inteso male, tanto le pareva impossibile una tale fortuna. Infine, udendosi ripetere che la bambola era sua, e sentendosela fra le braccia, la povera bambina pianse e rise, diventò bianca come un panno lavato, e poi rossa come il fuoco, si sentì mancare le gambe, e dové mettersi per un poco a sedere. Ma tornatale ben presto la forza, non trovando parole per esprimere la sua riconoscenza, si gettò tutta contenta al collo della Virginia, che felice al pari di lei e forse più di lei, le restituiva con tutto l’affetto i suoi baci.

Fine.


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QUESTO E-BOOK:
TITOLO: Le due bambole
AUTORE: Iginia Agnolucci
DIRITTI D'AUTORE: no
LICENZA: questo testo è distribuito con la licenza specificata al seguente indirizzo Internet:
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TRATTO DA: Giornale per i bambini / diretto da Ferdinando Martini ; [poi] da C. Collodi. – Roma : [Tipografia del Senato], 1881-1883.
SOGGETTO: JUV038000 FICTION PER RAGAZZI / Brevi Racconti