Fratellino e sorellina
Traduzione dalle fiabe dei fratelli Grimm
di
Antonio Gramsci
tempo di lettura: 10 minuti
Il fratellino prese per la mano la sua sorellina e disse: «Da quando è morta la mamma, non abbiamo più avuto un’ora buona; la matrigna ci picchia ogni giorno e quando le andiamo vicino ci respinge col piede. Le croste di pane raffermo, gli avanzi sono il nostro pranzo; meglio di noi sta il cagnolino sotto il tavolo; spesso gli getta qualche buon boccone. Se nostra madre lo sapesse! Vieni, andremo insieme per il vasto mondo».
Per tutta la giornata andarono attraverso prati, campi e rocce e quando cominciò a piovere la sorellina disse: «Il cielo e i nostri cuori piangono insieme».
Verso sera entrarono in una grande foresta ed erano così stanchi per il dolore, per la fame e per il lungo cammino, che si adagiarono sotto un grande albero e si addormentarono.
Il mattino seguente, quando si svegliarono, il sole era già alto sull’orizzonte e si sentiva già caldo sotto l’albero. Il fratellino disse:
«Sorellina, ho sete. Se ci fosse una fontanina andrei a bere un po’, mi pare di sentire un mormorìo».
Il fratellino si levò, prese la sorellina per la mano e andarono a cercare la fontanina. La cattiva matrigna però era una strega, sapeva benissimo dove i due bambini erano scappati, li aveva seguiti segretamente, come sanno seguire le streghe e aveva incantato tutte le fontane della foresta.
Quando i bambini ebbero trovato una sorgente, che saltellava rumorosamente sui sassi, il fratellino volle bere, ma la sorellina sentì che l’acqua sussurrava: «Chi mi beve diventa una tigre; chi mi beve diventa una tigre», e gridò: «Ti prego, fratellino, non bere, perché altrimenti diventeresti una tigre e mi sbraneresti».
Il fratellino non bevette, sebbene avesse una gran sete, e disse: «Aspetterò fino all’altra sorgente».
Quando arrivarono alla seconda fontanina, la sorellina sentì che anche questa diceva: «Chi mi beve diventa un lupo, chi mi beve diventa un lupo», e gridò: «Fratellino, ti prego, non bere perché diventeresti un lupo e mi mangeresti».
Il fratellino non bevette e disse: «Aspetterò fino a quando arriveremo alla prossima sorgente, ma allora io devo bere e tu puoi dire ciò che ti piace: la mia sete è troppo grande».
Quando giunsero alla terza fontanina, la sorellina sentì che sussurrava: «Chi mi beve diventa un capriolo, chi mi beve diventa un capriolo!», e disse: «Ohimè, fratellino, ti prego di non bere perché altrimenti diverrai un capriolo e mi lascerai sola».
Ma il fratellino, nonostante tutto si era inginocchiato, si era curvato e aveva bevuto l’acqua; e appena le prime gocce toccarono le sue labbra, egli diventò un capriolo.
La sorellina pianse per il suo povero fratellino che era stato incantato, e anche il capriolo piangeva e le stava vicino tutto melanconico.
Infine la fanciulla disse: «Caro capriolo, sta’ tranquillo, che non ti abbandonerò mai».
Slegò quindi una sua giarrettiera d’oro e la pose intorno al collo del capriolino, colse dei giunchi e intrecciò un sottile guinzaglio. Legò quindi la bestiolina e la guidò, inoltrandosi sempre più nella foresta.
Dopo che ebbero camminato tanto, arrivarono infine a una casetta. La fanciulla guardò dentro e, vedendola vuota, pensò: «Possiamo rimanere ad abitare qui».
Andò in cerca di foglie e di muschio e preparò un morbido giaciglio per il capriolo, e ogni mattina usciva a raccogliere per sé radici, bacche e noci e per il capriolino tagliava tenere erbette, che esso mangiava nelle sue mani, dimostrando la sua contentezza con bei salti che le faceva intorno per gioia. Alla sera, quando la sorellina era stanca, metteva la sua testina sulla spalla del capriolo come su un cuscino e si addormentava soavemente. Sarebbe stata una magnifica vita, se il fratellino avesse avuto il suo aspetto umano.
Passò molto tempo dacché essi vivevano soli in quel luogo selvatico. Accadde una volta che il re della contrada tenne una grande partita di caccia nella foresta. Attraverso gli alberi risuonarono i corni da caccia, l’abbaiare dei cani e le grida festose dei cacciatori. Appena sentì la musica al capriolo venne una gran voglia di correre. E disse alla sorellina: «Lasciami uscire a vedere la caccia, non ne posso più dalla voglia». E pregò tanto finché ella acconsentì.
«Però – gli disse, – ritorna a casa al tramonto. Io terrò chiusa la porticina per paura dei rozzi cacciatori e affinché ti riconosca, bussa e di’: sorellina mia, lasciami entrare, e se tu non dirai così, io non aprirò la porta».
Il capriolo saltò fuori ed era così allegro all’aria libera. Il re e i suoi cacciatori videro il bellissimo animale, ma non poterono raggiungerlo: quando credevano di averlo finalmente nelle mani, esso balzava nella boscaglia e spariva in un attimo. Quando si fece buio, corse alla casetta e disse: «Sorellina mia, lasciami entrare».
La porticina gli fu aperta, egli saltò dentro e si riposò tutta la notte sul suo morbido giaciglio. Il giorno dopo la caccia ricominciò, e appena il capriolino sentì il segnale dei corni e le grida – oh, oh – dei cacciatori, non ebbe più pace e disse: «Sorellina, aprimi, bisogna che io esca».
La sorellina gli aprì la porta e gli disse: «Ma al tramonto devi tornare a casa e dire la tua parola d’ordine».
Quando il re e i suoi cacciatori videro di nuovo il capriolino con il collare dorato, tutti gli dettero la caccia, ma era troppo agile e veloce per loro. Ciò durò tutta la giornata, ma finalmente verso il tramonto riuscirono a circondarlo, e uno lo ferì leggermente al piede, così che dovette zoppicare e correre via più lentamente.
Un cacciatore lo seguì fino alla casetta e lo sentì gridare: «Sorellina mia, lasciami entrare», e vide che la porta fu aperta e subito richiusa. Il cacciatore tenne tutto a mente, andò dal re e gli raccontò ciò che aveva sentito e visto. Il re disse: «Domani continueremo la caccia».
La sorellina si spaventò fortemente, quando vide che il suo capriolino era ferito: nettò il sangue, mise delle erbe sulla ferita e disse: «Sdraiati nel tuo giaciglio, caro capriolino, che guarirai presto».
La ferita era così piccola che il giorno dopo il capriolino non aveva più nulla, e quando sentì fuori di nuovo le grida della caccia disse: «Non posso più reggere, devo esserci anch’io, nessuno riuscirà a prendermi».
La sorellina pianse e disse: «Essi ti uccideranno e io rimarrò sola nella foresta, abbandonata da tutto il mondo; non ti lascerò uscire».
«E così io morrò davanti a te per la tristezza – rispose il capriolino. – Quando sento il suono del corno, mi pare di dover saltare fuori dagli zoccoli!».
La sorellina non poté far altro che aprirgli la porta col cuore pesante, e il capriolino balzò sano e vivace, nella foresta. Quando il re lo vide, disse ai suoi cacciatori: «Inseguitelo tutto il giorno, fino alla notte, ma non fategli male in nessun modo».
Appena il sole tramontò, il re disse al cacciatore: «Adesso andiamo; mostrami la casetta nella foresta», e quando giunse alla porticina, bussò e gridò: «Cara sorellina, lasciami entrare».
La porta fu aperta e il re entrò e vide una fanciulla così bella come non aveva vista mai. La fanciulla si spaventò quando vide che era entrato non il suo capriolino, ma un uomo che aveva sul capo una corona d’oro. Ma il re la guardò amichevolmente, le prese la mano e disse: «Vuoi venire con me nel mio castello e diventare la mia cara moglie?».
«Sì – rispose la fanciulla, – ma il capriolino deve venire con me, non posso abbandonarlo!».
Disse il re: «Esso rimarrà con te finché vivrai e non gli mancherà nulla».
In quel momento il capriolino balzò dentro, la sorellina lo legò al guinzaglio che teneva in mano e lasciò con lui la casetta nella foresta.
Il re prese in groppa la bella fanciulla e la condusse nel suo castello, dove le nozze furono festeggiate con grande splendore, e la sorellina divenne la signora regina ed essi vissero a lungo insieme e il capriolino fu curato e nutrito e poté saltare quanto volle nel giardino del castello.
Intanto, la cattiva matrigna per causa della quale i due bambini si erano inoltrati nel vasto mondo, era convinta che la sorellina fosse stata sbranata dalle fiere e il fratellino ucciso dai cacciatori come capriolo. Ora invece quando sentì che essa era felice e fortunata, il livore e l’invidia si destarono nel suo cuore e non le lasciarono pace, e non aveva altro pensiero se non quello di come potesse ancora renderli infelici.
La sua vera figlia, che era orrenda come la notte e aveva un occhio solo, la rimproverò: «Diventare regina: questa felicità doveva toccare a me».
«Sta’ tranquilla», disse la vecchia e aggiunse contenta: «Quando giungerà il momento, sarò pronta».
Quando il tempo si appressò e la regina ebbe messo al mondo un bel bambino e il re proprio in quei giorni era a caccia, la vecchia strega prese l’aspetto della cameriera, entrò nella stanza dove la regina era coricata e disse all’ammalata: «Su, il bagno è pronto; esso vi farà bene e vi rinvigorirà; su, prima che si raffreddi».
Anche sua figlia era pronta. Esse portarono la regina, che era debolissima, nella stanza da bagno e la posero nella vasca, poi chiusero la porta e corsero via. Nella stanza da bagno poi avevano acceso un vero fuoco d’inferno che doveva in breve tempo soffocare la regina. Fatto ciò, la vecchia prese la figlia, le mise una cuffia e la fece coricare nel letto al posto della regina. Le diede anche la figura e l’aspetto della regina, ma non le poté ridare l’occhio che le mancava. Affinché però il re non se ne accorgesse, essa dovette sdraiarsi dal lato nel quale non aveva l’occhio.
Al tramonto, quando il re rincasò e sentì che gli era nato un maschietto, si rallegrò di cuore e volle andare vicino al letto della sua cara moglie per vedere come stava. Subito la vecchia gridò: «Per carità, lasciate giù le tendine; la regina non deve vedere la luce e deve riposare».
Il re si ritirò e non sapeva che nel letto c’era una falsa regina.
Quando giunse la mezzanotte e tutti dormivano, la balia che era seduta presso la culla nella stanza dei bambini e sola vegliava ancora, vide aprirsi la porta ed entrare la vera regina. Ella prese il bambino dalla culla nelle sue braccia e gli diede il latte. Poi gli sprimacciò il cuscino, lo coricò e lo coprì con la coperta del lettino. E non si dimenticò del capriolino; andò nell’angolo dove era il suo giaciglio e gli carezzò il dorso. Quindi silenziosamente uscì. Il giorno dopo la balia domandò alle guardie se qualcuno durante la notte fosse entrato nel castello, ma esse risposero: «Non abbiamo visto nessuno».
Così la regina apparve molte notti senza mai dire una parola. La balia la vedeva sempre, ma non osava parlarne con nessuno.
Dopo un certo tempo, una notte la regina cominciò a parlare e disse:
«Cosa fa mio figlio? Cosa fa il capriolo?
Verrò ancora due volte e poi mai più».
La balia non rispose, ma quando fu sparita, andò dal re e gli raccontò tutto. Disse il re: «Ahimè, cosa capita? Voglio la prossima notte vegliare presso il bambino».
Alla sera andò nella stanza del figlio; a mezzanotte la regina riapparve e disse:
«Cosa fa mio figlio? Cosa fa il capriolo?
Verrò ancora una volta e poi mai più».
E prima di sparire curò il figlio come aveva fatto sempre.
Il re non ardì rivolgerle la parola, ma vegliò anche la notte seguente. Ella disse di nuovo:
«Cosa fa mio figlio? Cosa fa il capriolo?
Sono venuta ancora questa volta e poi mai più».
Il re non poté trattenersi, balzò presso di lei e disse: «Tu non puoi essere altro che la mia cara moglie».
Ed essa rispose: «Sì, sono la tua cara moglie», e in quel momento riacquistò la vita ed era fresca, rossa e sana. Quindi raccontò al re quale scelleratezza avessero compiuto su di lei la cattiva strega e sua figlia.
Il re le fece condurre dinanzi al tribunale e fu loro letta la sentenza. La figlia fu condotta nella foresta dove le belve la sbranarono; la strega fu messa sul rogo e fu bruciata orribilmente. E appena essa fu ridotta in cenere, il capriolo si trasformò e riacquistò figura umana. Fratellino e sorellina vissero felici fino alla morte.
Fine.
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QUESTO E-BOOK:
TITOLO: Fratellino e sorellina
AUTORE: Antonio Gramsci
CURATORI: Fubini, Elsa e Paulesu, Mimma
DIRITTI D'AUTORE: no
LICENZA: questo testo è distribuito con la licenza specificata al seguente indirizzo Internet:
https://www.liberliber.it/online/opere/libri/licenze/
TRATTO DA: Favole di liberta / Antonio Gramsci ; a cura di Elsa Fubini e Mimma Paulesu ; introduzione di Carlo Muscetta. - Firenze : Vallecchi, 1980. - XXXIII, 164 p. ; 22 cm.
SOGGETTO:
JUV038000 FICTION PER RAGAZZI / Brevi Racconti
JUV012030 FICTION PER RAGAZZI / Fiabe e Folclore / Generale