La commedia Vestire gli ignudi fu scritta nella primavera del 1922 e fu rappresentata la prima volta il 14 novembre 1922 al teatro Quirino di Roma, con protagonista l’attrice Maria Melato, e contemporaneamente a Torino e Milano. Fu pubblicata nel 1923 da Bemporad nella raccolta Maschere nude e poi nel 1935, praticamente immutata, da Mondadori. L’accoglienza del pubblico fu abbastanza buona, più tiepida la critica soprattutto a causa della poca chiarezza nell’esporre l’antefatto.
Contrariamente a molte altre commedie dell’autore, Vestire gli ignudi non ha un antecedente in alcuna novella. Tuttavia l’autore fu accusato da Adelaide Bernardini, vedova di Luigi Capuana, di essersi ispirato a vicende private del Capuana stesso, che di Pirandello fu amico, e di plagio in relazione al racconto Dal taccuino di Ada, che il Capuana aveva scritto nel 1896. In un’intervista a «Epoca» Pirandello rivendicò il proprio diritto a ispirarsi a casi di vita che erano universalmente noti e che, per il resto, la commedia era frutto della sua fantasia.
L’antefatto ruota attorno alla vicenda di Ersilia Drei, che – istitutrice presso la famiglia del console italiano a Smirne – vive la drammatica esperienza della morte della bimba a lei affidata, precipitata da una terrazza, mentre lei si intratteneva in intimità con il console stesso padre della bimba. Considerata responsabile della morte della bambina viene scacciata dalla casa del console e costretta a tornare in Italia, dove, dopo intervista alla stampa in seguito ad un tentato suicidio, viene accolta dal romanziere Ludovico Nota, che vorrebbe trarre un romanzo da questa vicenda. Alla stampa Ersilia racconta di una delusione d’amore con un tenente della Marina, oltre alla vicenda del rapporto con il console Grotti. Questo porta ad una reazione da parte di entrambi.
Sotto questo aspetto si dipana la solita ambiguità pirandelliana dove la verità quasi mai è quella che appare e se mai tende ad emergere lentamente venendo a galla in un mare di contraddittorietà di opinioni e interpretazioni. La parvenza di un aspetto romantico, adatto a coprire la propria storia in realtà assai meno “candida” di come poteva apparire a un primo sguardo, è per Ersilia “un abitino decente”; è questo abitino che dovrebbe consentirle di superare la valanga dell’ostilità sociale dalla quale è travolta e di assumere, almeno nel momento nel quale si appresta a uscire dalla propria esistenza, sembianze differenti che la riabilitino agli occhi degli altri ma soprattutto di fronte a se stessa. “E allora, e allora volli farmela per la morte, almeno, una vestina decente”.
I rifiuti della società, che abbiamo imparato a conoscere nelle novelle di Pirandello, ritornano nelle sue commedie più marcatamente “metafisiche”, rifiuti che non hanno mai “avuto la forza di essere qualche cosa” (sono ancora le parole di Ersilia). Proprio intorno a questa presa di coscienza del tutto antieroica, e nell’ammissione della propria disperata ma sincera e umanamente comprensibile finzione, viene costruita l’ultima scena, forse una delle più intense e significative del teatro pirandelliano.
Sinossi a cura di Paolo Alberti
Dall’incipit dell’Atto primo:
La scena rappresenta lo scrittojo del romanziere Ludovico Nota. È un’ampia stanza d’affitto, con vecchi mobili scompagni, comperati di combinazione: alcuni, più volgari, di proprietà della signora Onoria; altri, del romanziere. Nella parete di fondo, un grande scaffale di libri; in quella a destra, tra due finestre guarnite di vecchie tende ingiallite, una scrivania alta, da scrivervi in piedi, col palchetto sottostante ingombro di grossi dizionari. Nella parete a sinistra, un divano d’antica foggia ricoperto di stoffa chiara a fiorami, con merletti appuntati sulla spalliera e ai bracciuoli, forse per nascondere il sudicio; poltrone, seggiole imbottite, un tavolinetto con ninnoli: tutto nel riquadro d’un vecchio tappeto scolorito. In questa parete, presso il proscenio, è la comune. Nella parete di fondo, dopo lo scaffale, è un uscio con tenda che immette nella camera da letto del Nota. In mezzo alla stanza, una tavola ovale con libri, rassegne, giornali, portafiori, portasigarette, qualche statuetta, e, davanti a questa tavola, una greppina con molti cuscini. Appesi alla parete di sinistra e a quella di destra parecchi quadretti di scarso valore artistico, doni di pittori amici. La stanza, benchè fornita di due finestre, è piuttosto cupa, quasi in penombra, per la strettezza della via e l’altezza delle case dirimpetto che la opprimono. La via, sotto, è molto rumorosa, e i rumori di essa si udranno nelle pause, ai luoghi indicati: rotolìo di vetture, di carri; campanelli di biciclette, trombe d’automobili, stantuffare strepitoso di motociclette, schiocchi di frusta, fischi, suono confuso di voci, grida di qualche venditore ambulante o d’un giornalajo, baccano di qualche rissa improvvisa.
Scarica gratis: Vestire gli ignudi di Luigi Pirandello.