Osterie

di
P. Da Pontelungo (Ferrari, Pietro)

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Un tempo, Pontelungo e altri paesi della Valdimagra erano rinomati per le loro osterie. Ed era quando si viaggiava con la diligenza, che, come si sa, fece la sua prima apparizione in Valdimagra, verso la metà dell’ottocento.

Era il tempo in cui postiglioni, vetturali, carrettieri battevano da padroni le grandi strade, con l’allegro schiocco della frusta, insegna del loro dominio. Così, lungo le strade, si snodavano e si incrociavano vetture, carretti e carri, al lento passo dei cavalli e dei muli da stanga o da trapelo, sfoggianti vistose bardature di cuoio: briglie con bubboli, fiocchi e frangie dai colori sgargianti, testiere e museruole ornate, collari, redini, tirelle, dossiere, sellini, sottopancia, groppiere, imbrache, anelli e borchie d’ottone, ogni cosa rifinita, imbottita, guarnita come oggi non si usa più.

I conducenti, fieri dei loro equipaggi, attraversavano paesi e villaggi, passavano davanti ai casolari, salutando con motti e frizzi vecchie e nuove conoscenze o schioccando allegramente la frusta. Anzi, tra i giovani carrettieri, non mancavano i virtuosi della frusta, che non avevano rivali nell’arte, diremo così, dello schiocco. Era, allora, un tempestare della frusta, come in un incalzante e vertiginosa farandola di sibili e di schiocchi, da far girare, davvero, la testa. E al richiamo s’affacciava alla finestra qualche bella, ripagando con un sorriso il virtuoso e ricambiando con vivacità facezie e saluti.

Poi ogni tanto, la sosta all’osteria. E, allora, sui dorsi dei cavalli e dei muli venivano gettate belle coperte ricamate e gualdrappe di lana per proteggerli durante la fermata.

Oltre che nei luoghi principali, le osterie erano disseminate lungo la via della Cisa, sui due versanti dell’Appennino, e vi segnavano le tappe della diligenza, per la sosta dei viaggiatori e per il cambio dei cavalli. Così, ogni volta, all’arrivo della diligenza, davanti a ogni osteria, si ripetevano le medesime scene vivaci e pittoresche: viaggiatori che scendevano per rifocillarsi o rinfrescarsi, cavalli fumanti che venivano staccati dalla vettura per il cambio; carri, carrette ed altri veicoli, fermi lungo il margine della strada per lasciare riposare cavalli e muli, mentre, all’interno dell’osteria, era tutto un affacendarsi per servire i nuovi arrivati, tra voci e grida di barrocciai, di vetturali e di viandanti, tra colpi di pugno sulle tavole e tintinnio di bicchieri e di bottiglie, tra rumori e frastuoni d’ogni genere.

Poi, la diligenza riprendeva la via al trotto dei cavalli freschi, che il postiglione, dall’alto della serpe, incitava con la voce e con allegri scoppî di frusta. E il viaggio proseguiva tra un succedersi continuo di paesaggi e di panorami, che sono la caratteristica della Valdimagra e che fermavano, ad ogni tratto, l’attenzione dei viaggiatori. Ma, in qualche salita più ripida, il postiglione scendeva a terra e camminava a fianco dei cavalli, stimolandoli con qualche sua canzone, che risvegliava gli echi della montagna o sbizzarendosi a staffilare i ciuffi d’erba ai margini della strada. E, qualche volta, scendevano anche i viaggiatori per alleggerire la vettura o per fare qualche passo a piedi; nè era raro che, in qualche punto più difficile, i più volonterosi dovessero prestarsi a spingere la vettura o a far forza di braccia sulle ruote per toglierla dall’incaglio.

E peggio capitava in certe giornate d’inverno, quando la neve o il maltempo bloccavano la diligenza in qualche luogo di sosta della montagna. Ma a tutti i disagi e a tutte le avventure del viaggio era conforto la cordiale ospitalità delle osterie, sparse lungo la via e che si prodigavano, a gara, per far buona accoglienza ai viaggiatori.

Erano osterie patriarcali e accoglienti, nelle quali, secondo le stagioni, si sostava nella vasta cucina, davanti a una calda fiammata oppure all’aperto, al riparo di una pergola in fiore: care, vecchie osterie, nelle quali, secondo le stagioni, si sapevano offrire ai viaggiatori, saporate primizie o specialità prelibate. Così, d’autunno, erano celebri sui due versanti dell’Appennino, gli arrosti allo spiedo di tordi o d’altri uccelli di passo, sempre pronti per essere serviti: arrosti, a quel che ancora si ricorda, ben degni della Rosticeria dei Poeti, cara a Cirano, nonchè dell’inclito appetito degli ospiti, aguzzato dai primi freddi e dal viaggio avventuroso attraverso l’Appennino. Ed erano, durante la sosta, liete tavolate, animate dalla sana letizia, che sempre infondono nei cuori una mensa bene imbandita e il tepore di un gran fuoco ristoratore, mentre, fuori, urgeva la minaccia della neve e ululava, per le gole dei monti, la tramontana.

Viaggiare in diligenza era, allora, un po’ un’avventura, non priva di colore romantico e di poesia.

Ma, oggi, tutto ciò non è più che un ricordo del passato; e le gaie e avventurose storie di viaggio, care ai nostri nonni, appartengono, ormai, a un tempo favoloso, scomparso per sempre.

Oggi si viaggia in ferrovia. E le automobili che passano veloci, lungo la strada della Cisa, non sostano più nei consueti luoghi dimenticati, che segnavano le lente tappe della diligenza. E anche le vecchie osterie hanno chiuso per sempre le loro porte ospitali, care ai ricordi nostalgici.

Il nostro tempo tutto ha sacrificato alla velocità. E, se ci ha guadagnato la comodità del viaggiatore, ci ha perduto la poesia.

Per questo, il pensiero nostalgico ci riporta, volentieri, a ritroso degli anni, al tempo, in cui si faceva la strada della Cisa al passo lento della diligenza; al tempo in cui l’umanità non aveva fretta e anche la vita, ignara delle ansie dei giorni presenti, era forse più lieta: certo, più serena.

Ma l’umanità, come Ahasvero, ubbidisce alla legge inesorabile, che porta impressa nella sua creta originaria: cammina!

Sì, cammina: senza soste e senza ritorni.

Sempre più avanti e sempre più in alto!

Di queste osterie, Pontelungo, come importante luogo di sosta e di pernottamento ai piedi dell’Appennino, ebbe dovizia nel passato. E chi volesse cercare nelle vecchie carte e risalire ai tempi in cui si viaggiava a cavallo o anche sulla più modesta cavalcatura di S. Francesco, potrebbero mettere insieme una lunga nota delle osterie, più o meno celebri, che, nei vari tempi, contribuirono a tener alto il buon nome dell’ospitalità paesana; dall’Osteria del Cappello, dove, nel 1494 un signor De Foix, al seguito di Carlo VIII, nel suo primo passaggio da Pontelungo, lasciò in pegno due tazze d’argento, per il conto non pagato di 32 scudi e mezzo; all’Osteria della Corona, dove il 22 gennaio 1548, fu arrestato Giulio Cybo poco dopo decapitato a Milano; fino all’Osteria di Zanotto, di chiara fama seicentesca.

Ed è veramente un peccato che Michele de Montaigne non ci abbia lasciato il nome di quell’osteria di Pontelungo, che lo ospitò la sera del 22 ottobre 1581 e dove, a cena, gli «fu dato come prima cosa il caccio» e poi «delle olive senz’anima acconciate con oglio e aceto in forma d’insalata, bonissime», come si legge nel suo Voyage en Italie, scritto un po’ in italiano e un po’ in francese.

Ma, qui, bisogna precisare che le osterie di Pontelungo acquistarono fama per ben altro che per il cacio e le «olive senz’anima», lodate dal filosofo francese; almeno dal seicento in poi, che fu il periodo d’oro per le osterie di Pontelungo, note per vanto di vini prelibati e di gustose vivande, a letizia del corpo e a gioia dello spirito.

Si può anche dire che esse conservarono il loro carattere paesano e patriarcale, anche quando, nell’ottocento, qualcuna assunse a dignità di albergo: come l’Albergo del Pavone reso illustre dal ricordo di Vincenzo Gioberti e caro ai soggiorni di Carlo III di Borbone, Duca di Parma e Conte di Pontelungo o l’Albergo della Stella, legato agli ultimi ricordi romantici della diligenza. E tacciamo di proposito, degli alberghi d’oggi, che hanno dovuto adattarsi ai tempi; perchè purtroppo, tradizione e colore locale, oggi, non bastano più al viaggiatore frettoloso e al turista esigente, che preferiscono le comodità moderne alle vecchie consuetudini, la cucina internazionalizzata a quella folcloristica, il termosifone allo… scaldaletto!

Torniamo, dunque, alle osterie, che, fino ai nostri giorni, contribuirono a tenere alta la tradizione gastronomica e il buon nome della ospitalità paesana. Anzi, se il barbaro Hans Barth, che amò sinceramente l’Italia attraverso alle sue osterie e tale amore esaltò in quel suo libro Hosteria, per cui scrisse una deliziosa prefazione l’«acquatile» Gabriele d’Annunzio, avesse avuto occasione, nelle sue peregrinazioni bacchiche, di sostare anche a Pontelungo, senza dubbio, avrebbe aggiunto un capitolo di più al suo libro, a gloria degli osti e delle osterie della nostra terra. Se pure, per rendere il debito onore a tutte le dette osterie, ciascuna delle quali aveva il vanto o d’un suo vino prelibato o d’una sua specialità gastronomica, non gli fosse accaduto di fare la fine di quel buon vescovo tedesco o boemo, che, in viaggio per Roma, avendo sostato a Orvieto, bevve tanto di quel vino che vi lasciò le sue ossa venerande. Et propter nimium est

Certo è che l’«osteria» è ancora, a Pontelungo, una istituzione tradizionale: un vecchio, caro luogo di bacchiche delizie, che ricorda la gioiosa e serena vita d’un tempo. Per questo, i buoni pontelunghesi sono sempre stati fieri delle loro osterie; e se, oggi, ne esagerano anche, qualche volta, i meriti, è solo per il buon nome della tradizione. Ma, per verità, anche ai nostri giorni in alcune di esse, si ritrovano lieta accoglienza, onesta compagnia e vin mero. Vino che anche il vecchio Orazio, se tornasse al mondo, non sdegnerebbe di cantare, in un suo carme bacchico, come il cécubo e il falerno, invitando gli amici a bere: nunc est bibendum… E in qualcuna di esse, se non proprio in molte, si conserva il culto della confortevole cucina tradizionale: cibi sani, onesti, casalinghi, vini esilaranti della Costa, di Giaredo e d’altri luoghi insigni. E usano ancora darvisi convegno buontemponi e buongustai, di gusti non… acquatili, iniziati a tutti i misteri della vecchia cucina paesana. Nè è raro che vi si imbandiscano ancora quelle agapi trionfali, che erano, un tempo, vanto delle riunioni conviviali e che segnavano come altrettante date memorande nei fasti gastronomici di Pontelungo. Agapi veramente fastose, alle quali potrebbe sedere, giocondamente, lo stesso ricordato Hans Barth, se anche lui non fosse morto: degnissimo re del convito, davanti alla solenne maestà del fiasco, in cui scintilla il vin generoso, che concilia gli animi e rallegra i cuori.

Ma per fortuna, gli osti di Pontelungo, non hanno mai letto Orazio e nulla sanno di Hans Barth. E preferiscono riserbare ai loro fedeli le delizie della loro cucina e le lusinghe dei loro vini preclari.

Onore, dunque, agli osti e alle osterie di Pontelungo!

Ma, anche nei dintorni di Pontelungo e nei paesi vicini, non mancano osterie, che conservano la vecchia tradizione delle liete e oneste accoglienze: osterie alla buona, dove è ancora possibile bere in letizia l’onesto bicchiere di vino. E anche in esse non è raro trovare buona tavola e oste accogliente o sorridente ostessa; sì che all’occasione è possibile improvvisarvi quegli onesti camangiari, che nascono e si prolungano tra sorso e boccone, alimentati dall’antica sapienza della cucina paesana, oltre che dalla onestà dei vini locali.

Anzi, qualcuna di tali osterie è ancora mèta preferita di liete comitive, che amano conciliare la gioia conviviale con la delizia dello spirito. Perchè è vecchia saggezza aggiungere al piacere della mensa il diletto d’una scampagnata; dato che anche il paesaggio, per gli spiriti raffinati, è sempre gioioso condimento del buon mangiare. Ed è anche, così, che meglio si apprezza l’onestà dei vini suddetti: vini chiari e profumati, color del rubino e del bel giallo d’oro; vini, sani e intatti, non intristiti da acque battesimali, forse per un residuo di paganesimo, che ancora si occulta nell’anima degli osti di campagna. E non mancano quei vini traditori che, a guardarli e ad assaggiarli, han l’aria innocente di santi a van giù che è un incanto: ma, se bevuti oltre il segno da qualche incauto, si tramutano in diavoli e ne combinano d’ogni colore.

È giusto, però, riconoscere che la vecchia saggezza conviviale, che di solito presiede alle mense, in tali convegni, fa sì che i partecipanti non oltrepassino quella giusta misura, che è indizio di superiorità anche nell’arte del mangiare e del bere.

Ma, tra le osterie, care alle vecchie consuetudini, ce n’è ancora qualcuna, in qualche luogo fuori mano, invitante e discreta, che sembra offrirsi come un’oasi di solitudine a chi ha sete d’illusione e di poesia e cerca un’ora d’oblio, dimenticando la realtà per il sogno.

Sognare! Vecchia cosa romantica, che fa sorridere gli scettici e gli imbecilli; ma che basta da sola a riempire la più vasta solitudine. Così, davanti al bicchiere, mentre l’occhio sembra guardare lontano, un mago prodigioso popola, d’un tratto, la solitudine dell’anima di visioni serene e di seducenti fantasmi e vi fa sbocciare, gioiosamente, il fiore meraviglioso, che basta a dare i profumi inebrianti dell’illusione e della poesia.

Questo può ancora trovare, in un angolo discreto e suggestivo d’osteria, l’errante cercatore di sogni. E anche per questo, molto si deve perdonare alle nostre osterie.

Ma, purtroppo, tutto passa. E non solo la gloria del mondo!

Così, anche le vecchie, accoglienti osterie, delle quali era giusto scrivere, qui, l’elogio, vanno man mano scomparendo con le antiche usanze ospitali, sotto l’incalzare dei tempi nuovi, sempre più pervasi di spirito egoistico e utilitario.

E, oggi, capita sempre più spesso di imbattersi in osti come quello di Crocevia, detto Veleno, che versa il suo vino sospetto con aria così funebre e immusonita che vien voglia di riconciliarsi, una volta per sempre, con tutti i bevitori d’acqua di questo mondo.

Anche a costo di meritare il rigore della vecchia sentenza del saggio medico Avicenna: essere il vino permesso solo agli uomini di bello spirito e vietato ai balordi.

Proprio vero: tutto passa….

Fine.


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QUESTO E-BOOK:

TITOLO: Osterie
AUTORE: P. Da Pontelungo (Ferrari, Pietro)

DIRITTI D'AUTORE: no

LICENZA: questo testo è distribuito con la licenza specificata al seguente indirizzo Internet:
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TRATTO DA: Novelle di Valdimagra / P. da Pontelungo. - Pontremoli : Artigianelli, 1944. - 226 p. ; 23 cm.

SOGGETTO: FIC029000 FICTION / Brevi Racconti (autori singoli)