sono cieco ed ignorante, ma intuisco
che sono molte le strade

(J. L. Borges)

«Dai dolori sofferti impariamo a medicare la solitudine, ma dalle gioie dovremo imparare il senso del dono».

È tematica ricorrente delle liriche di Angelo Andreotti la riflessione religiosa e filosofica della valenza della vita, meravigliosa e possibile epifania entro la quale armonizzare il proprio coraggio, forza e dolore e scorgervi, in un percorso di intenso scandaglio dell’animo, attraversamenti di sorpresa e d’energia.

«Troppo attenti all’orizzonte, spesso trascuriamo il viaggio che così ci fugge rapido e senza peso. È nell’ora vuota di una pausa, con lo sguardo lassù in alto e il passo fermo, che quel senso ci raggiunge e ci racconta calmo la gioia taciuta di esserci».

Questa sensibile introspezione dell’anima è trascritto da La faretra di Zenone (Corbo Editore), silloge successiva a Porto Palos (Book Editore) e disvela, nel paradosso di Zenone, l’eterna dicotomia spazio-tempo, tempo reale e tempo dell’anima, che tanta parte occupa nell’orizzonte poetico di Angelo Andreotti.

È dal silenzio che derivano l’ascolto, la sosta, l’ormeggio dal viaggio che sfinisce e nutre, affatica e riflette, naufraga e salva.

« […]in attesa di me
mentre mi scortico
sui bordi di un taccuino dove l’anima
la forma della voce
la sua carne
la ritrovo trascritta tale e quale
nel fondo di una frase
ascoltata
giorni dopo essere stata pronunciata
».

Le liriche si addensano di paesaggi sfumati da una temporalità indefinita e vasta e in essa il poeta dà forma a sogni e rinascite anche nell’angusta spazialità del quotidiano ove le immagini trasfigurano in metafisica dell’essere, il momento in cui l’uomo si differisce nell’oggi rispetto al futuro come solo obiettivo, in nome dell’intensità arricchente di momenti, attimi, incontri, percezione del sé, ascolto e sentimenti.
«Può darsi che quando il tempo s’annotta
noi si cerchi quel che ancora non c’è
affinché sognato possa esistere
».

E l’incontro si anima di respiro, la luce d’ombra nello spazio si rifrange specchiata nel corpo «su cui scorre la vita» e aria nella quale danzare aggrappati «dentro quel palpito / improvvisato nel tempo / [ […]] qui dove sarà ospitato il ritorno / della mia stessa dispersa presenza».
L’immagine femminile ricorrente nelle liriche entra «nel verso della vita» dell’autore e attraversa la parola del silenzio, dell’attesa e, nella musica del vento, compare, scompare, illumina «svagata su sabbie [ […]]». Ed è proprio la vita che si fa spazio per il rimarginare lento delle ferite, per quella proiezione armoniosa e circolare sottolineata dai disegni del pittore Gianni Cestari, che coglie l’inquietudine del poeta e suggestivamente ne abbraccia i versi. Entrambi offrono un susseguirsi di immagini e spazi, luci e figure informali che annodano una luminosa fisicità, trasparente, immaginifica, energica, pulsante, «[ […]] per gioire insieme nell’inquietudine / del riconoscersi non più al sicuro». E cielo e mare si fondono in pennellate di pittura e parole che si cercano e si ascoltano; il volo dall’alto «scialle traforato su ardesia» abbraccia l’uomo che a terra lo accoglie «[ […]] oltre il limite in cui l’anima è corpo» stupefatto «dal fruscio rallentato di un pastello / steso / a diradare il cielo in mare /,» e «[ […]] a schiumare / nuvole improvvisamente incupite / ma dai bordi incendiati d’oro ambrato».
E quando il tempo disvela di essere ma di essere anche stato, e il divenire assume forme diverse e percepibili, proprio in quel cogliersi nudi davanti all’esistenza, leggiamo
«se pensi che questo fiocco di neve
non sia soltanto neve ma racconto
prendimi la mano
e di te parlami
».

ANGELO ANDREOTTI, Nel verso della vita, collana «Lyra», Este Edition, Ferrara 2010, pp. 88, € 10,00

Angelo Andreotti vive e lavora a Ferrara. Ha pubblicato: Polaroid, Ferrara 1999; Porto Palos, Bologna 2006; La faretra di Zenone (con disegni di Riccardo Biavati), Ferrara 2008.