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Quando, nel 1843, Andrea Maffei, con la pubblicazione di Roberto, storia domestica contemporanea, consolidava le basi per l’uscita dal romanzo storico in gran voga in quella fase letteraria e per i primi incerti passi verso il romanzo contemporaneo, era già stato pubblicato da quattro anni l’Angiola Maria di Giulio Carcano.
Con questi due romanzi si modificano quindi i ritmi narrativi un po’ frenetici per inseguire invece i tempi più rilassati tramite personaggi che appaiono ormai lontani dalle dimensioni caratterizzanti il primo romanticismo. Dice infatti Maffei a proposito della sua opera:
“Dirò solamente il perché mi determinai di metterla in luce, quantunque la semplicità degli avvenimenti che vi sono narrati e la tema di infastidire gli odierni lettori amorosi più dello strano e del fantastico che del comune e del vero, me ne avrebbero dovuto stornare”.
Alla narrativa del Manzoni o del Guerrazzi, tesa sempre a mostrare la connessione tra le azioni dei personaggi con gli eventi storici si contrappone quindi questa, del Carcano e del Maffei, narrazione domestica, appunto, perché in questa dimensione si limita a dipanare i rapporti umani e il loro insieme di tensioni e cedimenti. Giulio Carcano, che del Maffei fu amico, fino al punto che quest’ultimo gli dedicò un bel sonetto, per primo operò la sostituzione della descrizione storica con gli schizzi ambientali e la realtà del presente e della vita di un unico protagonista. Tutto questo ricalcando in pieno lo stereotipo dell’eroina romantica e manzoniana.
Angiola Maria prende le mosse dalle rive del lago di Como, si addentra nei pericoli cittadini, con tanto di “Addio”; abbiamo la presenza di un curato nel quale non è difficile vedere l’epigono di Don Abbondio e persino uno strenuo difensore della virtù che ricalca la caratterizzazione di Fra Cristoforo. Ma l’allusione, fin troppo evidente, alla trama manzoniana, si sfuma dapprima per poi ribaltarla del tutto. Il passaggio dai sogni della virtuosa giovinezza alla realtà della vita è di tutt’altro tipo. Basti dire che l’allontanamento di Angiola Maria dal paese natio non avviene per sfuggire al “Don Rodrigo” di turno che si innamora di lei, ma per seguirlo. E Angiola Maria si domanda: “ma è poi vero che io faccia tanto male ad amarlo? Volergli bene?”. Abbiamo quindi le prime avvisaglie letterarie delle esitazioni della virtù, che si andranno accentuando poi con Tommaseo e Fogazzaro, ad esempio, che pongono anche il cattolicismo, che sempre permea gli eventi, sotto una luce diversa, quasi una fede al servizio della passione, al punto che il nobile Arnoldo annuncia che si è convertito per amore di lei.
Il contrasto tra tentazione e virtù diviene in Carcano l’opposizione tra la cultura romantica, nella quale tutto si realizza tramite fede e amore, e una visione più realista per la quale lo scostamento dai binari del destino avviene con molte più difficoltà. Nel corso del romanzo si prende atto che fede e amore rischiano pesantemente di rivelarsi passeggera illusione che si schianta rovinosamente all’emergere della realtà della vita. Per questo il mondo descritto dal Carcano è un mondo dove si parla e si narra dei “vinti” che non possono essere salvati né dalla provvidenza né dall’amore, accecati più che guidati dalla virtù e dalla religione. Temi che Carcano riprende e sviluppa per esempio in Damiano, che può essere letto in questa stessa biblioteca Manuzio, dove la fede di Teresa diventa addirittura imperdonabile, rendendola oggetto di inganni e prevaricazioni. “Io non so – dice Lorenzo – quando veggo il male che si fa da quelli che il mondo chiama grandi, se possa dirsi che ci sia una Provvidenza. Ma so che la maggior parte è ancora dappertutto calpestata dai pochi; che ancora l’esser poveri è un delitto; e i signori credono sempre d’aver ragione quando pagan l’infamia con un po’ d’oro”.
Tutti questi temi sono già presenti in Angiola Maria per la quale la felicità domestica e tutto il bagaglio romantico di fiduciosa attesa si allontana sullo sfondo per far posto alla desolazione degli umili che la Provvidenza non si affretta a salvare. A questo proposito rimando al bel saggio di Cesare Correnti Della letteratura rusticale; lettera a Giulio Carcano, che è possibile leggere in appendice a La Nunziata, anche questo disponibile nella nostra biblioteca. Paradossalmente si può affermare che siamo di fronte a una sorta di satira, che si manifesta attraverso il pianto e non attraverso il riso, ma che è strumento per descrivere la realtà e opporne la cruda oggettività all’ideale etico e affettivo che quella realtà stessa ogni giorno distrugge.
Sinossi a cura di Paolo Alberti
Dall’incipit del libro:
Chi vede un’alba di primavera nella nostra bella Italia, in questo cielo così quieto e trasparente della Lombardia, e non sente aprirsi libero il cuore e l’anima sollevarsi leggiera e serena, come al respirare un’aria che la nutre, ch’è la sua, non ebbe certamente, nè avrà mai, quel senso divino, che Dante, con sublime verità, chiamava intelletto d’amore. Questo sentimento così grande e puro non è gioia, nè maraviglia; non è nemmeno un’estasi; è l’intimo affetto della bellezza della natura, è vera poesia.
Se tu hai contemplato qualche volta una di queste aurore, là sulle rive beate del lago di Como, dimmi, non ti nacque nell’anima un pensiero almeno, che la vita vi può esser più felice, gli anni più lenti e men gravi, il cuore più giusto, più in pace? E non pregasti allora, che Dio rendesse migliori i figli di questa dolce patria, dove si piacque di crear così bella e benedetta la natura? – Se tu non facesti questo voto, io lo feci per te!
Era una mattina piena d’incanto. – La primavera cominciava appena; la limpidezza dell’aria e lo splendore del cielo, l’armonia della vita e della natura, tutto era bellezza e mistero. È il bel tempo, che il poeta sogna la gioventù del mondo, i giorni della creazione, quando terra e cielo forse non avevano che un nome; è il bel tempo, che rinnova que’ miracoli della produzione, i quali all’uomo semplice e saggio si manifestano nelle grandi provvidenze della materia e della forza; che al ricco ozioso ristora la stanca complessione, e al povero contadino fa la promessa d’una buona annata. Allora noi sentiam più forte il bisogno d’amare i nostri fratelli, d’amar la terra dove nascemmo, i luoghi dove il nostro cuore apprese tanti cari nomi, fece tanti bei sogni nell’innocenza e nell’amore, e dove anche abbiam dovuto gustare i primi dolori, e piangere la prima volta!
Scarica gratis: Angiola Maria di Giulio Carcano.