Nel 1921, in occasione del sesto centenario della morte di Dante Alighieri, la «Rivista di filosofia scolastica» diretta da Agostino Gemelli e la rivista «Scuola cattolica» curarono la pubblicazione di un volume di scritti al quale collaborò anche il filosofo francescano Emilio Chiocchetti con il presente scritto. Quello che più preme all’autore è sgombrare il campo da ogni “equivoco”; Dante è cattolico, afferma perentoriamente il Chiocchetti e quindi ogni interpretazione della Commedia diventa oltremodo semplice, anzi oserei dire un po’ troppo semplicistica. Per cui le interpretazioni del Foscolo e del Rossetti sono rapidamente liquidate come “strane teorie” che l’autore fa in tempo a travisare grossolanamente in due sole righe. Il Croce – il quale, Chiocchetti non lo dice ma dalle interpretazioni di Foscolo attinse abbondantemente – è ancora troppo intento a cercare nella Commedia uno spirito rinnovatore sia politico che religioso; un poco meglio appare allineato all’ortodossia cattolica il Gentile. Ma il valore di questo saggio può apparire nella possibile utilità di contrastare con poche argomentazioni ogni interpretazione degli scritti di Dante che non sia inquadrata nella “reverenza per le somme chiavi” che, secondo Chiocchetti, era senza limiti e dove ogni critica del sommo poeta per il clero e le sue nefandezze, per i pontefici e i loro intrallazzi è dettata “dall’amore, dal veder grande sul candelabro di Dio, ammirata e venerata dai popoli, la Chiesa Santa”.
L’anno successivo alla pubblicazione di questo saggio, Luigi Valli [vedi in questa stessa biblioteca Manuzio] dava una sistemazione teorica circostanziata e avvincente alle “strane teorie” di Foscolo e Rossetti ai quali si era aggiunto, fin dal 1902 – e Chiocchetti attento studioso non credo avesse potuto non saperlo – Giovanni Pascoli, che aveva ripreso l’interpretazione dei più oscuri Michelangelo Caetani e Francesco Perez. Ovviamente il campo può essere estremamente controverso e si può discutere sulla figura di Beatrice “storica” o simboleggiante l’Intelligenza attiva; tuttavia Chiocchetti cita Gentile il quale afferma:
«Ammesso per Virgilio alla scuola dell’altissimo canto, egli verrà condotto nel nobile castello della scienza, fino ad Aristotele; ma infiammato dall’amore infinito della sua Beatrice, salirà di contemplazione in contemplazione fino a Dio. La sua poesia si leverà con volo possente dalla materia d’amore alla dottrina di una somma teologica, che ai dommi premette preambula fidei, alla scienza rivelata le arti liberali dovute al lavoro spontaneo del pensiero umano»;
si potrebbe osservare forse che non è consapevole di quanto questo si avvicini alle “strane teorie” di Foscolo e Rossetti. Da questa prospettiva si può interpretare la Commedia come iter conoscitivo all’interno del quale le due guide, Virgilio e Beatrice, assolverebbero il compito di educare la ragione ed illuminare l’intelletto per la conquista della vera beatitudo. La Commedia appare quindi come un “romanzo di formazione” dove Virgilio è maestro della vita attiva e Beatrice della vita contemplativa. Chiocchetti sembra trascurare che tale contemplazione attuata per intellectum era già meta del misticismo razionale che, partendo dai primi Padri della Chiesa a tutto il Medioevo, mirava all’acquisizione della Sapienza attraverso la visione diretta della Verità. Come nota acutamente il professor Lo Manto, recentemente scomparso, introducendo La Beatrice svelata di Francesco Perez, tale verità viene posta da Dante al servizio dell’umanità “non solitaria ed egoistica voluttà della mente” ma “in pro del mondo che mal vive” (Purg., XXXII 103). Il saggio di Chiocchetti può quindi dirsi utile per desumere uno schematico profilo di aderenza ai dogmi cattolici nell’interpretazione della Commedia dantesca, ma certamente limitato nelle argomentazioni, probabilmente incatenato dai vincoli editoriali che un saggio molto breve, nel contesto editoriale specifico al quale ho accennato, non ha potuto non subire.
Sinossi a cura di Paolo Alberti
Dall’incipit del saggio:
Prima di poter salire, dietro Beatrice, alla suprema gloria del Paradiso, Dante è sottoposto a un esame sulle tre virtù teologali, fede, speranza e carità. Chi lo interroga intorno alla fede è S. Pietro, il primo Vicario di Cristo e, perciò, il depositario immediato della verità del Credo cattolico. S. Pietro domanda:
Di’, buon cristiano, fatti manifesto:
Fede che è?
Dante, dopo aver chiesto a Dio l’illuminazione della sua grazia, risponde:
……Come il verace stilo
Ne scrisse, padre, del tuo caro frate,
Che mise Roma teco nel buon filo,
Fede è sustanzia di cose sperate,
Ed argomento delle non parventi;
E questa pare a me sua quiditate.
Scarica gratis: La Divina Commedia nell’interpretazione del Croce e del Gentile di Emilio Chiocchetti.