La giocatrice.
di
Adolfo Albertazzi
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I.
Con un semplicissimo ragionamento, e chiarissimo, Gianni Limosa avrebbe dovuto convincersi che il suo affetto non escluderebbe mai dal cuore di Claudia Verbani l’affetto delle carte; che Claudia giocatrice – eppure così bella, così giovane, così vedova! – non aveva, nè avrebbe mai più, tempo, voglia, affanni d’amore.
Il ragionamento chiarissimo e semplicissimo sarebbe dovuto esser questo: L’uomo può dedicarsi con le sue energie a più vizi in una volta; dove la donna, con le energie sue, non si dà quasi sempre che a uno solo, e con l’anima sua in uno solo raccoglie, smarrisce tutta sè stessa. Ma ogni vizio è una passione; e come, da che mondo è mondo, la donna ebbe taccia d’incostante in amore, l’amore per la donna o non è una passione, e quindi non è un vizio, o tutt’al più è passione non intensa e profonda quanto un vizio: per esempio, il gioco.
Se non che Limosa invece d’essere un filosofo era uno sportman innamorato; perciò non è meraviglia ragionasse, o meglio, sragionasse così: «Questa donna, che è una signora eccezionale, io l’amo alla follia e con buone intenzioni: per forza; perchè è onesta; e la sposerei anche. Disgraziatamente essa non mi ama perchè ha un vizio. Un vizio? Sì: come Luisella la mia puledra…. Luisella adombrava al passaggio del treno o d’una bicicletta, e balzava o scappava o voltava indietro; sudava tutta; tremava; e guai se gliel’avessi data vinta! Io, traendola alla ferrovia e facendola sorprendere incontro, dietro o di fianco, con una bicicletta, e intanto frenandola e frustandola a mio modo, l’ho domata che è diventata un’agnellina. Ma Luisella è una cavalla, e Claudia una signora. Per questa dunque mi atterrò a un metodo affatto contrario.»
Ora, la fallacia del ragionamento apparisce manifesta nel credere che per essere Luisella una bestia e Claudia una donna, l’una ragionevole e l’altra no, patissero o peccassero in modo affatto contrario e bisognassero di opposti rimedi.
Ma, salvo il rispetto, in una qualità almeno rassomigliavano: che eran femmine ambedue.
II.
Gianni Limosa aveva molti meriti: capelli neri a spazzola; barba corta all’inglese; abiti che rivelavano il tipo, quasi scomparso ai nostri giorni, del gentiluomo campagnolo, ma abiti di stoffa costosa e di bella fattura; muscoli temprati agli esercizi del corpo; un naturale buon umore e bastevole intelligenza e cultura perchè egli non si confondesse in conversazione alcuna. Dei contadini, fra cui viveva otto o nove mesi dell’anno senza orgoglio e senza abbassarsi troppo, o degli amici e delle amiche che trovava ai campi di corse, chi mai se lo sarebbe imaginato timido e trepidante? Bisognava vederlo tirare ai piccioni! saltar le siepi! guidare Luisella!
Però egli meritava anche scusa, tant’era graziosa e sagace quella signora Claudia; con certi modi ingenui e volontari da far girar la testa a ben altri che a uno sportman non filosofo! Nè Claudia stentò molto a introdurre il povero Gianni in un dialogo per cui egli credè meglio finirla e confessarsi innamorato cotto.
— Sissignora! Io sono un uomo alla buona, franco, robusto, sano. Non leggo romanzi, io! E non avrei mai creduto d’innamorarmi fino a questo punto.
— Di chi?
— Oh bella! Di lei!
Gianni rispose con voce un po’ aspra, perchè il cuore gli picchiava il petto; e con la sinistra accomodava la barba, mentre Claudia, niente affatto meravigliata, restava con la testa appoggiata al divano mostrandogli, senza volere, la bianca gola e sorridendo d’un’ironia lieve, non priva d’indulgenza.
— Povero Limosa! – ella disse poi. – Non conosce neppur tutta la gravità del suo malanno! Perchè, scusi, se non è sano chi legge romanzi, non sarà sano neppure chi è innamorato come nei romanzi e come dice di essere lei.
Egli mormorò:
— Già, mi contraddico; non capisco più nulla!… Tanto più che io amo non da eroe, ma da onest’uomo; disposto a qualunque sacrificio.
— Bravo! E quale sarebbe il sacrificio più grande?
— ….Rinunciare alla mia libertà!
Il modo con cui fece l’offerta e il tono che aveva imposto alle parole un peso maggiore a quello stesso ch’egli v’attribuiva, ottennero dalla signora una risata schietta.
— Dio mio! Ma il sacrificio della propria libertà è il più piccolo, il più semplice, il più naturale per l’amore, cioè per il matrimonio! È necessario; se no, il matrimonio non sarebbe un legame!
— Ebbene – disse rosso in volto Limosa – , io farò di più: rinuncerò ai cavalli, alla caccia, alla campagna; andrò nel bel mondo; leggerò dei romanzi; cercherò duelli; farò della politica; ascolterò concerti wagneriani; ballerò la season….
— Inutile, povero Limosa!
— Perchè lei non mi amerà mai? mai?
Che impeto nella dimanda! che passione, che disperazione nel secondo «mai!»
Allora Claudia abbassò il capo, coprendosi la faccia con le mani, ascoltandosi e riflettendo; indi scosse il capo a viso scoperto.
— Io – disse – potrei rinunciare a tutto: ai cavalli, al mondo, ai romanzi, ai concerti, alla season….; a tutto, fuorchè alla mia libertà!
— Come? – esclamò pieno di gioia Limosa, dopo aver riflettuto anche lui. – Voi, dunque?… Voi…, lei…. Amandomi lei non rinuncerebbe alla sua, alla nostra libertà? Voglio dire che se poteste non rinunciare alla vostra libertà, voi forse…?
Non solo Claudia, ma nessun altro ci avrebbe capito nulla; o avrebbe capito che il cervello a quell’infelice gli aveva dato la volta.
Tuttavia la signora strinse le ciglia quasi dubitasse d’un’offesa e attendesse un opportuno schiarimento.
— Sì! – egli dichiarò. – Non son io che lei odia; non è l’amore che lei odia: è il matrimonio!
E pareva aggiungere: «Quando tutto l’ostacolo stesse qui, non ci vedrei tante difficoltà a superarlo.»
Ma la signora con voce e attitudine convenevoli alle parole, eppure quasi benigna:
— Io non odio nulla e nessuno, amico mio; solo, non ho voglia d’amare, perchè più mi piace viver libera; nè una donna come me intenderebbe l’amore senza il sacrificio assoluto e…. legale della propria libertà. Chiaro?
A ogni parola la faccia di Limosa era andata acquistando una linea di mestizia; sicchè all’ultima rassomigliava, lui, a Iacopo Ortis, ma in barba corta all’inglese.
— ….Perciò, amico mio…, lasciate…. (dolcemente ella cedette al voi)…. lasciate questo discorso; e piuttosto facciamo una partita a scopa.
Il naso sul mento e il mento sul petto, Gianni, quando rispose, disse con un sospiro che venne fuori dal broncio:
— Non conosco le carte!
— Nemmeno avete imparato a conoscerle? – ella domandò tra compassionevole e ironica, secondo la sua usanza.
Allora egli proruppe:
— Per l’addietro vi dicevo: non so giocare; oggi, signora, vi dico: nemmeno conosco le carte! e me ne vanto!
— Oh oh!… Ma dunque che fate assistendo alle nostre partite? a che pensate?
La passione lo rese eloquente e furente.
— A voi penso! Io vi guardo; vi studio; vi esamino; vi giudico; entro in voi; scappo disperato; mi perdo…. Oh che martirio amarvi e vedervi con le carte in mano! Un supplizio! Diventate cattiva e debole; perfida con chi vince; lusinghiera con chi vi fa vincere….
— Limosa!
— Quante volte soffro io più di voi a vedervi palpitante, tremante, pallida in attesa d’un colpo di fortuna! Quante volte vi ho sorpresa con occhi pieni di fiamma interrogare, invitare, accarezzare un compagno più brutto del demonio! Quante volte ho dovuto augurarmi d’essere io il re bello, che vi rallegrava, o l’asso di bastoni o il bagattino!
— O l’angelo, o il diavolo, bugiardo che siete! – esclamò giuliva la signora. – Conoscete fino i tarocchi!
Ma l’altro seguitava a infuriarsi:
— Quante volte ho pianto, ho quasi pianto a vedervi consumare in tal modo gioventù, bellezza, salute, intelligenza, anima! Ma io che vi amo tanto, io giudico che anche questa è una colpa, perchè è questo esecrabile vizio, questa obbrobriosa catena che v’impedisce di amare e di rinunciare alla vostra libertà. Vergogna!
A questo punto Gianni s’aspettava che ella rispondesse un «grazie» per canzonatura, o che inferocita lo mettesse alla porta; tanta foga egli aveva data all’invettiva. Al contrario, fredda e severa, Claudia parlò:
— Il vostro rimprovero è ingiusto. Non mi offende: mi affligge; e non vi perdonerei se non vi credessi innamorato perbene e troppo inesperto nell’amore onesto.
Bel colpo!; che Gianni ricevette senza ribattere.
— Sapete voi perchè gioco? – ella continuava.
Cosa poteva saper lui, che non sapeva neanche perchè si fosse innamorato così?
— ….Gioco perchè l’alcoolismo in una donna è turpe; perchè se sono religiosa, non sono bigotta, non ipocrita nè egoista; perchè (e qui la bella voce s’inteneriva), perchè quando mio marito m’ebbe abbandonata sola al mondo, io, che l’amavo perbene, non gli sarei sopravvissuta e mi sarei lasciata struggere dal dolore se non avessi trovato scampo e consolazione in una passione onesta. Inebriarmi? Schiodar Cristi? Mai! Il mio Vittorio m’aveva insegnato lui il faraone, il macao, il tresette, i tarocchi, la scopa! … – E sgorgarono le lagrime; piovvero lagrime sul fazzoletto.
— Perdono, perdono! – scongiurava Limosa, pari a un eroe da romanzo, afferrandole una mano e coprendola di baci; mentre si chiedeva: Debbo mettermi in ginocchio?»
— ….Perdonatemi! – riprese. – La colpa è proprio della mia inesperienza! Se io fossi avvezzo a innamorarmi, non invidierei le carte e non desidererei per me quel che date a loro; mi negherei il diritto di ingelosire; riconoscerei il mio torto di amarvi tanto; mi persuaderei ch’è pazzia voler persuadere una donna che…. che…. Mi fate impazzire! Parola d’onore, impazzisco!
In fatti si stringeva il capo tra le mani. Onde, al suo solito modo, Claudia un po’ s’affliggeva e un po’ godeva.
— Allontanatevi, amico – ella consigliò buona buona. – Guarirete.
— Allontanarmi? Ma se per venire dalla mia villa alla vostra non ho cavallo che corra abbastanza! Se fin Luisella mi sembra una tartaruga!
— Distraetevi.
— Già, mi distrarrò! – egli disse alzandosi e sospirando. – Mi distrarrà o il vino, o la religione, o…. una rivoltella!
— Limosa! Gianni! – gridò impaurita la signora trattenendolo. – Che discorsi sono questi? Fermatevi, Gianni, per carità!
Egli la guardava tra minaccioso e meravigliato che ci fosse da spaventarsi in quella maniera. Finchè lasciò trarsi per il braccio, dolcemente…. Dove?… A un tavolino.
— Sedete! Ubbidite!
Ubbidì.
— Ora – ella conchiuse ridente, bellissima – v’insegnerò io, signorino, come si gioca a scopa!
III.
Ma studiando indefessamente, sin quasi ad ammalare di neurastenia, otto giorni dopo Gianni aveva imparato anche gli altri giochi d’ingegno e d’azzardo che appassionavano la signora Verbani, e s’era deliberato a questi termini: «O io rovinerò lei, o lei me; e verrà il giorno che, per rimorso, o per gratitudine, o per necessità, Claudia maledirà le carte e un prete benedirà il nostro amore.»
Con Luisella, la puledra, Gianni Limosa non sarebbe venuto mai a un tal patto:
«io accopperò te; o tu, me.»
Intanto gli amici vecchi e brontoloni, che dalle ville intorno si recavano dalla Verbani per le partite diurne e notturne, cedettero ogni primato al nuovo competitore e, invidiando, assistettero ai singolari certami per cui boni da cento lire sostituirono nelle poste quelli da dieci. Benevola, pur troppo, e d’accordo col proverbio (fortunato in amor…. ) la fortuna assisteva Gianni Limosa, a cui sarebbe parso meglio rovinarsi; poichè vincendo temeva guadagnarsi anche l’antipatia della signora. E alle occhiate di sfida e di corruccio sempre rispondeva con occhiate dimesse, a rassegnazione e a doglianza, come a ripetere: «Io v’amo!» Ella aveva talvolta sorrisi di scherno e lampi d’odio. Ma poscia la fortuna si stancò di favorire chi non la curava, anzi l’incolpava di danni; e Claudia vinse; vinse tanto, in poche settimane, che la somma, sebbene profusa in beneficenza, scandalizzò la compagnia e il mondo intorno.
Godeva Gianni di quelle voci avverse; ne accrebbe la gravità vendendo, quasi per bisogno, due cavalli; inoltre un giorno, senza bisogno, chiese quattrini in prestito a uno di quegli amici ostili. Repugnanza e rimorso non tardarono quindi ad abbattere la gentile colpevole, e le partite a scopa moderate a poche lire tornavano alla memoria di lei come, dopo il fallo, il bene della virtù perduta. Ah retrocedere! Ah limitarsi alle pure briscole!
Ma Gianni, ch’era sano, robusto e caparbio, procedeva nelle scope, e peggio.
— Quest’inverno vado a Montecarlo – le disse un giorno.
— Non voglio! – ella esclamò. – La roulette è stupida.
Ah sì? Egli tacque dicendo press’a poco con gli occhi:
«La roulette è stupida? E la briscola no? e il macao? e la scopa? e la bestia? e io? e voi? Non comprendete dunque il vostro lungo delitto? il mio lento suicidio? Non potremmo fare qualche altra cosa di meglio?»
Seguì un giorno nuvoloso; di un nuvolo coerente e indifferente, in quella tinta grigia, di latta, onde par greve sino la luce; e solo, a quando a quando, snebbiava un po’ di pioggia; minuta, silente, inutile pioggia. Mortificate, le piante del giardino non muovevan foglia; senza tremito eran le frange degli abeti; senza voci gli alberi e il tetto; senza volo gli uccelli; senz’anima la vita; senza vita l’universo; senza l’universo…. Una giornata insomma o da briscola o da suicidio. Ebbene, chi lo crederebbe?…
Claudia mormorò:
— Non ho voglia di giocare, oggi!
E a Gianni, riavutosi dallo stordimento repentino, non parve vero d’esclamare:
— Facciamo qualche altra cosa!
— Chiacchieriamo.
Egli tacque.
— Non andate a Erba, quest’anno?
— No: Gringoire s’è azzoppato.
— E Luisella?
— Non è da corsa a galoppo: l’ho allevata al trotto; e non la sciuperò mai in un ippodromo.
— È buona…, lei?
— Oh sì!
— Senza vizi?
— Un tempo adombrava delle biciclette: adesso, più.
— Bella, è bella – dovè ammettere un po’ a malincuore Claudia. Indi chiese: – Siete venuto qua con lei? con la charrette?
— Sì.
Che capriccio le veniva? Andò alla finestra; disse:
— Se non piovesse…, vorrei conoscere anch’io le virtù di Luisella.
— Facciamo una trottata! – gridò Gianni.
Il cielo, a sua consolazione, si rischiarava; non sgocciolava più,
— Posso fidarmi?
— Di Luisella? Garantisco!
— E di voi?
Da uomo leale Gianni tacque prima di portare una mano al petto; ma poi rispose: — Sì.
…. Andarono per la diritta via, che la puledra, con trotto uguale, ampio e sonante, sorpassava recando nella charrette il signore e la signora.
Provava questa il piacere d’un sollazzo fanciullesco e quegli d’un rapimento giocondo; e l’uno sussurrava e l’altra ascoltava vezzose apostrofi: — Biondina…; birichina…; capricciosa…; cattiva, etc.; – mentre l’aria, risentita dell’autunno e rinfrescata dalla recente pioggia, al veloce incontro suscitava nel loro sangue brividi di delizia.
— Yop! Via, Luisella!
Luisella volava.
— Mi comprendete, oggi? – chiese Gianni, a un punto, con nuova dolcezza.
E Claudia:
— Comprendo il piacere d’aver domato così bene questa bella bestia.
— Oh c’è una gioia più grande: domare un angelo!
— Difficile impresa per un uomo!
— No: per un asino come me, che ha soggezione di voi anche oggi!
Gianni s’adirava.
— Un altro non si sarebbe messo una mano al petto….
— E io, allora, non mi sarei fidata. Dunque, buono! e…. sperate. Da bravo! Dicono che Amore faccia miracoli.
Divina creatura! Quando parlava sul serio, non si poteva crederle; ma quando scherzava, persuadeva.
Rassegnato, tratto tratto Gianni si specchiava negli occhi di lei, ove gli pareva vedersi più vivo e più bello, o attendeva a vedere come l’aria lusingava que’ fini capelli biondi. Intanto Amore preparava il miracolo.
Ecco: modestamente la signora, fra quelle carezze, e arditamente Luisella, guardavano innanzi per la strada diritta e libera, mentre Gianni guardava da un lato; e non si sa quale delle due prima, Claudia…. — oh Dio!…: una bici…. – vide; e Luisella, a tal vista – una bicicletta! – sbalzò, per voltare indietro…; voltò. Un indefinibile, duplice grido: l’urto della ruota a un paracarri: la fredda, rigida sensazione d’un istantaneo volo, d’un rapido rovescio, d’una botta tremenda a terra per cui l’anima s’insaccasse e profondasse nel corpo e il corpo si schiacciasse…. Tutto ciò in due secondi! La catastrofe d’un sogno mortale; la realtà d’un salto mortale!
Dal cielo in terra! Gesummaria, che disastro! In terra, fermi, inerti, tutti e due; anzi, tre, con la charrette senza stanghe.
….Nè prima Gianni ebbe certezza di non essersi rotto nulla, che si vide appresso, morta, Claudia; vide quel della bicicletta accorrere a loro; vide già lontana lontana correr via, maledetta!, Luisella; poi non vide più che la signora, morta!
— Claudia! Claudia! – invocava disperato, anelante, bianco di terrore in faccia, e tutto inzaccherato. Ma il ciclista giungeva avvertendo: — Io medico! medico, io! – ; e affannoso anche lui, colui s’inginocchiò a slacciare il busto della poverina e a richiamarla in vita; mentre Gianni, che non aveva mai vista una donna svenuta, si strappava i capelli e ripeteva: — Morta!
Ma ecco il miracolo: rinvenne: sospirò: emise un gemito lungo….
— Rotta! – fece lo straniero nel deporla con cura.
Gianni lamentava: — Claudia! Claudia! Ah sì! la poverina s’era rotto un braccio! Ora bisognerebbe descrivere l’animo di Limosa, in cui combattevano e si confondevano la voglia di ammazzare il ciclista a pugni, e dolore, amore, disperazione, speranza; bisognerebbe rappresentarlo nell’angosciosa attesa della carrozza mandata a prendere alla villa per un contadino; ma sarebbe còmpito arduo non meno che rintracciar le parole italiane, francesi, tedesche con cui quel medico straniero pregava la pericolata che facesse il piacere di ricuperare i sensi per non ismarrirli di nuovo, subito dopo. Tre volte ella tornò in sè a gemere, da sul cuscino, ch’era caduto con loro dalla charrette; finchè alla quarta rimase, più dolente e piangente, in vita.
Adagiatala, quando Dio volle, su la carrozza – poichè il forestiero raccomandava di portarla al luogo più vicino – la trasferirono senza scrupolo a Villa Limosa. Del resto, il medico ciclista la credeva moglie del signore. E con gran premura accertò Gianni che, fuori del braccio, votre femme non aveva patito danno notevole; e si compiacque a fare lui, benissimo, la fasciatura; e lasciò qualche consiglio pel collega italiano che arriverebbe dal paese; e dimandò, a solo compenso, la firma nell’album dei ricordi. Infine, lieto d’essere stato utile, saltò in bicicletta e buon viaggio! – Al diavolo!
Era a quel che aveva detto e a quel che si seppe poi, un medico di gran nome; il quale per provare i benefizi della ginnastica e per convincere della sentenza mens sana in corpore sano faceva il giro del mondo in bicicletta.
IV.
Il giorno dopo Claudia chiamò Gianni e gli disse:
— Iddio mi ha castigata, amico mio!
A che, triste, l’amico:
— Ci ha castigati tutti e due; purtroppo!
— Avrei preferito – essa aggiunse – rimetterci il braccio che offendere il mio buon nome. Pensate: sono in casa vostra!
Ribattè Limosa:
— E io? tocca a me rimediare!
— Io – soggiunse la signora – sperava di non rimaritarmi se non di mia spontanea volontà.
— E io – ribattè Gianni – non voleva sposarvi prima di esser certo di tutto il vostro amore…. Claudia – pregò – , me ne date almeno un poco?
Ella tacque; poscia rispose:
— Sono così dolente della percossa che non ho più forza di sentir altro. Lasciate che mi ricuperi l’anima, che possa riflettere, che mi ricordi.
Più tardi lui tornò da lei; ed ella gli disse come se dicesse una cosa buffa:
— Mi ricordo che quando mi parve d’andar per aria e invece andavamo in terra, sentii che con voi morivo volentieri.
Ah! quale allora il cuore di Gianni! Ella lo amava! lo amava sul serio! Così, finalmente, un purissimo bacio fu suggello alla promessa fede di quelle due anime oneste.
Dopo il quale, Gianni corse nella scuderia a veder Luisella; e, a vederlo, Luisella, ch’egli aveva bastonata a furia, nitrì senza rancore e senza rimorso.
Se la puledra avesse perduto il vizio, Claudia si sarebbe mai accorta di amarlo fino a sentire di morir volentieri con lui?
No. Dunque il grave odio, l’ardente ira da cui il giorno prima egli era stato infiammato contro Luisella, non solo per la caduta di Claudia ma per la ricaduta d’essa, la puledra, nell’antico fallo (e se non fosse stata una bestia, certamente l’avrebbe uccisa), ora divenne fervida e carezzevole riconoscenza. Gianni Limosa abbracciò al collo la sua cavalla.
V.
Appena in grado di levarsi la signora partì per la città ad affrettarvi i preparativi delle nozze e la riparazione dello scandalo: questo tanto più ingiusto in quanto che era seguito a una disgrazia grave. Ma incrudelivano nelle chiacchiere i vecchi compagni di gioco; e quindi una nuova ragione per Limosa a detestare le carte. Egli, in quel mentre, rimeditava la purissima luna di miele anticipata; le ore di felicità trascorse al letto dell’inferma quando, parlassero o stessero cheti, sì dolci cose s’erano dette.
Era un fenomeno stranissimo: pareva a Gianni che Claudia si adattasse a lui con le parole, gli sguardi, i sorrisi, le intenzioni del pensiero e dell’animo; nè avvertiva che lui s’adattava a lei, s’ingentiliva, poetizzava sè medesimo; e parlava a voce sommessa; e camminava in punta di piedi….
Come ebbero risoluti tutti i problemi della felicità avvenire e scelti i luoghi da stare durante le quattro stagioni, e i viaggi da fare, e i metodi da tenere nell’educazione dei figlioli maschi e femmine, e contenuti i trasporti d’amore, per divagarsi si eran dati alle Letture. Limosa leggeva I tre Moschettieri, ritrovandosi non in Porthos, a cui rassomigliava un poco, ma in D’Artagnan; ed ella trovando lui in Aramis, al quale non rassomigliava affatto. Oh la beatitudine di quelle ore!; la gioia di comprendersi a vicenda, di conoscersi ogni dì meglio!
Inutile dire che le carte non eran state desiderate dalla signora, la quale avrebbe dovuto giocare (ohibò!) con un braccio solo e sul letto; e che il buon Limosa alle carte quasi non ci pensava più. Pensandoci diceva tra sè: «Se mi sbagliai nel metodo di correggere Luisella, che è una bestia, non sbagliavo certo per Claudia, che è un angelo. Nessun dubbio che dalla mia abnegazione era già nata la pietà, e che dalla pietà sarebbe venuto l’amore. Luisella però – che sia benedetta in eterno! – l’ha fatta innamorare e guarire del vizio in un colpo solo. Adesso posso star sicuro che di gioco non se ne parlerà mai più.» Infatti chiodo scaccia chiodo, o un diavolo scaccia l’altro.
Compiuti dunque i preparativi, subito Claudia telegrafò: Sono pronta; e Gianni, che era pronto da un pezzo, accorse….
…. I testimoni e i congiunti più stretti hanno accompagnati gli sposi alla ferrovia, ammirando la disinvolta esperienza nella sposa, la semplicità d’uomo un po’ inesperto in certe cose di circostanza, ma sicuro di sè, nello sposo. E senza lagrime si affrettan gli addii; sono giocondi gli auguri di buon viaggio.
Tatà…. Un fischio…. Partenza!
Nè il treno è ancor fuori della tettoia che già lo sposo tira le tende della carrozza, forse perchè il sole a loro festa dardeggia i cristalli, o perchè non gl’importa, a Gianni, della veduta esterna. Or come la sposa lascia cadere il mazzo di fiori, che effondono una fragranza soverchia, lo sposo mormora:
— Finalmente soli! liberi! Sei mia, Claudia! Legàti per sempre! Oh Claudia!
Ella sorride in un modo, in un modo….
Ma ecco: si alza, si svincola; e mentre col braccio risanato trattiene lui e l’impedisce, dalla tasca del mantello trae fuori un pacchetto, e mostrandolo vittoriosa, gloriosa, irresistibile:
— Facciamo una partita?
Fine.
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QUESTO E-BOOK:
TITOLO: La giocatrice
AUTORE: Adolfo Albertazzi
NOTE: Il testo è tratto da una copia in formato immagine presente sul sito Internet Archive (http://www.archive.org/). Realizzato in collaborazione con il Project Gutenberg (http://www.gutenberg.org/) tramite Distributed proofreaders (http://www.pgdp.net/).
DIRITTI D'AUTORE: no
LICENZA: questo testo è distribuito con la licenza specificata al seguente indirizzo Internet:
https://www.liberliber.it/online/opere/libri/licenze/
TRATTO DA: Novelle umoristiche : / di Adolfo Albertazzi – Milano : F.lli Treves, 1914 – 314, 8 p. ; 20 cm.
SOGGETTO: FIC029000 FICTION / Brevi Racconti (autori singoli)