Nel 1827 veniva stampata la prima edizione dei Promessi sposi. Nello stesso anno Giambattista Bazzoni dava alle stampe Il castello di Trezzo, Francesco Domenico Guerrazzi pubblicava La battaglia di Benevento e Vincenzo Lancetti il suo Cabrino Fondulo. Con l’indiscusso capolavoro e i tre “minori” nasceva il romanzo storico italiano e veniva naturalizzato e codificato nelle sue diverse possibilità di esecuzione aprendo le porte per il successo di opere successive e in particolare dell’Ettore Fieramosca di D’Azeglio.
Questa nascita riceve evidenti influssi dal precedente romanzo gotico e la continuità è garantita e testimoniata dal più noto autore del romanzo storico, lo scozzese Walter Scott. In proposito è giusto ricordare la prefazione dello stesso a Il castello d’Otranto, che in italiano fu tradotta la prima volta solo nel 1974. Scott afferma che il romanzo di Walpole è “il primo tentativo moderno di costruire un racconto fantastico ed emozionante sulle basi dell’antico romanzo cavalleresco”. Bazzoni, che nel 1930 avrebbe tradotto Waverly, conosceva senz’altro sia l’opera di Scott che quella di Walpole.
Nel suo romanzo, che ebbe successo immediato e duraturo, gli stereotipi del “gotico” si susseguono fin dalle prime pagine. Già la collocazione del castello, le pendici scoscese che vanno dalla rupe al fiume sottostante, inizia a predisporre il lettore ad accettare un’atmosfera cupa. Poi apprendiamo che “Taluno però asseriva d’avere inteso voci e lamenti partirsi dalla cappella de’ morti e dalla torre nera di Barbarossa, la quale stava rovinosa nel fondo del parco vicino all’antica fortezza” il che, in aggiunta a “tenebrose carceri” e “camere appartate” provviste di trabocchetti e ribalte, impartisce un deciso carattere “gotico” alla narrazione.
Abbiamo poi la fanciulla perseguitata, Ginevra, che fin dall’inizio del romanzo è prigioniera con i suoi familiari e, benché il bersaglio della persecuzione sia in realtà il padre, Bernabò Visconti, lei si trova nell’impossibilità di perseguire con successo il suo progetto sentimentale. L’amore contrastato è quasi sempre al centro dei romanzi storici, dal già citato Ettore Fieramosca di D’Azeglio a Marco Visconti di Tommaso Grossi, fino a Margherita Pusterla di Cesare Cantù. Se vogliamo trovare il filo conduttore che dal gotico si dipana nel romanzo storico basti pensare alla Emily di I misteri di Udolpho della Radcliffe. (Tutti questi romanzi sono disponibili nella biblioteca Manuzio, anche se la traduzione de I misteri di Udolpho non è certo la migliore disponibile). È appena il caso di aggiungere che il modello radcliffiano risulta ormai filtrato dal possente riferimento manzoniano. La trama “gotica” continua a dipanarsi ne Il castello di Trezzo con il personaggio di Palamede e i suoi progetti di liberare la fanciulla amata. La boscaglia che deve attraversare è buia e cupa e la misteriosa figura che lo guida appare “negromantica e di straordinario aspetto”.
Quando il primo capitolo de Il castello di Trezzo apparve nel numero di maggio 1926 del «Nuovo Ricoglitore», Bazzoni aveva solo 23 anni. La narrazione è vivace e di buon ritmo, ma questo non impedisce all’autore di premettere alla vicenda d’amore una descrizione dei tempi e del contesto storico dove è collocata l’azione. Siamo nel 1385, sulle rive dell’Adda, nel pieno della lotta mortale tra Bernabò Visconti e il nipote conte di Virtù. Questa lotta ostacola la storia d’amore tra Ginevra e Palamede de’ Bianchi. In questa premessa, secondo quanto aveva appreso dall’arte narrativa di Scott, troviamo non solo uno sguardo orientativo ma anche una certa volontà di valutazione. Poi il rapido susseguirsi di speranze, ostacoli, delusioni, ripresa di nuove speranze, conduce ad una luminosa conclusione.
Questa serenità e il fondo ottimistico (non certo comune a tutto il genere del romanzo storico sentimentale e passionale tipico del romanticismo minore) consentì certamente a Il castello di Trezzo il successo che lo condusse a stampare tre edizioni in solo anno. La fiducia provvidenziale appare in sottofondo ma in modo leggero e non invadente. Siamo in definitiva al cospetto del fratellino minore, magari un po’ ingenuo e rozzo, dei Promessi Sposi. E certamente porta la sua piccola pietra per consentire al romanzo storico di penetrare profondamente nel costume della borghesia italiana e costruire attorno ad esso il consenso e l’entusiasmo che non era stato caratteristico di altri prodotti della letteratura.
Il linguaggio del Bazzoni è sempre carico di arcaismi e di tensioni drammatiche che sembrano però male assimilate dalla lettura dei classici, ma non riuscì più, dopo questo sbocciare improvviso nel Castello di Trezzo, a fornire nelle opere successive la tessitura necessaria ad una piacevole narrazione.
Sinossi a cura di Paolo Alberti
Dall’incipit del libro:
Nell’età di mezzo, età d’armi e di fanatismo, in cui rade volte i principi s’avevano di mira il pubblico bene, l’Italia non offriva quell’aspetto florido e ridente che attualmente presenta. Non vedevansi allora comode ed ampie strade, non sodi ponti sui molti suoi fiumi e torrenti, non villaggi ben costrutti e popolosi. Nell’alta Lombardia specialmente a piè de’ colli e a dilungo de’ fiumi erano vaste foreste e boschi antichissimi; il suolo in molte parti non appariva che nuda brughiera o inculta landa; le strade erano torti viottoli, la maggior parte ne’ dì piovosi impraticabili, ne’ villaggi stavano ammucchiati gli abituri dei contadini, fabbricati parte di legno e parte di sassi e creta, che mal valevano a proteggerli dalla intemperie delle stagioni. Surgevano all’incontro pel contado castelli di massiccie mura, cerchiati da profonda fossa e chiusi da porte ferrate: quivi o nobile, o feudatario, o guerriero stava rinchiuso per esercitare prepotenze sopra i vassalli, per tendere agguati a’ vicini, o per sottrarsi alle pene meritatesi coi delitti e co’ tradimenti. Qua e là sparsi per le borgate e la campagna erano conventi e certose, i di cui superiori od abbati possedevano sovrani diritti. Le città presentavano l’aspetto più di fortezze che si guatino minacciose, che d’asilo di pacifici cittadini: l’una dell’altra inimiche, sempre tementi d’assalti, andavano tutte cinte d’altissime mura; e si amava più tosto con fossati e bastite di renderne l’avvicinamento difficile, di quello che procurarle ingresso comodo ed ornato.
Scarica gratis: Il castello di Trezzo di Giambattista Bazzoni.