Ferdina.

di
Adolfo Albertazzi

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Appena fu in condizione di poter uscire dall’ospedale, il maggiore Baredi scelse a dimora per la convalescenza la sua villa di Casaglia. Gli erano concessi due mesi a rimettersi del sangue perduto da una ferita che era stata quasi mortale, al petto, e da un’altra, al capo, che gli aveva deturpata la guancia sinistra per sempre. E oltre che ricuperare le forze respirando la pura aria nativa, egli sperava che lontano dal mondo, solo con sè stesso e coi ricordi famigliari, mitigherebbe la rancura compressa nell’animo e temprerebbe l’animo più virilmente al proposito della vendetta.
Perchè in quel suo rovello sentiva prevalere un eccitamento di vanità personale, e se ne accusava come di una debolezza. Gli bisognava vincere l’orrore che provava a guardarsi nello specchio e che aveva sorpreso negli occhi degli amici e delle amiche quando l’avevano visto senza bende; gli bisognava persuadersi che tornando a combattere e affrontare la morte con accresciuto fervore di vita, acquisterebbe davvero, se scampasse ancora, una ragione di superiore orgoglio, una riparazione di spirituale bellezza a quella deformazione indelebile.
Ciò che aveva fatto, il rischio da cui era scampato a stento, non gli pareva bastevole nè per la sua rassegnazione, nè per la stima altrui.
Volle dunque andar a Casaglia come a luogo di attesa più che di quiete. Ma lo contrariò subito la stagione.
Pioveva quasi di continuo; la primavera indugiava in un tedio di freddo aprile. Dalla loggia, ove passava gran parte del giorno adagiato nella poltrona, solo di tratto in tratto scorgeva le nuvole staccarsi, imbiancare ai margini, inargentarsi nei contorni di bambagia: tosto i pochi raggi cedevano al nuvolo, che ridiveniva coerente; e giù acqua! Ed era una intemperie priva di tuoni e di folgori.
Una tristezza eterna.
Letto il giornale, che pur lo lasciava deluso, Baredi apriva invano qualche libro; gli rincresceva fin questo svago da prigioniero o da infermo sfiduciato; e preferiva rileggere nella sua memoria e nel suo cuore.
Del padre, mortogli quando era bambino, si ricordava appena; ma della madre, perduta l’anno innanzi che andasse in Libia, riaveva, lì nella vecchia casa, così evidente l’immagine che a volte gli pareva udirne i passi e la voce, e gli pareva vederla sorridere in atto non più di perdonare ma d’essere perdonata. La stigma che egli recava in faccia lo redimeva ora dell’averla fatta soffrire un tempo: dell’aver preso la carriera militare che sua madre non avrebbe voluta e dell’essersi abbandonato a dissipazioni e a passioni che per lei, austera, rasentavano l’onta.
La stessa rimembranza materna lo traeva perciò a rivivere nei ricordi più recenti e più generosi.
Oh la sua bella batteria, di cui amava ogni pezzo come fosse animato dell’anima sua! E le ansie attive, gli incurati pericoli, le robuste fatiche, i riposi pieni e i sonni senza sogni! E gli ufficiali superiori e inferiori concordi in una fraternità di intendimenti e di speranze; e gli artiglieri forti e pronti, bravi e sicuri; avidi di operare con lui, di essere comandati da lui!
Pur il momento terribile acquistava un’attraenza di luce tragica a rievocarlo nell’azione complessiva. Ecco: due compagni caduti. L’uno si contrae muto, livido nell’agonia breve; l’altro, un soldato eroico, con uno sguardo ancor vivo e già estraneo, geme come un ragazzo: «Mamma mia!». E di sè Baredi risentiva la soavità dell’istante in cui, venendo meno, aveva creduto essere sottratto dalla morte allo strazio delle sue povere carni dilacerate.
Ma dall’alta lontananza di questi ricordi chi, che cosa, lo riabbatteva a un tratto nella realtà penosa? Perchè si sovveniva amaramente di questa o quella donna più non amata e ne scorgeva, in una simulazione di pietà, un segreto sarcasmo, o, peggio, la ripugnanza? Perchè gliene ricorrevano alle labbra le parole: «Come sei bello!»; e le ripeteva forte queste parole, e guardandosi talvolta nello specchio sorrideva? Per convincersi che non doveva, non poteva più sorridere! Nel volto deturpato il più lieve sorriso gli sembrava tracciasse un’atroce smorfia.


Finalmente una notte sentì un usignolo, che nel boschetto di altee e di lauri s’inebriava del suo canto; e il giorno dopo il sole fu padrone di tutto il cielo.
Baredi fece quel giorno i primi passi senza aiuto. E ristette a guardare la chiostra dei colli, dilungati in lievi ondulamenti contro il cielo sereno; inclinati a valle in falde verdi di olmi e di cólti, con le case che i cipressi indicavano e a cui la luce meridiana e la distanza davano un’illusione di quiete chiara, tiepida e dolce. Là, oltre la verde cerchia, fra le piatte cime di Paderno e di Sabbiuno, i monti s’annebbiavano d’azzurro; qua, nella valle ove profondava il Ravone, la chiesa e la vicina fattoria attiravano lo sguardo come i più cari luoghi del paesaggio inobliato. E d’improvviso, con gli occhi della memoria, il capitano scorse nella fattoria la fanciulletta che sua madre ebbe spesso a svago per casa: Ferdina. Egli non l’aveva riveduta nell’altro triste ritorno, quando la morte stava al capezzale materno; l’aveva riveduta sempre gli anni innanzi; e la rammentava bambina, quando al vecchio fattore successe il padre di lei. Quanti anni aveva ora?
Calcolo breve, se non del tutto sicuro: era già una ragazza da marito.
Il giardiniere confermò dicendo:
— Faceva all’amore col figlio di Santelli, l’affittuario. Adesso è soldato, al fronte.
— Bella?
— Non se la ricorda? Una faccia ardita; capelli biondi.
Poi l’informatore soggiunse:
— Non tarderà a venirla a trovare. M’è sempre attorno a domandare di lei, e se è guarito, e come se la passa, e se vien nessuno a salutarla. È una buona ragazza.
Baredi tornò a guardare alla fattoria; poi disse:
— Ci andrò io, fra qualche giorno.
Voleva sperimentare in lei, che certo lo rammentava bene e forse lo ricordava con affetto, l’impressione disgustosa di rivederlo così; e voleva sperimentare in sè stesso la resistenza a quel disgusto.


Ma se, col bel tempo, si sentiva rinvigorire d’ora in ora, le gambe che avevano scalate le Alpi lo reggevano ancor male per un tratto non breve e per la riva ripida. Di più l’umiliava quella mollezza sentimentale, a cui non poteva opporre abbastanza energia di dominio su sè medesimo. Erano commozioni eccitate, irresistibilmente, dai sensi che si rinnovavano alle impressioni e dalla fantasia che si ravvivava nella necessità di ricordare; e spesso, per un nonnulla, s’accorgeva che gli occhi gli si riempivano di pianto. Sopratutto l’inteneriva un sovrapporsi di sensazioni e d’imagini. Mentre si rivedeva andar fanciullo, nel luminoso silenzio, per il giardino e per i prati ch’erano tutto un fiore, e la madre l’accompagnava, ecco riapparirgli l’artigliere morente e riudirlo invocare: «Mamma mia!»; mentre riudiva con la disattenzione e nello stesso tempo con la vigile percezione di ragazzo i gorgheggi delle capinere e degli usignoli, ecco ripercuotersi al suo orecchio il rombo del cannone e rivedere, orrenda, la scena di sangue e di strazio.
E dubitava, a volte, di guarire; non nei muscoli, ma nei nervi.
Così una mattina, quasi a superare uno sforzo più dell’animo che delle gambe, s’avviò per la stradicciuola della chiesa e arrivò, un po’ affannoso, alla fattoria.
La moglie del fattore venne sulla soglia con le mani impiastricciate di farina appena intrisa, e cominciò a strillare:
— Chi si vede! Che miracolo! Ferdina! Ferdina, corri a vedere chi c’è!
Ma come non aveva contenuta la ripulsione a scorgere quella guancia deturpata, la donna introducendo il visitatore prorompeva in parole che valessero a scusa di sè e a conforto di lui.
— Poveretto! Quanto avrà dovuto soffrire! L’ha scampata, eh, sì; ma…. Assassini infami! Rovinare per sempre tanta bella gioventù!
Per fortuna, i passi della figliuola, che scendeva la scala di corsa, la interruppero. Ripetè:
— Guarda chi c’è qui, Ferdina!
— Buon giorno….
Rossa in volto, ma sorridente e franca: e non il minimo segno sfuggì alla ragazza della impressione penosa che Baredi si aspettava di dover affrontare anche in lei.
— Che ragazzona! — egli esclamò stringendole le mani. — Non ti avrei riconosciuta!
La disinvoltura ch’essa aveva dimostrato a dissimulare; la delicatezza che l’aveva indotta a comportarsi in tal modo, gli riuscì così inattesa, così strana in una della sua condizione, ch’egli volle provocarne più sicura prova. Chiese:
— E tu mi avresti riconosciuto?
— Io sì — rispose.
Allora alla madre parve opportuno riprendere:
— È stata una disgrazia, signor maggiore; ma bisogna sempre pensare a chi sta peggio; a chi ci ha rimesso un braccio o una gamba….
— Mamma — disse la ragazza con un’occhiata di ammonimento e di rimprovero —, se andaste a nettarvi le mani? Siete tutta incollata.
— Ah la mia sfoglia! La pasta che mi si asciuga! — fe’ la donna entrando in cucina senza più altri complimenti o spropositi.
E il capitano a Ferdina:
— Avrei preferito trovarti come eri una volta. Verresti a tenermi un po’ di compagnia nel giardino; a prendere dei fiori.
— Oh! se è per questo….
E soggiunse che il padre da un pezzo insisteva che lei e il fratello andassero a salutarlo, ma che il ragazzo era un monello selvatico. Parlarono di lui, Gigetto, che il maggiore aveva visto appena nato; e il discorso fu avviato alle vecchie conoscenze. Ferdina dava notizie di questo e di quello, e Baredi intanto l’osservava.
Le palpebre, lunghe, le ombravano lo sguardo profondo; la voce aveva forte e calda. Non di una bellezza insolita, era però imagine di una giovinezza sana e gioconda, e suscitava — e pareva giusto come non mai — l’abusato confronto del fiore campestre.
— Dunque — egli disse alla fine —, dimani ti aspetto. Ma se vuoi delle rose e dei garofani, tu portami dei fiori di campo; delle viole.
Ella rise.
— Delle viole, adesso? Troppo tardi!
— Ebbene, di quei fiori che coglievo anch’io da bambino laggiù lungo il Ravone. Se no, niente garofani e niente rose!
Dalla cucina la madre gridò, dopo i saluti:
— Si ricordi che il giardiniere la teme, Ferdina, come la tempesta!
E Baredi ricordò invece che il giardiniere gli aveva detto:
— È una buona ragazza.


Ma Ferdina non mantenne la parola che in parte.
Venne il giorno dopo alla villa recando, invece che tulipani, giunchiglie, narcisi e rosolacci, un mazzo di ginestre con qualche ranuncolo tra mezzo.
— Cosa m’hai portato? — dimandò Baredi, senza sorridere.
Sorrideva essa: del sorriso che ferve nelle pupille delle donne innamorate.
Esclamò a sua volta con accento di meraviglia:
— Non le riconosce? Son ginestre!
— Non ancora in fiore, e non sono i fiori che volevo io.
La ragazza chinò lo sguardo per sottrarlo allo sguardo di lui; e il modo e l’indugio a rispondere rivelarono che, imbarazzata, cercava la scusa. Poi disse rialzando gli occhi:
— Le ginestre fioriscono a giugno; e io ci ho messo, invece, tra mezzo, un altro giallo.
— Che idea! Perchè?
Nuovo indugio; con, di più, un gesto d’impazienza. E rivolgendosi, seria:
— Mi sono ricordata che la sua povera mamma mi mandava sempre a raccoglierne, delle ginestre in fiore.
Baredi prese il mazzo e disse:
— Ti ringrazio.
Ora, mentre la caricava di rose e di garofani, egli soggiunse:
— Sei buona e meriti di essere amata e fortunata. Il tuo amante che fa? dov’è?
— Chi gliel’ha detto? — gridò Ferdina.
Ma non insistette nella solita scherma delle ragazze campagnuole, che quasi un pudore istintivo e inconsapevole induce a negare di essere innamorate; e ripigliò:
— Lei è peggio del Mago Sabino! Indovina tutto.
— No; non tutto. Che fa? — ripetè. — Dove è? Come ha nome?
Le risposte seguirono in fretta.
Aveva nome Guido Santelli; aiutava il padre in un’affittanza. Adesso era al fronte.
— Ti sposa appena finita la guerra?
— Ah! questo non lo so davvero; e se lei non ci riesce a indovinarlo, bisognerà dimandarlo al cucco. Aspetti.
L’attesa fu lunga.
— Cantava adesso adesso. L’ha sentito?
Dal campo dove si nascondeva, il cuculo mandò finalmente il vecchio canto augurale.
— Cucco, bel cucco dalla penna grigia: quanti anni mi dai prima che mi sposi? — Uno…. Due…. Stia attento!
Essa contò fino a otto.
— Otto anni! Oh povera me! — lamentò con comica disperazione. — Sono troppi! Fortuna che non ci credo, nel cucco!
Baredi fu tentato a sorridere; ma non sorrise. E la ragazza parve improvvisamente pentita d’aver scherzato; desiderosa di confidarsi meglio, quasi di confessarsi in colpa. Disse mutando lo sguardo e la voce:
— Come sarà che tutte quelle che hanno il moroso al fronte stan di malanimo e io non ci penso nemmeno che possa succedere una disgrazia? Per me è una cosa impossibile!
— La fiducia che hai nel tuo amore ti dà la fiducia nel tuo destino.
Paga, la ragazza seguitò:
— E quando finirà la guerra?
Il maggiore si strinse nelle spalle.
Allora essa, quasi urtata, ebbe un rude scatto, un impeto di sdegno, di disgusto profondo e incontenibile.
— Che debba proprio durare un pezzo? Sono infamie!
Suo padre diceva che la guerra era necessaria; ma lei non riusciva a capire come potesse esser necessario spargere tanto sangue, commettere tante stragi, solo perchè due birboni l’avevan voluto.
— Necessaria per noi? Entrare fra i litiganti per la smania di darne anche noi, per il bel gusto d’andar in molti incontro alla morte?
Beredi l’ascoltava non meravigliato di quell’ignoranza e di quegli errori; meravigliato che Ferdina, mentre dimostrava cuore generoso, non supponesse in un sentimento generoso la ragione vera del fatto che le pareva assurdo. O il sentimento della patria era attutito in lei dall’altro amore che la dominava sino ad oscurarle il pensiero?
— La necessità che tuo padre dice — egli rispose — è nella difesa dei più sacrosanti diritti umani. Pensa.
Ed enumerava, chiariva le cause del conflitto enorme, e intanto seguiva sul volto di lei la commozione che veniva eccitando. Poi, non senza intenzione di pungerla, aggiunse che sopra tutto c’è, al mondo, un amore per cui i maggiori sacrifici sembrano sopportabili: l’amore che santificò il martirio di quanti preferirono la morte alla tirannia, all’insolenza straniera, alla barbarie prepotente, rivestita di civiltà ipocrita o vigliacca.
— Ma voi donne non capite come quest’amore fa parer bella la morte!
Ferdina aveva ascoltato a mo’ dell’ignorante che riceve una luce inattesa e, tuttavia un po’ confuso, gode d’essere tratto dall’oscurità. Ma a quelle ultime parole arrossì, più che per il rimprovero, per il pensiero che le fecero balenare. Gli occhi le si accesero di una fiamma che parve d’ira ed era d’amore.
— Quel che dice lei — esclamò — dev’essere vero! Ma anche Guido penserà così, e andrà a cercarla, la morte! So che tipo è. E la morte me lo porterà via!
Si morse le labbra per contenere uno scoppio di pianto; le lagrime non le potè celare.
Beredi non aveva visto mai in occhi di donne, improvvisamente manifesta, tanta passione. L’espressione stessa «me lo porterà via» non significava una violenza angosciosa, un ingenuo, prepotente egoismo? Gelosa della morte!
Egli riebbe il senso delle delusioni patite e provò l’invidia più acre: quello di un grande amore. Fra le donne che gli avevano giurato di amarlo quale l’aveva amato come amava Ferdina?
— Piangi? — le chiese ironico, per castigarla di avergli fatto male. E sorrideva ora senza timore d’accrescere col sarcasmo la bruttezza della sua guancia contratta.
Ferdina si asciugò gli occhi col dorso della mano e guardandolo non avversa:
— Ha ragione — mormorò. — Perchè pensare a un guaio? Ma se Guido morisse….
E sospese la minaccia, che neppur lei sapeva se rivolta a sè o al destino, e che l’energia della voce e dello sguardo lasciava pensare non vana.
Baredi si rabbonì. Cercò di riparare al male che aveva fatto lui a lei.
— Se il tuo Guido ti ama come lo ami tu, non temere. Non l’hai inteso dire anche tu che l’amore qualche volta vince la morte?
Oh il sorriso di Ferdina, allora! E a quell’uomo bello, a’ suoi occhi, di bontà, d’intelligenza e di coraggio, disse grata e sincera:
— Lei l’ha vinta la morte, e la sua morosa dev’essere felice!


Idealizzava anche questa, adesso? A trentadue anni oramai Baredi aveva acquistata tale esperienza delle donne da credere sul serio che quella ragazzotta campagnuola meritasse di occupare il suo pensiero? Oh no! Egli voleva pensare ad altro. E pensava ad abbreviare la licenza, che già gli pareva troppo lunga. Tutte le mattine ricuperava lena nelle passeggiate su per i colli.
Ma quasi ogni giorno Ferdina veniva, dopo mezzodì, alla villa, e chiacchieravano sotto gli abeti: essa chiedeva ed otteneva schiarimenti alle notizie del giornale, o portava notizie del suo fidanzato e d’altri giovani dei dintorni, o riferiva qualche pettegolezzo. Non s’immaginava certo che il maggiore ne seguiva le parole, i modi, le abitudini con attenzione sempre vigile, e che egli provava un piacere amaro a scorgere in lei qualche difetto, qualche rudezza spiacevole o ignoranza bisognosa di compatimento. Ciò accadeva, piuttosto che alla villa, alla fattoria, dove talvolta egli scendeva a passar mezz’ora.
Un giorno, nel prato davanti alla casa, sorprese Ferdina che voltava lei il fieno al sole. Aveva stretto al capo e annodato alla nuca il fazzoletto rosso; la gonna succinta, le braccia scoperte fino al gomito. Muoveva e rivolgeva con atto frequente e svelto la forca di legno dai lunghi rebbi, e cantava.
— Brava — egli le disse. E lei interrompendosi:
— Oh non mi vergogno, io, a lavorare da contadina! Si vergognino quelle che non han braccia sode e gambe dritte!
E riprese a cantare.
Un altro giorno Gigetto, il fratello di lei, aveva levato un nido di fringuelli. I poveri uccellini, ancora in bordoni, non si reggevano ai piccoli voli e ai brevi passi: tentavano scappare e battevano il petto e il capo in terra; e piavano spalancando il becco.
Il maggiore rimproverò il ragazzo. Il ragazzo rispose sgarbato, e la sorella gli lasciò andare uno scappellotto; ma lui si vendicò accusandola:
— I fringuelli ti fan compassione; gli storni, no. Mi hai aiutato tu a pigliarli tra i coppi!
— Gli storni sono di danno! — essa rispose. — E poi — aggiunse rivolta a Baredi, — quelli di nido sono così buoni in umido!
E sorrideva con labbra ingorde.
Anche andava in bicicletta e si scalmanava in corse faticose quando, scesa alla città per le spese domestiche e fatte tutt’altre compere a suo capriccio, doveva rincasare a prendere soldi e ripetere il viaggio.
Non sapeva, insomma, moderare le esuberanze dell’indole, nè mitigare le asprezze del carattere. Eppure, quand’era solo, Baredi ne rivedeva spesso l’imagine ricomposta in lineamenti ed espressioni gentili, e se ne ricercava le impressioni avverse, da quei contrasti essa, anzi che perdere, acquistava nuova attraenza, come d’una bellezza singolare, forte e sana.


Ma un pomeriggio, accompagnandola per la strada della chiesa, Baredi osservò a caso, al margine del fosso, un fiore nuovo per lui. Lo stelo lungo e schietto reggeva, a corona, cinque o sei capolini di un delicato color lilla sorretti da un esile picciuolo senza foglie. Lo staccò e glielo porse.
Ferdina lo gettò via con disprezzo. Come offesa davvero, gridò:
— Questo fiore a me?
Poi, alla meraviglia di lui, disse:
— Fiorin dell’aglio, fior traditore!
E prima che egli parlasse, essa, nell’atto di scappare sdegnata verso la fattoria, gli rivolse un’occhiata lunga e intensa; una di quelle occhiate in cui l’anima si raccoglie e si concede, ma il pensiero, anzi che apparir manifesto, per il troppo fervore appare ambiguo. Voleva leggere negli occhi di lui la scusa dello scherzo che poteva spiacergli? esprimere l’affetto che la rendeva certa di scusa?
Baredi rimase perplesso un istante; indi, respinte le interpretazioni benigne, tornò indietro convinto di non errare e mormorò: — Civetta! — Nessun dubbio. Una rivelazione inattesa: Ferdina credeva d’averlo innamorato, e ne godeva!
— Anche costei! — pensò. — Tutte a un modo; tutte stupidamente vane, perfidamente vane! Per soddisfare alla vanità istintiva, non esitano in nulla; inconsapevoli del male che possono fare, interamente consapevoli del male che vogliono fare. — Ogni cosa era chiara adesso! Ogni prova di affetto e di gentilezza ch’egli aveva ritenuta spontanea in costei, era stata predisposta sin dal primo incontro a tal fine: innamorarlo! L’aveva conosciuta bambina: la rivedeva una bella ragazza; fidanzata. Avrebbe resistito alla bellezza di lei, all’invidia che altri n’avesse l’amore? Ah no! Essa vincerebbe se egli — e non c’era da dubitarne — aveva in mente altre donne! E lei andava a colpo sicuro; prima di tutto perchè era giovine, fresca, bella; poi perchè le signore e signorine, schifiltose, non riuscirebbero a nascondere, come lei, il ribrezzo della cicatrice che lo imbruttiva. E il dover supporre tutto ciò, ciò che lo feriva come un oltraggio, a Baredi fece così male che piuttosto che riveder Ferdina pensò di ritornare quel giorno stesso a Bologna. Ma non s’immiseriva a fuggire le piccole cattiverie d’una femminetta diciannovenne?
Rimase. Quel giorno stesso però scrisse al Comando che era guarito e disposto a riprendere tra una settimana al più tardi il servizio. Impiegherebbe il tempo, che gli restava, ad allenarsi camminando sui monti; e non andrebbe più alla fattoria, e con qualche pretesto non riceverebbe più Ferdina alla villa. Se non che il giorno dopo si accusò nuovamente di debolezza e, sebbene stanco di una lunga gita, andò all’ora solita nel giardino.
Ferdina non venne. Non venne neppure il dimani. Non c’era da ridere? da prenderla, quasi quasi, nel suo stesso giuoco? Lo aspettava a casa sua! Non cedeva lei; certa, sicura che cederebbe lui!
Passarono quattro giorni. Quando, al quinto, il maggiore udì alcune contadine che, per la via, discorrevano di un altro paesano morto in guerra. Egli ebbe un dubbio: e, dalla siepe, ne dimandò il nome. Non era il fidanzato di Ferdina. E poco dopo, ecco Ferdina accorrere, trafelata, rossa in volto, con una lettera, incontro a lui. Tendendola, pareva ebbra di gioia; esclamava:
— È di Guido! La legga! Voglio che la legga!
E premeva una mano al cuore per moderarne i palpiti. Egli scorse con gli occhi alcune righe. Il soldato scriveva che si era trovato alla stessa azione in cui era perito quel paesano; che si era meritato gli elogi dei superiori e sperava d’ottener la medaglia, e una prossima licenza.
— Che pena in questi dì! — la ragazza seguitava. Sin dal principio della settimana aveva saputo del paesano morto, e sapeva che era nello stesso reggimento, nella stessa compagnia di lui, Guido.
— Che angustia! Ma anche lei mi ha fatto soffrire! — aggiunse con voce ferma, quasi aspra.
— Perchè? — Baredi chiese. Era già pentito d’essere stato ingiusto.
— Vuol negarlo? Anche lei sapeva della brutta nuova e sospettava di una disgrazia. Ne saran morti tanti delle nostre parti! Io non avevo il coraggio di venir qui, a interrogare; ma l’aspettavamo laggiù, da noi, a dirci una parola.
Egli arrossì, la prese sotto il braccio traendola verso la solita ombra nel giardino.
— Perdonami — le disse —, non per il male che ti ho fatto senza volere, ma perchè sospettai tutt’altra cosa: che tu non fossi buona e sincera come sei. Perdonami.
Ferdina era così felice che non si perdè a chiedere spiegazioni; e alla domanda di lui: — Sei felice adesso? — ella sorrise guardandolo, limpidamente; con la piena confidenza di un cuore che si abbandona a chi la comprende.
Giunti in fondo al viale, sedettero di fronte; lei sul sedile di pietra, lui nella scranna di giunchi. E mentre essa, tolto dalla tasca del grembiule un fazzoletto in cui ricamava le cifre, agucchiava e discorreva, Baredi stette ad ascoltarla poggiando il gomito allo schienale e sostenendo il capo con la mano contro la guancia destra. La ragazza parlava del suo amore; dei contrasti che aveva avuto da parte dei suoi. Non senza ragione. Guido non era mica uno stinco di santo! Ne aveva avuto delle amorose!; e qualcuna…. ehm! Ma con lei non si bazzicava come con quelle. Aveva intenzioni oneste? E bisognava rigar dritto!
— Che liti in principio che facevamo all’amore! Mi venivano a dire che era stato visto per Bologna con la tale, a teatro con la tal’altra. Capirà se ci pativo! Una sera che eravamo soli in casa, giurava di dover andar via per un contratto. Non gli credevo; serrai la porta con la chiave. Lui sale al piano di sopra, spalanca la finestra, si butta giù e scappa. Da accopparsi! Io mi divoravo dalla bile. Ma mio padre imparò che era vero che Guido stava combinando un grosso affare e che dava segni di aver messo la testa a posto; e cominciò a difenderlo. Questa è bella! Anche mia madre, perchè io, a costo di morir di crepacuore, non ne volevo più sapere, cominciò a dar torto a me! La guerra ha fatto il resto, e adesso ci vogliamo bene sul serio.
Intanto che la ragazza discorreva, Baredi la seguiva rimproverandosi. Quant’era difficile giudicare le donne! Con che ingiustizia aveva giudicata Ferdina, così buona e leale; così schietta e forte nei suoi difetti e nei suoi contrasti; così sana e assennata! A confrontarla con le donne che gli stavano più in mente gli pareva di dover sorpassare un abisso. O l’abisso, piuttosto, era in lui?
— Il maggior bene del mondo — Ferdina ripigliava — non sta forse nel volersi bene? Vede? Mio padre e mia madre sono di stampo antico; senza istruzione, senza finezze; ma mi han dato a conoscere che a questo mondo più si vuol bene, e più se ne vorrebbe, e s’è più contenti.
— O l’abisso è piuttosto in me? — si chiedeva Baredi. Era in lui, tra il modo con cui concepiva la vita nel passato e il modo con cui gli si presentava ora, dopo l’intervallo tragico e quasi mortale? Ora sentiva come non mai l’orrore di quel passato. Eppure egli non era stato nè più fatuo nè più corrotto di tutti gli altri. Ma come tutti gli altri aveva riposta la felicità nella falsità delle illusioni, dei desideri, dei piaceri, delle passioni. Ah Ferdina! Ferdina! Proprio così: volersi bene senza pretendere dalla vita più di quanto la vita può dare; e più si vuol bene, e più se ne vorrebbe, e s’è più contenti!
Dopo una pausa, pur china sul lavoro e senza badare che egli aveva socchiuso gli occhi, la ragazza soggiunse:
— E quando s’è contenti si vorrebbe veder contenti tutti; fa dispiacere che chi è buono come noi, più di noi, debba soffrire.
Altra pausa. Quindi:
— Lei perchè è sempre così pensieroso?
Baredi tacque. Temè di non poter rispondere senza essere debole, e, stringendo le palpebre, tacque.
— Dorme?
Non rispose.
E seguì un lungo silenzio. Egli, di tratto in tratto e di furto, sollevava un po’ le palpebre e sogguardava; essa seguitava a cucire.
Finchè si mosse, si alzò. Baredi credè se ne andasse. Ferdina, invece, si avvicinò a lui piano piano; s’accostò. Ad accertarsi che dormiva?
Egli stava per riaprir gli occhi, chiedere:
— Vai via? — Ma intuì. Sentì che si abbassava, che col suo viso gli sfiorava il viso. Un attimo. E calde e lievi le labbra di lei si strinsero e si chiusero a un bacio appena sensibile, su la guancia deturpata.
Ah! afferrarla, stringerla al cuore, baciarla nella fronte gridando con anima pura, con tutta l’anima: — Ferdina! Ferdina! — No: gli parve una contaminazione; con uno sforzo supremo si contenne. Ella si era allontanata rapida, su l’erba; ed egli, risollevando le palpebre, la scorse che si fermava e si voltava. Dubitava d’averlo destato; temeva che se ne fosse accorto. Rassicurata, scomparve dietro la casa.
E allora egli ruppe in singhiozzi.
Ma la mattina dopo partiva per la frontiera.

Fine.


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QUESTO E-BOOK:

TITOLO: Ferdina
AUTORE: Albertazzi, Adolfo

DIRITTI D'AUTORE: no

LICENZA: questo testo è distribuito con la licenza specificata al seguente indirizzo Internet:
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TRATTO DA: Il diavolo nell'ampolla : novelle / Adolfo Albertazzi - Milano : Treves, 1918 - 194 p. ; 16 cm.

SOGGETTO: FIC029000 FICTION / Brevi Racconti (autori singoli)