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Da Democrito a Rabelais, da Swift fino al famoso “pernacchio” di Eduardo de Filippo, passando dal motto anarchico di fine ottocento “la fantasia distruggerà il potere e una risata vi seppellirà”, l’ironia e il sarcasmo da sempre hanno messo in luce la forza rivoluzionaria del riso. Così nell’Italia ancora in corso di liberazione, con i tragici residui del ventennio fascista insediatisi al nord come protettorato nazista per continuare a imporre violenza e terrore insieme a tragici eccidi e deportazioni, Veneziani nel 1944 dà alle stampe questa raccolta di motteggi, aneddoti, barzellette, che per vent’anni la gente, il popolo, gli umili, hanno raccontato e diffuso per irridere la tracotanza del potere, da sempre abbinata ad una colossale ignoranza.
Quindi, oltre alle movenze e agli atteggiamenti teatralmente retorici di Mussolini, è la buffonesca ignoranza di personaggi come Starace e Farinacci ad essere presa di mira. Andando a spulciare riviste, giornali d’epoca, pubblicazioni clandestine e ricorrendo a testimonianze orali autentiche, l’autore riesce a tempo di record – ma certamente aveva già predisposto parecchio materiale – a mettere insieme questa raccolta, che risulta essere in pratica la prima presa di posizione “antifascista” nella difficilissima situazione di un’Italia divisa in due, dilaniata da guerra civile, occupazione di eserciti stranieri e condizioni di vita civile davvero precarie.
Il tono dell’umorismo evolve nel corso dei capitoli; in una situazione relativamente “tranquilla”, come era all’inizio del ventennio, è più facile fare dell’ironia sulla predisposizione alla corruzione di chi gestisce il potere, predisposizione che risulta da sempre abbinata ad una singolare capacità di fare sfoggio di una ignoranza talmente crassa da apparire inverosimile. Con l’entrata in guerra il sarcasmo va invece di pari passo con l’amarezza che in questa fase non può che permeare ogni momento della tragedia che l’Italia stava vivendo.
Veneziani combatte il fascismo con le armi che gli sono congeniali e che spesso sono state le armi degli umili per irridere i potenti, una forma di ribellione, talvolta l’unica a disposizione delle classi oppresse, sempre comunque adatte a far crollare la sacralità del potente di turno. Probabilmente è un’arma che alle strutture del dominio non produce più che un po’ di solletico ma comunque serve a mantenere tra gli oppressi la coscienza del proprio stato. Ed è proprio nella natura del “joke” il non essere “pericoloso”, il non poter diventare troppo aggressivo, il presupporre sempre una condizione di fiducia e rilassatezza, come spiega molto bene Bateson nel suo interessante L’umorismo nella comunicazione umana.
Sinossi a cura di Paolo Alberti
Dall’incipit del libro:
Terribile arma è il ridicolo, penetra a fondo, scalza, lacera, uccide, avendo soltanto l’aria di scherzare; spietata arma che il popolo italiano ha maneggiato per vent’anni maestrevolmente, perchè il deridere più che il ridere è nelle nostre millenarie abitudini. Non per nulla siamo i lontani nipoti di Plauto e di Giovenale, siamo i creatori delle maschere, siamo i più sottili ideatori di gherminelle, sulla faccia della terra. Il senso della parodia e della caricatura è tra le aguzze e prontissime facoltà della nostra razza.
Per oltre vent’anni, a partire dal 28 ottobre del 1922, fucilazioni, carcere, miseria, tortura e confino, oltre il manganello e l’olio di ricino, sono state le varie spade di molti Damocli pendenti sempre sul capo d’ogni italiano, e ciò non ostante fioriva la barzelletta in tutti i luoghi, scaturiva, erompeva e si moltiplicava, sbrigando la funzione che milioni di oppositori non potevano compiere. Minacce di morte, di persecuzione, di fame non debellavano quell’implacabile nemica tormentosa e corrosiva. S’insinuava piccante negli uffici, nei circoli, nelle redazioni dei giornali, serpeggiava sottovoce, si camuffava da innocente fatterello di cronaca e s’infilava fino ai ministeri, osava giungere nientemeno al cospetto del folgorante padrone d’Italia, irritava in alto e divertiva in basso, dilettava a destra e offendeva a sinistra, passava da un capannello all’altro pungendo, mordendo, viaggiava nei treni, nell’auto, negli aerei, si propagava per tutti gli strati sociali, aggressiva e inesorabile, accendendo razzi d’ilarità, allargando girandole di allegri commenti che dimostravano quanto l’animo degl’italiani fosse ostile allo stupido e bestiale dispotismo fascista. Era il motto di spirito impertinente, era l’aneddoto arguto che colpiva giusto dovunque, senza rispetto, era la storiella frizzante che livellava tutti, capi e code, gerarchi e gregari, non risparmiando nè il re nè Iddio.
Scarica gratis: Vent’anni di beffe di Carlo Veneziani.