Pubblicato dapprima a puntate su «Nuova Antologia» nel 1907, e nel 1908 raccolto in volume per volere del figlio Riccardo, che è ricordato nella dedica, è il diario della giovane Grazia Mancini tra il 1856 e il 1864.
Esule con la famiglia a Torino a causa della attività liberale del padre a Napoli, queste pagine offrono uno spaccato di grande interesse per seguire con gli occhi dell’adolescente il processo di unificazione italiana con una prospettiva certamente particolare, che è quella dell’ambiente degli esuli del regno borbonico. Vediamo quindi descritti gli incontri con i personaggi più noti della battaglia per l’unificazione italiana, da Poerio a Daniele Manin, da Giorgio Pallavicino a Garibaldi. Seguiamo quindi la preparazione e lo svolgimento della spedizione dei Mille, e l’avanzata di Garibaldi, il ritorno della famiglia Mancini nella Napoli liberata e le riflessioni della giovane Grazia sulla situazione meridionale e napoletana in particolare. È logico che le riflessioni della giovane siano sempre viste nell’ottica dell’ammiratissimo padre Pasquale Stanislao, avvocato e politico, poi deputato e ministro.
Ma non manca neppure il ricordo di alcune poetesse risorgimentali oggi dimenticate come Agata Sofia Sassernò, o la poetessa improvvisatrice Giannina Milli. Vengono ricordati alcuni processi all’epoca di grande risonanza, come il processo Delitala e De Bernardi, entrambi a carico di imputati per aver ucciso una donna, la fidanzata il primo, la giovane moglie il secondo. Il padre avvocato non poté evitare la condanna a morte del primo ma fece assolvere il secondo. “Pessimo marito” lo definisce Grazia. Anche queste esperienze “processuali” certamente contribuirono alla maturazione, in quegli anni giovanili, in Grazia della consapevolezza in merito alle sperequazioni delle quali soffre la donna nella società. La morte della cameriera Maria, suicida per la vergogna di essere stata sedotta e rimasta incinta suscita questi pensieri:
«Infelice Maria! Al certo fosti più incauta che malvagia e hai scontato con la vita la colpa del tuo seduttore! Ancora una volta rifletto con amarezza alla disuguaglianza del destino fra l’uomo e la donna! Non sorgerà un vindice per questa, o non saprà ella stessa, con la forza d’animo, lo studio, la prova incessante del suo rinnovamento sociale, rendersi degna di leggi più eque ed umane?»
E poco dopo:
«Intanto la donna può mitigare il proprio destino educando la nuova generazione a nuovi ideali! Guai a lei se non lo saprà fare!… Quando vorrà insorgere si accorgerà di avere innanzi avversarî da lei stessa foggiati!…»
Il padre combatteva contro la pena di morte ed era riuscito a farla abolire nella Repubblica di San Marino. E Grazia fa le sue riflessioni sull’argomento:
«Non è la gravità delle pene che può far diminuire il delitto, ma la civiltà, che moltiplica le scuole; il benessere materiale, che allontana lo spettro della fame; la coltura intellettuale, che a poco a poco allarga l’orizzonte ed affina l’intelligenza….»
Il periodo di otto anni che copre questo diario vede anche evidente la maturazione della ragazza e l’evolversi del suo pensiero, dagli ardori della prima adolescenza a un certo disincanto della giovinezza. Già commentando l’applicazione della legge Siccardi del 4 febbraio 1861 sulla “Mano Morta” ecclesiastica, tesa a contrastare un antico privilegio fiscale, Grazia approda a un anelito di giustizia sociale stimolato anche dalle pessime condizioni di vita della sua città natale osservate direttamente con tutte le loro contraddizioni. Testo quindi complessivamente di grande interesse sia come testimonianza storica atipica che come traccia, ancorché debole, per seguire lo svilupparsi della lotta per l’emancipazione femminile da un punto di vista moderato.
Sinossi a cura di Paolo Alberti
Dall’incipit del libro:
Cesarina, la mia piccola sorella, è morta fra le mie braccia…. Ho voluto lavarla…. ricomporla io stessa: parve addormentata appena le ebbi chiusi per sempre i grandi occhi cerulei. I capelli finissimi le formavano attorno al visetto bianco una cornice di oro pallido…. Mia madre già prima della fine era stata condotta altrove…: poverina, innanzi i trent’anni ha messo al mondo dieci figli e questa è la quarta bambina che le vien tolta dalla morte. Sentivo attorno attorno un confuso mormorìo di pianti, ma non piangevo io, tutta intenta in quel sembiante placido, che pareva sorridere…. dirmi: sto bene, sono tanto felice…
Mio padre si accostò a testa china, mi chiamò prima per nome, poi, spaventato forse della mia immobilità, mi afferrò per un braccio per allontanarmi da quella culla; diedi un grido al quale rispose un altro grido più acuto e doloroso: era di mamma mia!
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