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Il fabbro armonioso fu pubblicato la prima volta nel 1919, all’indomani della fine della prima guerra mondiale che, tra le sue numerose vittime, contò anche Jacopo Novaro, figlio dell’autore. Siamo quindi di fronte all’accorato dolore del padre; inizia dal sentimento angoscioso per la mancanza di notizie, che consentono però ancora la tenue speranza, e diventa disperato dolore quando giunge la lettera, che non è quella di Jacopo…
Ben più noto del grande poeta che fu suo fratello Mario, Angiolo Silvio riesce a infondere in queste pagine di prosa lirica gli stessi valori delle sue poesie. Chi, nato prima del 1960, può non ricordare La pioggerellina di marzo che picchia argentina… tappa obbligata nello studio “a memoria” delle scuole elementari dell’epoca? E in questo breve libretto troviamo lo stesso sentimento, la sincerità, il profondo amore dell’animo del poeta. Lo leggiamo nella rievocazione dei momenti felici, nel rammarico, tanto comprensibile in chi ha perduto un figlio – forse la disgrazia più “innaturale” che possa colpire una persona – di aver usato troppa severità verso di lui:
“Non mi sono saziato abbastanza di te, la mia sete e la mia fame le nascondevo come una debolezza e un peccato. Per arricchirti costringevo me e te in miseria”.
Viene alla mente il precedente libro di racconti La bottega dello stregone; anche in diversi di questi racconti sembra quasi che si parli di Jacopo, quando ancora ragazzino poteva ispirare al padre un dialogo immaginario tra un fanciullo, un alloro e una rondine; tutti scontenti del loro stato, al termine ascoltano il sermone della luna: “tu ragazzo mio, rallegrati di essere uomo e pensa a studiare e farti onore”. Jacopo si è fatto onore cadendo però da “prode a capo dei suoi soldati, è stato visto lottare come un lioncello”.
Quindi al padre non resta che scrivere tutta la sua dimostrazione d’affetto, il rivelarglielo immenso quale in realtà era e che si riproponeva di manifestar interamente “quando saresti finalmente e interamente tu”. Forse oggi può apparire stonato questo atteggiamento da “padre educatore” ma era certamente quello che si considerava il miglior atteggiamento di un padre cento anni fa. Quindi in primo piano dobbiamo mettere il fatto che l’età felice non è potuta giungere per Jacopo Novaro e al padre resta lo struggente rammarico per non avere anticipato per quel figlio le gioie che seminate dalle cure paterne hanno avuto appena il tempo di germogliare ma non di fiorire.
Come in altre opere di Angiolo Silvio Novaro, semplicità e modestia sono le caratteristiche emergenti di questo poema in prosa. Il titolo riprende quello della famosa sonata di Händel, che Jacopo prediligeva perché una volta la mamma disse che “il fabbro armonioso” era il padre. Come ho ricordato il libro di racconti, che mi è parso l’antecedente di questo libretto, così è giusto citare il successivo Dio è qui. Pur cambiando il tema si percepisce con forza il dramma interiore portato dal dolore del padre; sembra quasi che Novaro abbia voluto sviluppare quello che scrisse nel Fabbro armonioso:
“Credevo che di dolore non si vivesse. Ebbene […], io ne vivo. Me ne nutro. Mi basta a colmare e saziare il mio cuore.”
Sinossi a cura di Paolo Alberti
Dall’incipit del libro:
Tre giorni passano in una cupa ansietà. L’indomani apprendiamo che il tuo battaglione subì un rovescio. All’alba, nella Piana della Marcèsina, in terreno scoperto, il nemico vi assaliva. Della tua compagnia, la più parte uccisi o prigionieri. Tu, per miracolo, salvo. Così dicono. La morte non t’ha voluto. Ti ha rasentato, ha falciato a un capello da te… Ma mentre i tuoi compagni scrivono, tu taci. I nostri telegrammi concitati, i gridi che lanciamo di qua e di là dal confine, affogano nel silenzio. Il dubbio ci serra il cuore. La mamma si rifugia nella tua ultima lettera. Da voi esigo tenace ostinata fiducia e calma… Si attacca alle tue parole come a un talismano. Come se il Cielo a cui eri così presso te le avesse egli suggerite, rendendo sacra anche la promessa che forse racchiudono. Si riconcilia col mistero. Abbozza un sorriso. A me invece la sublimità stessa di quello scritto mi abbatte. La tua voce mi scuote come venisse da una lontananza e un’altezza che solo conosce chi ha superato sé medesimo e il fato, ed è faccia a faccia con Dio. Penso a ciò, e mi ringoio le mie lacrime. E una pietà mi prende per la mamma. La guardo: nelle linee del suo viso scopro ora per la prima volta tanto di te: questo ripossederti a ritroso del tempo, attraverso lei che ti generava mi dà una dolcezza disperata. Intanto bisogna pure scriverti. A te che taci perché le labbra la morte forse te le ha cucite, bisogna parlare il linguaggio dell’ore usuali dissimulando lo strazio sotto un velo di trepida serenità.
Scarica gratis: Il fabbro armonioso di Angiolo Silvio Novaro.