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Il volume I Refrattari contiene diversi articoli che Vallès scrisse in periodi diversi e che raccolse in volume nel 1865. All’indomani della Comune lo scapigliato Felice Cameroni – con lo pseudonimo “Il Pessimista” – ne iniziò la traduzione pubblicando questi articoli tra il 1871 e il 1872 sul quotidiano della scapigliatura lombarda «Il Gazzettino rosa» e poi ancora in appendice al periodico «La Plebe» dell’Editore Bignami. In volume fu pubblicato in Italia la prima volta dall’editore Croci nel 1874 e dallo stesso Bignami cinque anni dopo. Il testo che presentiamo è tratto dall’edizione Sonzogno del 1884, sempre con prefazione di Cameroni che offre il suo spunto politico e sociale per inquadrare la lettura di questo testo di Vallès.
L’ambiente che Vallès descrive è quello della Bohème, già descritto da Murger, il modello di vita dell’artista emarginato prodotto e scaturito dal ceto medio urbano. Comprendeva letterati, musicisti, poeti, critici ed estremisti politici. Loro retaggio è anche la dottrina – che dobbiamo a Théophile Gautier – dell’arte per l’arte e il dettato di “épater le bourgeois”, atto di ribellione che appare decisamente moderno ma che sarebbe impossibile se non ci fossero dei borghesi da “épater”.
Questi comportamenti “bohèmienne” sono infatti stati finanziati dalla stessa borghesia per decenni, producendo quindi all’interno della nostra cultura il fenomeno della “enantiodromia” cioè la trasformazione delle cose nei loro opposti. I Bohémien di Parigi hanno rappresentato la prima vera controcultura della società industriale. Nel suo libro del 1986 – Bohemian Paris: Culture, Politics, and the Boundaries of Bourgeois life 1830-1930 – Jerrold Seigel dimostra esaurientemente che alcune delle caratteristiche (Seigel scrive addirittura un decalogo) dei Bohémien-refrattari sono antiche: vestiti strani, capelli lunghi, vivere alla giornata, libertà sessuale, alcol, droghe, propensione alla vita notturna, sono alcuni aspetti che la società industriale ha permesso tacitamente che venissero adottati da segmenti non trascurabili della popolazione.
La stessa società industriale indica queste, spesso rumorose, abitudini come estremamente disdicevoli. Facendo scattare un meccanismo di rifiuto sociale, una specie di scismogenesi o filtro o schermo che è una delle caratteristiche forse più interessanti della nostra società. Caratteristiche che si ripetono con punk, hippy, beatnik, teddy boys etc. Il tutto venne immortalato nella fotografia di Nadar, che in realtà aveva iniziato a riempire il suo “Pantheon” con le caricature e i ritratti vent’anni prima di iniziare a fotografare.
Cameroni rappresenta con la sua traduzione il trait d’union tra Francia e Italia all’insegna di una “Internationale de la Bohème” che viene indicata soprattutto tramite il garibaldinismo. Non è un caso che Cameroni traduca “bataillon de Flotte” – Le Flotte fu un quarantottardo che morì con la spedizione dei Mille – con “il battaglione garibaldino di Le-Flotte”. Per Vallès fu la “Vera sentinella perduta della Boheme”, riecheggiando la definizione di Mazzini (sentinella perduta della rivoluzione) e di Proudhon (sentinella perduta del proletariato). I legami della bohéme francese con il garibaldinismo sono comunque solidi e non certo una fantasia di Cameroni: tradizione repubblicana e movimento popolare francese hanno sempre guardato con attenzione alle imprese e alla vita dei garibaldini, che Vallès chiama in un suo articolo “irréguliers”. E Cameroni cita nella sua introduzione Cluseret e Dombrowsky, bohémiens che furono garibaldini.
La contradditorietà della figura di Vallès non è appianata da Cameroni che, anzi, la accentua. Il programma sociale del comunardo “moderato” e del mazziniano, libertario, socialista riformista, può associare un “mito” rivoluzionario “refrattario” improntato ad una idea insurrezionale che può apparire bakuninana ma contemporaneamente democratico-risorgimentale; autore e traduttore appaiono abbastanza uniti in un’idea libertaria di tipo federalista che provi a trasformare il campo democratico senza tuttavia frantumarlo. E Cameroni accentua ulteriormente questo aspetto “ecumenico” che è comunque presente in Vallès quando, per esempio, scrive “ho una lagrima per tutti quelli che hanno scritto il loro nome col sangue, che sono caduti nella mischia, difendendo ciò che eglino credevano essere la giustizia, ciò che appellavano il diritto, De Flotte o Pimodan.” Di De Flotte abbiamo detto, ma Pimodan combatteva nell’esercito del papa…
Da segnalare il capitolo su Gustave Planche e l’ultimo, amaro e intensissimo, sulla vita del gigante che sa a memoria l’Iliade e che si strugge d’amore attraverso tutti i mestieri della vita girovaga del circo e dei saltimbanchi. Se pensiamo che tra gli amici di Nadar ci fu anche Jules Verne possiamo dire che quell’ambiente della controcultura bohémien contribuì ad aver originato la fantascienza, il fantasy, l’horror… elementi che non possiamo non scorgere tra le pieghe orrende della vita del gigante baccelliere.
Sinossi a cura di Paolo Alberti
Dall’incipit del libro:
Definizione
Sotto il primo impero, ogni volta che si strappava alla Francia un po’ della sua carne per colmare i vuoti fatti dal cannone nemico, eranvi, nel fondo dei villaggi, alcuni figli del contado che rifiutavano obbedire alla chiamata del grande imperatore. Che importava loro il volo delle nostre aquile al di sopra del mondo, e che si entrasse a Berlino od a Vienna, nel Vaticano o nel Kremlin?
Verso i casolari sdrajati sul fianco delle montagne, perduti nel fondo delle vallate, il vento non ispingeva le nubi della polvere e della gloria. Eglino amavano i loro verdi prati e le biondeggianti messi, eglino stavano uniti come gli alberi al suolo ove erano germogliati, e maledivano la mano che voleva sradicarli. Non riconosceva punto, l’uomo dei campi, alcuna legge umana che potesse rapirgli la libertà e far di lui un eroe, mentre voleva conservarsi semplicemente un contadino. Non già ch’egli tremasse all’idea del pericolo, al racconto delle battaglie; aveva paura della caserma, non della morte. Preferiva al viaggio glorioso attraverso il mondo, le gite solitarie durante la notte, sotto il fuoco dei gendarmi, intorno la capanna, ove era morto il suo avo dai bianchi capelli. In quel mattino, in cui dovevano partire i coscritti, quando il sole non era ancora spuntato, staccava il vecchio fucile appeso al disopra del focolare, il padre gli consegnava palle di piombo, la madre lo muniva d’un pane di sei libbre, tutti e tre s’abbracciavano; recavasi ancora una volta nella stalla per vedere i buoi, quindi partiva, perdendosi nella campagna.
Era un refrattario!
Non è di costoro ch’io voglio parlare.
I miei refrattari gironzano nel fango delle città, non hanno virtù ingenue, non amano veder sorger l’aurora.
Scarica gratis: I refrattari di Jules Vallès.