Il primo dei due volumi dell’opera più importante e più tradotta della letteratura italiana di viaggio del Seicento. L’autore, un ragguardevole nobile romano di vasti interessi culturali, approfondito conoscitore di molte discipline nonché versatile poliglotta, descrive in diaristica forma epistolare l’itinerario del suo lunghissimo viaggio durato ininterrottamente dal 1614 al 1626, e compiuto con larghezza di mezzi nelle terre del dominio ottomano, in Persia, nell’India, e infine lungo la penisola arabica e il Golfo Persico.
Questo primo libro copre il periodo dal 1614 alla primavera del 1619, e inizialmente lo vede muovere come pellegrino da Costantinopoli ai luoghi santi, da lui raggiunti dopo significative diversioni nel basso Egitto con un prolungato soggiorno al Cairo, nel Sinai e in Palestina. Da Gerusalemme Pietro Della Valle finisce poi in Siria sostando soprattutto a Damasco, Aleppo e Baghdad, dove nel 1616 sposa Sitti Maani Gioerida, una giovane cristiana di rito nestoriano, e con lei passa in territorio persiano: qui è ricevuto dallo scià Abbas I il Grande nella capitale Isfahan, e, accolto quale ospite di riguardo e interlocutore privilegiato a corte, può seguire da vicino i maneggi politici e bellici nelle ultime concitate fasi del vittorioso conflitto contro l’impero turco. Sotto la lente dell’insaziabile curiosità di un indagatore attento e meticoloso, il mondo islamico si svela nelle sue vicende antiche e recenti oltre che nelle pieghe degli usi e costumi quotidiani, riversandosi in un’opera che per la dovizia e l’affidabilità delle informazioni rimane tuttora un sicuro caposaldo negli studi orientalistici, e continua a farsi apprezzare per i pregi inalterati della sua attraente lettura.
Sinossi a cura di Giovanni Mennella
Dall’incipit della Lettera Prima:
Da Costantinopoli, del 23 di agosto 1614
I. Imaginandomi che a V. S. non debba esser discaro d’aver qualche nuova del mio viaggio di Costantinopoli, ho voluto con questa dargliene brevemente ragguaglio. Sappia dunque (per lasciar quello da Napoli a Roma, e da Roma a Venezia, che ne è già informata, e non vi fu cosa degna di scriversi), che la domenica agli otto di giugno del presente anno 1614, nello spuntar dell’aurora, partii dal porto di Malamocco, imbarcato nel galeone detto il Gran Delfino; vascello grande, da guerra, armato con quarantacinque pezzi d’artiglieria, e fornito d’ogni altra cosa necessaria a proporzione, dove aveva conversazione di circa a cinquecento altri, fra uomini e donne, soldati, marinari, mercatanti e passaggieri; e tra questi v’erano Cristiani cattolici, eretici di varie sette, Greci, Armeni, Turchi, Persiani, Ebrei, Italiani di quasi tutte le città, Francesi, Spagnuoli, Portoghesi, Inglesi, Tedeschi, Fiamminghi, e per concluderla in poche parole, di quasi tutte le religioni e nazioni del mondo. La mescolanza di questa compagnia sarebbe stata in vero gustosa, se col soverchio numero non avesse partorito quella confusione e quelle angustie che V. S. può pensare, riducendo tanta gente in così poco luogo: le quali in progresso di tempo cagionarono nella nave una specie d’infezione, che generò molte malattie, che più volte mi fecero dubitar di me stesso e desiderare il mio napolitano Esculapio, e con ragione.
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