Il voto
di
Grazia Deledda
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Quell’inverno lontano fu nefasto per la mia piccola città di Nuoro. Sebbene bambina, io lo ricordo come non ricordo tempi recenti. Dapprima nevicò per quattordici giorni di seguito; poi, caddero pioggie torrenziali che fecero crollare i muri; infine la difterite, allora chiamata angina, fece strage di bambini.
Anche l’unico figlio del nostro mezzadro, Chischeddeddu Palasdeprata, ne fu colpito. Il padre era un uomo probo e un lavoratore indefesso: perciò gli avevano appioppato quel nomignolo di Palasdeprata – spalle di argento –; la madre, poi, era una donna d’oro, saggia, forte, religiosa.
Quando vide il suo bambino morente s’inginocchiò sullo scalino della porta, verso il grande paesaggio dei monti di Orune e di Lula, e pregò ad alta voce:
— San Francesco mio caro, voi che ve ne state tranquillo nella vostra chiesa lassù, ascoltatemi. Fate guarire il mio piccolo Francesco, l’agnellino mio bianco, ed io verrò scalza, a piedi, in pellegrinaggio alla vostra chiesa, e vi porterò in dono tutto il denaro che io e mio marito avremo ricavato da un’annata del nostro lavoro.
Il bambino si sentì subito meglio, e una settimana dopo era guarito.
Adesso si trattava di compiere il voto. Chischeddeddu aveva sette anni e andava a scuola, ma intendeva di fare anche lui il contadino; quindi non aveva bizzarrie per la testa, e quando tornava a casa dalla scuola si levava le scarpe buttandole via come cose ingombranti.
Era però, come tutti i bambini sardi, un po’ sognatore; avvicinandosi il tempo nel quale si doveva compiere il voto, cominciò a smaniare dicendo che San Francesco gli era apparso per strada invitandolo ad accompagnar la madre nel suo pellegrinaggio.
Così partirono tutti e due, una mattina all’alba, nel bel mese di maggio dalle giornate ricche di ori e di profumi. La donna portava sul capo una piccola corba con dentro le scarpe sue e del figlio e un po’ di pane e di formaggio duro: e nel seno teneva i denari stretti in un fazzoletto rosso. La strada era difficile, perché scendeva e saliva fra erte rocciose; resa piacevole però dai luoghi bellissimi che attraversava: alte erbe, fiori, cespugli e macchie verdi l’accompagnavano. Di tanto in tanto una piccola sorgente d’acqua purissima sgorgava come per miracolo fra le pietre coperte di musco, e allora fra gli alberi selvaggi si sentiva il canto dell’usignolo che pareva ringraziasse Dio del dono incomparabile dell’acqua. Madre e figlio si fermarono presso una di queste sorgenti, per riposarsi e mangiare: la donna si protese sulla conca dove l’acqua brillava come il sole, e prima di bere si bagnò la mano e si fece il segno della croce: Chischeddeddu invece si lavò i piedi ardenti, e disse che voleva arrampicarsi sulla roccia, verso una quercia tutta vibrante di usignoli, in cerca di un nido.
— Lo metteremo nella corba e lo porteremo poi a casa.
Ma la madre glielo proibì: poiché, sebbene ignorante, ella sapeva che San Francesco prediligeva gli uccelli.
Per consolarsi, il ragazzo cominciò a tirar sassi che spaventavano gli usignoli, e si mise a gridare per destare le voci dell’eco.
D’un tratto, come disturbato e infastidito per l’insolito chiasso nel deserto, un uomo apparve nel fitto della macchia, tutto vestito di nero, con la barba nera, il viso scuro e due occhioni che scintillavano come l’acqua della fontana.
Non era armato di fucile, ma la donna indovinò subito che si trattava di un bandito nascosto nella macchia per sfuggire alla ricerca dei carabinieri: eppure non si sgomentò: solo rivolse gli occhi verso il santuario di San Francesco che già appariva come una bianca fortificazione sui monti fioriti di ginestre e le parve che una voce le dicesse: niente paura.
L’uomo nero scendeva agile il sentieruolo dirupato, e gli usignoli tacevano al suo passaggio. Anche il ragazzo, si stringeva pallido e silenzioso alla madre, contento, in fondo, di vedere da vicino un bandito e poterlo poi descrivere, magari con tinte lievemente esagerate, ai suoi compagni ed amici. Ma la curiosità si cambiò in tremarella quando egli si avvide che l’omaccio, avvicinatosi a loro, dopo lanciato uno sguardo aquilino intorno per assicurarsi della perfetta solitudine del luogo, adocchiava piuttosto lui che la madre. E i ricordi della prima infanzia, con lo zio Orco che vive fra le selve e là si porta i bambini per ingrassarli e mangiarseli in arrosto mezzo crudo e mezzo cotto, non valsero certo a incoraggiarlo. Anche la madre, adesso, si sentiva battere il cuore, come se lei e il piccolo Francesco suo, fossero gli usignuoli di nido strappati dalla quercia e messi dentro la corba da una mano crudele.
— Che fate voi, qui? – disse l’uomo, corrucciato come se fosse lui il padrone assoluto del luogo, e quei due disgraziati disturbassero la sua proprietà.
La donna raccontò la storia del voto: non disse però dei denari che teneva nel seno.
L’uomo guardava sempre il fanciullo e pareva rivolgersi solo a lui.
— Ah, tu sei figlio di Palasdeprata? Già, nominare l’ho sentito, già! Pare che abbia una pentola piena di marenghi nascosta sotto un albero, tuo padre, corfu ’e balla assu pènota 1, pare. Ebbene, gliela faremo un po’ scovare. I denari devono circolare. Tu resterai con me, piccolo capriolo, e tua madre andrà a prendere la pentola: la porterà qui, la lascerà qui, e se ne andrà una seconda volta. Io allora ti lascerò libero, nel posticino dove, appena partita tua madre, ti porterò. Tanto, la strada la sai: se pure non avrai piacere di restartene con me. Oh, niente piagnistei, donna; alzati e cammina.
La madre piangeva, stretta al suo fanciullo, e attraverso il velo delle sue lagrime vedeva la chiesa bianca di San Francesco come decorata di diamanti: no, il Santo non poteva, non doveva abbandonarla.
— Mio marito non possiede un centesimo, – disse, – tutto il nostro avere è qui: prendilo, ma lasciaci andare.
Parve strapparsi il cuore dal petto e gettarlo ai piedi dell’uomo; era il fazzolettino rosso con dentro i denari. Ma l’uomo neppure si degnò di guardarlo.
— Alzati e va – ripeté.
Allora madre e figlio, stretti disperatamente l’uno all’altro, si misero a piangere forte: ed ella gridò:
— San Francesco mio, aiutami.
L’eco rispose: e parve la voce del Santo.
Un altro uomo apparve sul punto preciso donde era sbucato il primo: ma questi non si allarmò, anzi parve aspettarlo come un rinforzo: poiché era un compagno di macchia.
Come diverso, però! Era un vecchio con la barba bianca, gli occhi azzurri, il viso solcato di rughe che parevano scavate da un lungo dolore. Vestito all’antica, con un cappotto d’orbace stretto alla vita da una corda, parve alla donna un eremita inviatole da San Francesco per aiutarla. Scese calmo il sentieruolo, toccando col bastone i tronchi verdi degli alberi come per assicurarsi che nei loro cavi non si nascondesse qualcuno, e quando fu accanto al compagno guardò anche lui di preferenza Chischeddeddu ma con uno sguardo nostalgico, come se da immemore tempo non avesse visto un fanciullo, e questi gli ricordasse la sua stessa infanzia e i fratellini e i compagni d’innocenza; poi, mentre il bandito gli spiegava il perché si trovavano tutti in compagnia, egli si rivolse alla donna.
— Femmina mia bella, male hai fatto a metterti sola in viaggio così attraverso luoghi che sapevi abitati dal diavolo.
Già rassicurata la donna gli sorrise: ed anche Chischeddeddu si strinse fra i denti la lingua ancora salata di lagrime, per non mostrarla all’uomo nero, ed anche per non scoppiare a ridere. La madre rispose al vecchio, un po’ convinta, un po’ per adularlo e ammansarlo meglio.
— Voi non siete un diavolo; voi siete un santo, e per questo San Francesco vi ha inviato.
Al nome del Santo, il vecchio si tolse la berretta e si fece il segno della croce: poi disse:
— Va, donna: per il resto del viaggio, noi stessi baderemo che nulla di male ti avvenga a te ed a questo capretto di tuo figlio. Però, arrivata al Santuario, dirai un’avemaria per me.
Allora il bandito piegò la testa mortificato e mormorò:
— Una anche per me.
E raccolto il fazzolettino rosso che spiccava fra l’erba come un fiore, lo rimise in mano alla donna.
Fine.
nota 1 – Che un colpo di palla gli ferisca il piede.
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TITOLO: Il voto
AUTORE: Grazia Deledda
DIRITTI D'AUTORE: no
LICENZA: questo testo è distribuito con la licenza specificata al seguente indirizzo Internet:
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TRATTO DA: "Novelle", di Grazia Deledda ; a cura di Giovanna Cerina ; Volume 5; Bibliotheca Sarda n. 11; Ilisso Edizioni; Nuoro, 1996
SOGGETTO: FIC029000 FICTION / Brevi Racconti (autori singoli)