Millepelli
Traduzione dalle fiabe dei fratelli Grimm
di
Antonio Gramsci
tempo di lettura: 9 minuti
C’era una volta un re che aveva una moglie coi capelli d’oro ed era così bella che un’altra come lei non si trovava in tutta la terra. Ora accadde che ella si ammalò e quando sentì che presto sarebbe morta, chiamò il re e gli disse:
«Se dopo la mia morte vorrai ancora prender moglie, non prendere nessuna che non sia bella come me e che non abbia, come me, i capelli d’oro. Prometti».
E dopo che il re ebbe promesso chiuse gli occhi e morì.
Per lungo tempo il re fu inconsolabile e non pensò neppure a risposarsi, ma i suoi consiglieri incominciarono a dirgli: «È proprio necessario che il re riprenda moglie, perché dobbiamo avere una regina».
Furono inviati dei messaggeri in lungo e in largo per cercare una sposa che fosse in tutto uguale per bellezza alla regina scomparsa. Ma non ne fu trovata nessuna in tutto il mondo, e se anche si fosse trovata essa certo non avrebbe avuto i capelli d’oro. Così i messaggeri tornarono a casa con le pive nel sacco.
Il re aveva una figlia che era bella proprio come sua madre morta e aveva anche gli stessi capelli d’oro. Quando fu cresciuta, il re osservandola si accorse che era in tutto simile alla moglie perduta e all’improvviso sentì per lei un violento amore. Disse pertanto ai suoi consiglieri: «Voglio sposare mia figlia perché essa è il ritratto di mia moglie morta e d’altronde non posso trovare un’altra sposa che le rassomigli».
Nel sentire queste parole i consiglieri inorridirono e dissero: «La natura non permette che un padre sposi sua figlia; da un tale abominio non potrebbe risultare nessun bene e tutto il reame sarebbe portato alla rovina».
Quando apprese la decisione del padre, la figlia inorridì ancor di più, ma sperò di riuscire a distoglierlo dal suo proposito.
Pertanto gli disse: «Prima che io soddisfi il vostro desiderio, devo avere tre vestiti: uno d’oro come il sole, l’altro d’argento come la luna e uno brillante come le stelle; inoltre desidero un mantello fatto di pelli di mille qualità; per confezionarlo ogni bestia del vostro reame dovrà dare un pezzetto della sua pelle».
E pensava: «Fare questo è impossibile e così riuscirò a distogliere mio padre dal suo abominevole pensiero».
Ma il re non desistette. Le più abili ragazze del suo regno dovettero tessere i tre vestiti, uno d’oro come il sole, uno d’argento come la luna e uno lucente come le stelle. E i suoi cacciatori dovettero prendere tutti gli animali del paese e portar via a ciascuno un pezzo della sua pelle: così fu fatto un mantello di mille pelli diverse. Finalmente quando tutto fu pronto, il re lo presentò alla figlia e disse: «Le nozze saranno celebrate domani».
La figlia del re, vedendo che non c’era speranza di cambiare il cuore del padre, decise di fuggire. Nella notte, quando tutti dormivano, si levò, prese tre dei suoi oggetti preziosi, un anello d’oro, un piccolo fuso d’oro e un piccolo arcolaio d’oro; chiuse in un guscio di noce i tre abiti di sole, di luna e di stelle, indossò il mantello fatto di tanti pezzettini di pelle e si tinse di nero la faccia e le mani con la fuliggine. Così truccata uscì di casa e camminò tutta la notte finché giunse in una grande foresta. E poiché era stanca entrò nel cavo di un albero e si addormentò.
Il sole spuntò e lei dormiva ancora profondamente e continuò a dormire fino a giorno inoltrato. Ora accadde che un giovane re al quale apparteneva quella foresta vi si recò a caccia. Appena i cani si avvicinarono all’albero fiutarono e corsero intorno al tronco abbaiando. Il re disse ai cacciatori: «Guardate dunque quale bestia si è rifugiata lì dentro».
I cacciatori ubbidirono e poi tornarono dal re dicendo: «Nel cavo dell’albero c’è un animale meraviglioso, come non ne abbiamo mai visto; la sua pelle è formata da migliaia di pellicce diverse; esso è sdraiato e dorme».
Il re disse: «Badate di prenderlo vivo, poi legatelo alla carrozza così lo porteremo al castello».
Ma quando i cacciatori afferrarono la fanciulla, ella si svegliò piena di terrore e disse loro: «Sono una povera ragazza abbandonata dai genitori, abbiate compassione di me e prendetemi con voi».
Essi le risposero: «Millepelli, tu sarai utile in cucina, vieni con noi; potrai badare alla cenere». La fecero sedere su un carro e la condussero nel castello del re. Là le mostrarono un angolino sotto la scala dove non c’era mai luce e le dissero: «Bestiolina, abiterai e dormirai qui». Poi fu mandata in cucina dove portava legna e acqua, attizzava il fuoco, spennava il pollame, mondava i legumi, spazzava la cenere e faceva tutti i bassi servizi.
Così Millepelli visse a lungo molto miseramente. Ma avvenne una volta che nel castello fu data una festa ed ella disse al cuoco: «Posso andare su un poco a guardare? Mi metterò dietro una porta».
Il cuoco rispose: «Va’ pure, ma tra mezz’ora devi esser qui per raccogliere la cenere».
Ella prese la sua piccola lampada ad olio, andò nel suo angolino, si tolse il vestito di pelli e si levò la fuliggine dalla faccia e dalle mani, così che rifulse nuovamente la sua piena bellezza. Poi aprì la noce, prese quel suo vestito che splendeva come il sole, lo indossò e salì alla festa. Tutti le facevano largo, pensando che fosse la figlia di un re, dato che nessuno la conosceva. Il re le andò incontro, le prese la mano e nel suo cuore pensava: «I miei occhi non hanno mai visto una fanciulla così bella».
Quando il ballo fu finito, essa fece una riverenza e, mentre il re si voltava, sparì senza che nessuno sapesse dove. Le guardie che erano dinanzi al castello furono chiamate e interrogate ma dissero di non averla veduta.
La fanciulla era corsa nel suo piccolo stambugio, in un baleno si era spogliata del suo vestito, aveva annerito la faccia e le mani e, indossato il suo pastrano di pelliccia, era ridiventata Millepelli. Quando ritornò in cucina e stava per riprendere a raccogliere la cenere, il cuoco le disse: «Lascia stare fino a domani e prepara invece la zuppa per il re, anch’io andrò su un pochino a guardare. Ma bada di non lasciarvi cadere dei capelli, altrimenti in avvenire non metterai più mano a nessun piatto». E se ne andò.
Millepelli cucinò per il re la migliore zuppa di pane che sapesse fare e quando fu pronta, prese dal suo stambugio il suo anello e lo lasciò cadere nella scodella nella quale la zuppa doveva essere servita in tavola.
Quando la festa fu finita, il re si fece portare la zuppa, la mangiò e la gustò tanto che pensava di non averne assaggiato mai una migliore. In fondo alla scodella vide l’anello e non riusciva a capire chi ce l’avesse messo. Comandò allora che gli fosse portato davanti il cuoco.
Il cuoco saltò dal terrore, quando sentì l’ordine e disse a Millepelli: «Certo hai lasciato cadere qualche capello nella zuppa, se è vero ti piglierò a schiaffi». Quando giunse in presenza del re, questi domandò chi avesse preparato la zuppa. Il cuoco rispose: «L’ho preparata io». Ma il re obiettò: «Non è vero, perché era preparata in modo diverso e molto meglio delle altre volte». Il cuoco rispose: «Devo riconoscerlo, non l’ho preparata io ma la bestiolina pezzata». Disse il re: «Va’, e falla venire».
Appena Millepelli si presentò, il re le chiese: «Chi sei?».
«Sono una povera ragazza che non ha più padre né madre».
E lui ancora: «Cosa fai nel mio castello?». «Non faccio niente di molto utile e perciò mi lanciano le scarpe sulla testa».
Il re domandò: «Dove hai avuto l’anello che era nella zuppa?». E lei rispose: «Non so nulla dell’anello». Così il re non venne a sapere niente e la congedò.
Dopo qualche tempo ci fu un’altra festa e Millepelli come l’altra volta chiese il permesso al cuoco di poter guardare. Egli rispose: «Sì, ma ritorna fra mezz’ora e prepara la tua zuppa per il re che la mangia così volentieri». Ella corse nel suo buco, prese dalla noce l’abito d’argento come la luna e lo indossò. Poi andò su e pareva una figlia di re e il re le andò incontro e si rallegrò di averla rivista e poiché cominciava una danza, ballarono insieme.
Appena finito il ballo, però, ella scomparve di nuovo e così in fretta che il re non poté vedere dove fosse andata. Ella si precipitò nel suo buco, si trasformò di nuovo nella bestiolina pezzata e andò in cucina a preparare la zuppa. Quando fu pronta vi lasciò cadere il piccolo fuso d’oro e così fu servita. Il re la mangiò e la gustò come la volta precedente, poi fece chiamare il cuoco.
Questi anche questa volta dovette riconoscere che la zuppa era stata preparata da Millepelli, Millepelli dovette ripresentarsi al re, ma rispose che si trovava al castello solo perché le fossero lanciate le scarpe sulla testa e che del piccolo fuso d’oro non ne sapeva assolutamente nulla.
Quando il re per la terza volta preparò una festa le cose non andarono diversamente dalle volte precedenti. Il cuoco disse: «Tu sei una strega, animaletto pezzato, e metti sempre nella zuppa qualcosa per cui diventa così buona che il re la gusta meglio di quando la preparo io». Ma poiché ella lo pregò, la lasciò andare per un certo tempo. Essa indossò l’abito lucente come le stelle e così vestita entrò nella sala. Il re ballò ancora con la bella fanciulla e pensava che non era mai stata così bella. Mentre ballava, senza che lei se n’accorgesse, le infilò al dito un anello d’oro. Aveva anche dato ordine che la danza durasse molto a lungo e quando finì tentò di tenerla per le mani, ma lei si liberò con uno strappo e corse così in fretta tra la gente che sparì dai loro occhi. Corse, come poté, fino al suo buco sotto la scala, ma poiché la mezz’ora era trascorsa non fece a tempo a togliersi il bel vestito. Si infilò sopra il pastrano di pelli e nella fretta non si annerì completamente perché un dito rimase bianco. Andò in cucina, preparò la zuppa per il re e, mentre il cuoco era via, vi mise il piccolo arcolaio d’oro.
Quando il re trovò l’arcolaio nel fondo della tazza fece chiamare Millepelli, le vide il dito bianco e vide l’anello che lui durante il ballo vi aveva infilato. Allora la prese per mano tenendola forte forte e quando ella volle liberarsi e andar via il pastrano le si aprì un poco e il vestito di perle brillò. Il re prese il mantello e glielo tolse. Allora apparvero i bei capelli d’oro nel loro pieno splendore: non potevano più essere nascosti. E appena lei si lavò dalla fuliggine e dalla cenere il volto, apparve più bella di ogni altra fanciulla che fosse stata vista sulla terra.
Il re disse: «Tu sei la mia cara sposa e mai più ci separeremo».
Quindi furono celebrate le nozze ed essi vissero felici fino alla morte.
Fine.
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QUESTO E-BOOK:
TITOLO: Millepelli
AUTORE: Antonio Gramsci
CURATORI: Fubini, Elsa e Paulesu, Mimma
DIRITTI D'AUTORE: no
LICENZA: questo testo è distribuito con la licenza specificata al seguente indirizzo Internet:
https://www.liberliber.it/online/opere/libri/licenze/
TRATTO DA: Favole di liberta / Antonio Gramsci ; a cura di Elsa Fubini e Mimma Paulesu ; introduzione di Carlo Muscetta. - Firenze : Vallecchi, 1980. - XXXIII, 164 p. ; 22 cm.
SOGGETTO:
JUV038000 FICTION PER RAGAZZI / Brevi Racconti
JUV012030 FICTION PER RAGAZZI / Fiabe e Folclore / Generale