Provvidenza, buona speranza.
(leggenda dei bambini)
di
Matilde Serao
tempo di lettura: 8 minuti
Sono belli i bambini napoletani e ridono, e fanno il chiasso come tutti gli altri bambini del mondo; ma non vogliono la sera stare quieti, se la giovane madre o la bionda sorellina, o la nonna dagli occhiali d’oro, o la zia che lavora di calza, non raccontano loro una storia; una bella e lunga storia che faccia spalancare i loro occhioni, sino a che il sonno non li faccia diventare piccoli piccoli.
Sono così tutti i bambini del mondo? Io non lo so; io conosco solamente i bambini napolitani che amano le sorelline della sera. Vorrei essere io la madre ancora gaia come una fanciulla, la grande sorella nel cui animo di giovanetta si forma la madre, la nonnina che ricorda il suo giocondo passato, la zia che appoggia timidamente la mano sul capo dei bambini non suoi: narrerei loro la storia di Provvidenza, buona speranza.
La vorranno essi ascoltare da me, che narro lunghe e cattive storielle agli uomini grandi e buoni? I bambini sono belli, amano le storielle e sono indulgenti col narratore…
V’era dunque una volta, nella nostra carissima Napoli, un uomo molto strano. Io non vi dico il tempo preciso in cui egli visse la sua vita singolare, poiché a voi, bambini ridenti, non importa nulla di una data; a voi non interessano le cifre, voi la cui vita è tutta una poesia. Il tempo io lo so, poiché noi grandi abbiamo l’infelicità di sapere troppe cose inutili, di accumulare nella nostra testa tante notizie che a nulla ci valgono — lo so e non ve lo dico. A voi sicuramente interessa più di sapere com’era fatto questo uomo strano, come vestiva, che cosa mangiava, quali erano le sue abitudini ed in che consisteva la sua stranezza.
Uditemi tutti attentamente, che qui comincia il buono.
Questo uomo di cui vi parlo, era lungo lungo come mai uomo può essere lungo, in modo che il popolo diceva sempre che egli era cresciuto all’umido e che la mamma aveva avuto gran cura d’annaffiarlo perché crescesse, quasi che egli fosse un alberetto e non un uomo.
L’uomo lungo era anche molto magro, con certe gambe che ballavano nei calzoni, come un manico d’ombrello in un fodero troppo largo, con certe braccia che sembravano due sottili aste di mulino sempre in moto. I mulini li avrete visti, non è vero?
— Sì?
— Va bene; tiro innanzi. L’uomo lungo e magro non era molto vecchio, poiché aveva tutti i capelli neri senza un filo bianco e gli occhi suoi neri, come il carbone, brillavano sempre; ma la pelle del viso era gialla come la carta pecora dei libri di vostro nonno, e si piegava tutta in mille rughe; il collo in cui i tendini erano sporgenti, rassomigliava alla zampa secca di una gallina morta. Egli era vestito sempre di nero, con certi pantaloni lustri dal grande uso, troppo corti di gamba, che lasciavano scoperti gli scarponi di cuoio grosso e le calze bucate; aveva un lungo soprabito, le cui falde svolazzavano e che si adattava male alla vita, alle spalle, al collo, di cui il primo bottone era sempre ficcato nel secondo occhiello e così di seguito. Portava al collo come cravatta un fazzoletto bianco; in testa un cappellaccio, rosso dalla vergogna, tutto ammaccature e fitte; in mano un bastone nodoso, dal pomo grosso come quello di un capotamburo.
Nessuno sapeva chi fosse quest’uomo, ma tutti lo conoscevano poiché il giorno e la notte girava per le strade di Napoli, figura allampanata e fantastica che al lume dei lampioni assumeva proporzioni inverosimili ed al lume del sole, pareva un fantasma.
Quest’uomo si fermava a tutte le porte, si fermava sotto tutti i balconi e metteva fuori il suo grido, aspettava un momento, poi andava via. Egli conosceva tutte le case dove erano i bambini e arrestandosi lì sotto, gridava con la sua voce stridula: Provvidenza! Allora il bambino veniva, salutava l’uomo e gli dava un soldo, o un frutto, o un pezzo di pane.
Egli conosceva bensì tutte le case dove non erano bambini e vi si fermava sotto gridando: buona speranza! La sua voce suonava come un augurio a tutti coloro che hanno il desiderio vano dei figli, e tutti davan l’elemosina al mendico. Solo i cuori duri, quelli che sono egoisti, che non hanno mai voluto bene ad alcuno, non gli davano nulla; il mendico ne conosceva le case e non vi si fermava. Egli tra il frastuono dei carri, delle carrozze, dei mestieri rumorosi, dei venditori che strillano il prezzo della merce, gittava sempre il suo grido alto, a tutti superiore: Provvidenza, buona speranza!
Lo si udiva dalle cantine profonde, dalle soffitte altissime, dai giardini, dalle terrazze: il suo grido metteva allegria. Il povero ammalato che, confitto nel letto, guarda volare le mosche, conta i fiorami delle pareti ed i travicelli del palco, sentiva volentieri quelle parole che, dalla via, pareva gli dessero promessa di una pronta guarigione: Provvidenza, buona speranza!
L’operaio che nella sua bottega, nei calori soffocanti dell’estate, suda a tirare la sega su o giù, si rialzava più vigoroso, quasi animato da una vaga fiducia che il lavoro diventasse meno duro, il padrone meno esigente, ed il pane meno caro: Provvidenza, buona speranza!
La madre solitaria che di notte agucchia presso il tavolino, al lume quieto di una lampada e pensa al figliuolo marinaio, imbarcato in una nave che viaggia nei lontani mari del Giappone, e trema al soffio del vento, e ha gli occhi pieni di lagrime allo scroscio della pioggia, sorride a quella voce che nell’ombra le grida di sperare: Provvidenza, buona speranza!
Ma il mendico singolare che non parlava mai con nessuno, non ringraziava mai dell’elemosina, s’intratteneva volentieri coi bambini di Napoli, ne conosceva dappertutto, ne sapeva i nomi e talvolta i piccoli segreti.
Nella strada di S. Lucia dove i bambini son bruni, magri e nervosi, rassomigliando ai pesciolini svelti del mare, egli si fermava a guardare i tonfi che fanno gettandosi nel mare, li animava con la voce, agitando il bastone, eccitando i più bravi, applaudendo ai salti migliori; i bambini salivano a ridere con lui attaccandosi alle sue lunghe gambe, mentre a lui un riso bonario spianava le rughe e rischiarava il volto.
Nei quartieri nobili di Chiaia, di Toledo, della Riviera, egli guardava lungamente quelli vestiti di velluto e di trine, coi riccioli ben pettinati, gli stivalini nuovi fiammanti, le manine inguantate, che vanno a passeggiare in carrozza, o per la mano della mamma: i bei bambini non avevano paura né ribrezzo del mendico e talvolta gli davano un confetto o un pezzettino di cioccolata che egli divorava con una delizia sorridente, col capo riverso indietro, con gli occhi lucidi di contentezza.
Nei quartieri bassi del Pendino e del Mercato, dove i bambini sono pallidi e malaticci per la cattiva aria, pel cibo di frutta acerbe, egli di nascosto dava loro dei soldi e fuggiva via con le sue lunghe gambe, gridando ed agitando il bastone; nei giardini delle colline dove i bimbi sono floridi di aspetto, hanno i capelli gialli pel sole, ed i piedi nudi nella polvere, egli li chiamava a frotte intorno a sé, faceva le capriole, si buttava per terra come un pazzo e se li faceva camminare sulle gambe, sulla pancia, sullo stomaco, ridendo e strillando; poi ne agguantava un paio, li baciava disperatamente, e scappava via per le viottole, simile ad uno spaventa-passeri.
Di notte girava per le vie della città dietro ai bambini che cercano i mozziconi dei sigari e battendo in terra col bastone, coi suoi occhi di gatto che bucavano l’oscurità, ne trovava anche lui dei mozziconi e li buttava tacitamente nel cestino del piccolo trovatore; si fermava sulle soglie delle chiese dove giacciono in terra a dormire, arrotondate come cani, tante miserabili creaturine senza tetto, o sollevandole se ne metteva un paio col capo in grembo, coprendole con le falde del suo soprabitone, rimanendo immobile, al freddo, seduto sugli scalini, guardando i ricchi e gli agiati che rincasano e vanno a baciare i bambini che dormono nel calduccio del letticciuolo.
Andava quasi sempre alla porta delle scuole a vedere i bambini che vanno o escono dalla scuola; negli otto giorni d’ogni anno in cui l’Ospizio dell’Annunziata è aperto al pubblico, il mendico passeggiava gravemente nelle sale, mirando i trovatelli, parlando loro, baciucchiandoli, palleggiandoli e canticchiando loro misteriose canzoni. Era singolare come il mendico intendeva il linguaggio fatto a balbettii dei piccini piccini e le domande incoerenti dei più grandetti, ed i bimbi comprendevano lui che non era compreso dagli uomini.
Una volta Provvidenza, buona speranza scomparve e non si seppe più nulla di lui, né più fu visto.
Un ortolano del colle di Capodimonte narrò di averlo visto, nella notte, sopra un masso, disperarsi, salutare, mandar baci alla città immersa nel sonno, buttarsi per terra col capo nella polvere, piangere strapparsi i capelli, poi rialzarsi e partire. A quelli che lo conoscevano dispiacque di non vederlo più, di non udire quel suo grido che rallegrava: i bambini di Napoli ci pensarono un par di volte, e più altro.
Fu detto poi che Provvidenza, buona speranza era un grande medico di un paese lontano caduto in disgrazia del Re che l’aveva esiliato per sempre; ma che, morto il sovrano, egli fu richiamato e ridonato all’affetto della moglie e dei figli. Fu detto questo, ma in Napoli fra le madri ed i figliuoli, fra i bimbi ed i popolani è rimasta tradizionale la figura di Provvidenza, buona speranza e l’annuncio del suo arrivo serve ancora a calmare gli strilli dei piccoli impertinenti, ad asciugare le lagrime dei piagnucolosi ed a far addormentare quelli troppo vivaci che hanno la pessima abitudine di vegliare tardi, senza sapere che il sonno…
I bambini dormono.
Fine.
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QUESTO E-BOOK:
TITOLO: Provvidenza, buona speranza.
AUTORE: Serao, Matilde
DIRITTI D'AUTORE: no
LICENZA: questo testo è distribuito con la licenza specificata al seguente indirizzo Internet:
https://www.liberliber.it/online/opere/libri/licenze/
TRATTO DA: Giornale per i bambini / diretto da Ferdinando Martini ; [poi] da C. Collodi. – Roma : [Tipografia del Senato], 1881-1883.
SOGGETTO: JUV038000 FICTION PER RAGAZZI / Brevi Racconti