Pubblicato nel 1905, questo romanzo è probabilmente il più famoso tra quelli dell’Autrice, apprezzata da Luigi Capuana e Benedetto Croce come una delle migliori romanziere italiane del suo tempo, tra verismo e critica sociale. La protagonista è Flora, giovane di famiglia nobile marchigiana, ingenua e sognatrice, che rappresenta un fiore di purezza e ingenuità in mezzo a un mondo corrotto e ipocrita. Perduto l’amore giovanile e le ricchezze di famiglia, si ritrova a vivere a Roma con la madre Adriana, vedova e ancora bella, mantenuta da un onorevole.

Adriana cerca di combinare un buon matrimonio per sè e per la figlia, e riesce nel suo intendimento. Riportiamo un breve colloquio tra Adriana e Flora la sera prima delle nozze: Adriana cerca di spiegare alla figlia cosa succederà tra marito e moglie la sera successiva.

Adriana le accarezzò i capelli con uno strano sorriso arguto, a fior di labbra, e un luccichìo di malizia nelle pupille.
— Pensare — ella disse — che diventerò presto nonna di un bel bambolino per causa tua.
Flora, che Adriana si aspettava di vedere sconvolta a tali parole, ebbe invece un sorriso radioso di felicità.
Oh! avere una creaturina che le appartenesse esclusivamente, una creaturina che fosse tutta sua, proprio sua, ella che non possedeva nulla, che non aveva mai posseduto nulla a questo mondo.

Ma neppure la nascita di un bimbo, morto a pochi mesi di età, potrà consolare la vita matrimoniale di Flora, che si ritrova sempre più sola ed apatica, prigioniera di un matrimonio con un uomo, Giorgio, che potrebbe esserle padre. Ritrovare casualmente il suo amore giovanile, Germano, le dona momenti di sogno e di felicità, ma la precipita in un gioco di raggiri a cui non può tenere testa: e la tragedia si compie la sera di Natale.

Nella descrizione di figure femminili la Tartufari dà sempre il meglio, e Flora, Adriana, ma anche le comprimarie Anna Maria (la serva della famiglia di Giorgio), Penelope (la portinaia-usuraia) e Balbina (l’amica d’infanzia che le ruberà l’amore di Germano) sono caratteri ben definiti, che il lettore non dimentica.

Sinossi a cura di Gabriella Dodero

Dall’incipit del libro:

Una rapida, improvvisa folata di vento trasvolò con impeto al dissopra della campagna e tutte le cose, che parevano morte nel tedio di quel pomeriggio autunnale, furono scosse da un brivido lungo, quasi pauroso, mentre il velo fosco delle nubi, violentemente squarciato, si ornava per un attimo di bizzarri fregi luminosi.
Flora, supina presso il tronco contorto di una quercia secolare, rimaneva immobile, con le braccia ripiegate ad arco dietro la testa e con una espressione di godimento intenso diffusa per ogni tratto del volto ancora infantilmente attonito e giulivo.
Perchè aguzzava essa lo sguardo dei profondi occhi cerulei a interrogare il cielo che scendeva sempre più in basso, quasi a toccare la cima degli ulivi, aggruppati a sinistra, verso la collina? Cosa cercava ella al di là delle nubi, che si accavallavano, si sospingevano, si addensavano, si stringevano, si confondevano in mobili montagne sempre più gigantesche, sempre più tetre? Perchè tendeva essa l’orecchio a seguire l’urlo del vento, che, dopo avere scosso i rami degli alberi rabbiosamente, s’insinuava, strisciando furtivo, tra le foglie del canneto?
Quale fantasma attendeva ella che scendesse verso lei dalle nubi o di quale canzone seguiva la eco in mezzo ai sibili del vento?
Flora non attendeva nulla, non ascoltava nulla. A lei bastava di sentirsi vivere.
Dalle regolari pulsazioni del cuore, dal misurato battito dei polsi, dall’ondeggiare pacato del sangue, dai nervi, che niente avevano ancora disperso della loro energia, dai muscoli, agili per l’esistenza libera selvaggiamente, da tutt’i sensi, già vigili a succhiare il nèttare di ogni sensazione esteriore, ma non ancora indocili nè scomposti, veniva alla giovanetta un senso pieno ed armonico di benessere puramente fisico.

Scarica gratis: Rovèto ardente di Clarice Tartufari.