L’avventura

di
Cesare Pavese

tempo di lettura: 10 minuti


Sandra passò la mattinata senza allontanarsi dalla stazione. S’era messa per un viale di piante che parevano mazzi di fiori e andava guardando le vetrine, soffermandosi, girandosi a volte. Poi s’accorse che le case del viale digradavano sempre piú basse, che il cielo là in fondo era vuoto, che il viale finiva in una specie di svolta, come un salto nell’aria. Allora si fermò, e girò gli occhi, irresoluta, da una vetrina di frutta alle piante, alle finestre alte.
Là c’era il mare. Sandra aspirò l’aria e sentí solamente l’odore acuto dolcissimo dei fiori. Allora tornò indietro cercando quel caffè che aveva già veduto. Le parve di non riconoscerlo, ne ebbe quasi dispetto, ma poi rivide i tavolini di vimini nascosti dalla colonna del portico e sparpagliati nell’ombra. Qualcuno era già seduto a quei tavolini con la faccia distratta e le mani intrecciate; non c’erano donne. Sandra entrò senza guardarli. Mentre beveva il latte al banco, e il garzone non faceva di lei nessun caso, pensò che vita doveva essere quella, a pochi passi dalla spiaggia per anni e anni.
Col garzone parlò, non appena gli colse l’occhio. Si fece spiegare dov’era la piazzetta, ma accadde che quello non capiva e balbettò un poco, come tutti i giovanotti di questo mondo. Allora Sandra si decise e gli mostrò l’indirizzo in fondo alla lettera e dovette spiegargli ch’era un alloggio per la stagione e dirgli il nome dei padroni. Il garzone l’accompagnò fino alla soglia, fra i tavolini, e si spiegò con molti gesti: adesso scherzava. Sandra se ne andò indispettita.
La piazzetta era a due passi dalla stazione e ci si arrivò per una viuzza a scalini di pietra. Sandra cominciava a sperare che le stanze sarebbero almeno tanto in alto da spaziare sulle case frapposte e scoprire il mare. Solamente a questo patto rinunciava allo strapiombo sugli scogli. Si guardò intorno nella piazzetta deserta: c’era un quadrato di cielo tenero, sparso di nuvole bianche che venivano dal mare. Una delle case era fiancheggiata da un muricciolo, e Sandra si ricordò che la lettera diceva pianterreno con giardino: niente vista sul mare, niente stanze aperte al sole, quindi. Sandra si fermò davanti alle finestre inferriate del pianterreno, troppo delusa e invelenita per aver voglia di accasciarsi, troppo lontana da casa. Aveva levato gli occhi al balconcino del primo piano, dove uscí una donna grassa col fazzoletto in capo, a stendere biancheria. Valeva la pena vivere al mare, per essere cosí sordide e grasse.
Allora finse di passeggiare e attraversò la piazzetta. Era acciottolata in modo ineguale e vi sbucava un vicolo piú stretto. Quando vi giunse Sandra levò il capo perché dall’alto udí una voce rauca e si mosse qualcosa e, davanti, le piombò uno scroscio d’acqua. Non ebbe il tempo d’imprecare che le apparve in fondo al vicolo, luminoso e lontano, lo spicchio celeste del mare.
Altre voci vennero dalla piazzetta, violente, e di nuovo quella rauca si fece udire: Sandra entrava nel vicolo e capiva che gridavano a lei, ma non si volse. Scese fissando l’orizzonte vago, abbandonandosi al piacere di andare. Attraversò una strada asfaltata e fu davanti alla spiaggia.
Sandra era disperata perché, adesso che la piazzetta le era quasi piaciuta, non riusciva piú a vincere l’indignazione per quel baccano e per la villania dell’acqua. Quando in casa avevano deciso che lei prendesse il treno sola e venisse a trattare per l’alloggio, Tonino aveva osservato: – Se ci arriva senza rompersi la faccia –. Ma doveva arrivarci. Sandra guardò il mare, guardò la spiaggia ancora deserta.
Passava gente sulla strada, si soffermava sulla banchina, ce n’erano di seduti ai tavolini sotto le piante. Prendevano il sole fresco; nessuno ancora si bagnava. Sandra guardava il mare senza vederlo, quando un passo la raggiunse. Si sentí afferrare a un braccio e non si stupí: si volse adagio, scostandosi. Era un ragazzone che pareva un bagnino, spalle nude e abbronzate, che sorrideva come per gioco. – Siete scappata, – disse.
— Che c’entra? – ribattè Sandra, scontrosa, e distogliendo il viso e il gomito da lui colse negli occhi il cielo chiaro, lo svolazzare di un lenzuolo a una finestra, il profilo del promontorio dietro la costa. Si sentí il vento sulla gola e le uscirono le lacrime agli occhi. Li serrò per dominarsi, ma una, stupida e calda, le sgorgò per la guancia. L’altro non batté ciglio. La guardava sornione. – Vi abbiamo chiamata, – le disse, – non sentivate?
Sandra riaprí gli occhi, scarlatta dal dispetto. Il giovanotto non rideva: la mano con cui le aveva afferrato il gomito era ancora sporta verso di lei; il vento gli agitava i capelli. Sandra non rispose: non era sicura della voce. Si guardarono un poco, a faccia a faccia, poi lui le prese di nuovo il braccio – lo sfiorò –, e si mosse verso lo sbocco del vicolo, come chi si sposta per avere piú agio a parlare. Sandra si spostò con lui.
Il giovanotto le disse che il fatto del catino era stata una villania inconcludente: gentaglia del vicolo che non sapeva che cosa fosse pulizia e civiltà né che lei stesse passando. A un certo punto Sandra disse: – Basta. Che ve ne importa? – Quello restò interdetto. Allora Sandra sorrise e gli chiese se abitava sulla piazzetta. – Se vi do noia, me ne vado, – disse l’altro, adagio. – Ma voi perché piangete? – Sandra si toccò la guancia di scatto e disse: – No!
— Prima, – spiegò il giovanotto. – Prima vi ho vista piangere. Vi succede qualcosa?
Allora Sandra dovette sorridere e fece una smorfia, e finí per dire: – Sono una stupida.
— Io mi chiamo Nanni, – disse l’altro con semplicità.
Restarono un momento sulla soglia del vicolo – ch’era la loro giustificazione – ma Sandra si volse subito al mare, e parlarono del mare. Quando si tesero la mano, Sandra non gli disse il nome e si allontanò senza voltarsi, contenta di esser stata di spirito. Scese per un sentiero sulla spiaggia e cominciò a guardare l’acqua che le schiumava ai piedi e questa volta respirò la salsedine. Era sola sulla lunga spiaggia, ferma davanti al largo, col mento in su. Se quel Nanni era rimasto tra le palme del viale, stavolta rideva lui.
Sandra risalí sulla strada dopo aver camminato fino in fondo agli stabilimenti, dove la sabbia si perdeva nel letto di un torrente. Ritornò per il viale, guardando le ville dai bei giardini fioriti, che sarebbero ancora fioriti nell’agosto. Nell’agosto le foglie sarebbero addirittura sparite, lasciando, sodi e fragranti, fiori su fiori. Quando giunse allo sbocco del vicolo, ci rivide quel Nanni.
Era fermo e guardava in su. – Cerco un alloggio, – disse Sandra. Quello neanche stavolta scherzò. Strinse le labbra e disse: – È difficile.
— Come, difficile? – esclamò Sandra; – ho già la lettera.
— Siete sola? – disse Nanni.
— Adesso sí. Verrò poi con la mamma in agosto.
Nanni fece un sorriso contento, senz’intenzione. Era tanto grande che stava un poco curvo, e i capelli gli tremolavano al vento.
— Non siete sposata? – disse.
— Ho diciannove anni, – brontolò Sandra.
Allora Nanni le disse che, se non fosse già stata in trattative, lui poteva farle vedere delle ville, perché conosceva i custodi e anche qualche padrone. Sandra lo guardò incredula, e al suo sorriso rispose che non era per nulla legata e poteva visitare tutti gli alloggi che credeva. Ma le ville erano troppo lusso per lei. Nanni alzò le spalle e le fece strada.
Ne visitarono due. La prima era una casetta carina, tra le piante di magnolia; ma non si trovò la donna che ne aveva la chiave, e si accontentarono di sbirciare le finestre e parlarono del padrone che stava in America. Non erano discorsi di chi affitta una villa. Fu allora che Sandra guardò le mani di Nanni e gli chiese che mestiere faceva. – Quand’ero in America, facevo lo scaricatore, – disse Nanni ridendo.
— E adesso?
Adesso, quand’era al verde, Nanni faceva il cameriere. Sandra tacque e fu contenta.
L’altra villa era sul mare. C’era un terrazzo per prendere il fresco e un giardino di leandri e di ghiaia. Il cancello socchiuso spaventò Sandra, ma Nanni le prese il braccio e la fece entrare. Trovarono un vecchio giardiniere curvo sotto una cappellina, che squadrò Sandra con gli occhi rossi e poi disse a Nanni che la casa era in vendita e ci voleva altri che lui. Nanni scherzò un poco, e si fece dare le chiavi chiamando Sandra «la signora». Il giardiniere venne fin sulla soglia, e gli gridò dietro di non lasciare finestre aperte.
Non era certo il pianterreno della piazzetta. Nell’afa immobile del vestibolo chiuso, Sandra pensò ch’era sola con un uomo e fuori c’era il sole, ma questo Nanni era un ragazzone. Non le aveva nemmeno chiesto il nome. «Magari spera nella mancia», si disse. Girarono le sale dai mobili tutti infoderati; e le grandi finestre, le gambe lucide di un pianoforte, i lampadari, le fecero dispetto, tanto la vita che evocavano era ricca e irraggiungibile.
— È proprio bello.
Nanni, silenzioso nelle sue scarpe di corda, apriva e chiudeva finestre. Al primo piano uscirono sul balcone della sala invetriata. Sandra guardò con slancio il giardino, il viale donde saliva attutito il brusío dei passanti, e il mare, il mare splendido aperto e azzurrino, piú alto – pareva – per chi stesse sul balcone.
— Ecco, mi fa pena, – brontolò Sandra, – che ci sia gente cosí felice –. Nanni appoggiato alla balaustra la sogguardò taciturno, con gli occhi chiari. – Qui si sta bene, – disse.
Mentre rientravano e lui chiudeva i vetri, le disse a un tratto: – Come devo chiamarvi? – Sandra si fermò sul primo gradino, lo attese e glielo disse. Allora Nanni le giunse al fianco e, mentre scendevano, la baciò piano sui capelli.
In fondo alla scala, Sandra voleva chiedergli: «Perché mi hai baciata?» ma disse invece: – È tardi, non ho ancora veduto l’alloggio. Questo non è fatto per noi –. Ma era furente di non sapere dir altro, e Nanni taceva, le grosse mani ciondolanti tranquille. Sulla soglia del vestibolo socchiuso la cortina di sole che penetrava dall’esterno la fermò. Nanni si volse calmo, attendendola. Sandra col cuore in gola stava per piangere, per gridare – perché adesso avrebbe rivisto la spiaggia, la gente, perché anche Nanni stava per diventare un estraneo, come la villa, come il mare, come lo stupido mattino. «Sa che mi chiamo Sandra, – si disse. – Perché non parla, perché?»
Poi si trovò tra le braccia di Nanni – si sentí i muscoli contro la spalla –, e invece di piangere o di ribellarsi, levò gli occhi e lo guardò.
Quando Sandra tornò dal bagno nel vestibolo, Nanni le disse: – Stamattina hai già pianto due volte –. Sandra si fermò sulla soglia e sorrise appena. Stava dicendosi «Forse è il padrone della villa» e rise di se stessa.
Nanni era in piedi nella banda di sole e fumava una sigaretta. Nel raggio le spire di fumo parevano seta, venatura di un legno prezioso. Nanni la guardava, con un fermo sorriso. Di nuovo Sandra esitò a parlare. Temeva di avere ancora nella voce quel rauco, quel laceramento.
Nanni finí la sigaretta e la buttò per la fessura. Nel movimento che fece, scompigliò tutta la parete luminosa, e Sandra a passi rapidi venne fino alla porta. – Vuoi che andiamo? – gli bisbigliò sulla spalla. Nanni annuí senza parlare, e aprí la porta. Fece uscire Sandra e poi rinchiuse. Mentre Nanni girava la chiave, Sandra sentí come un urto l’impulso di correre, fuggire, non vederlo mai piú. Gli disse invece, con la voce baldanzosa: – Se scappassi, diresti che sono una sciocca –. Allora Nanni la guardò sorpreso.
Traversarono insieme la ghiaia che scricchiolava, e Sandra gli chiese se aveva perduto la lingua. Nanni disse che adesso bisognava mangiare. – Non ho fame, – disse Sandra. – Non ho fame e bisogna che ci lasciamo.
Si sedettero, taciturni, su una panchina. – Capisci, – disse Sandra. – Devi lasciarmi sola. Bisogna che pianga da sola. Poi ho da fare. Ci vedremo piú tardi.
Nanni si rassegnò ma volle l’appuntamento preciso. Su quella panchina, alle quattro. – Adesso va’. Lasciami sola.
Sandra restò sulla panchina, perché il viale era ormai deserto. Non aveva fame. Non aveva nulla. L’aria celeste e il mare quasi invisibile nel sole non dicevano nulla. Tutto esisteva come prima, come lei. Non le veniva affatto da piangere. Avrebbe pianto se qualcuno fosse venuto a consolarla. Non sapeva decidersi se prendere subito il treno. Le dispiaceva lasciare il mare. Le dispiaceva ingannare Nanni. Ma sapeva fermamente che a quei bagni non ci sarebbe tornata.
Allora si alzò e cercò lo sbocco del vicolo e cominciò a salire, con un passo che le parve inverosimile tant’era sciolto e vigoroso. Le scappò da sorridere. Quando sbucò sulla piazzetta, si ricordò del catino e levò gli occhi. Tutt’era silenzioso nel sole immobile: lassú sventolava un lenzuolo, teso attraverso il vicolo. Allora andò verso la casa del balcone, e costeggiò il muricciolo, donde volgendosi al vicolo rivide il tratto aereo di mare. Tutt’era uguale.
La padrona grassa del mattino uscí sul balcone, alle bussate che Sandra menò contro l’uscio socchiuso. Aveva sempre il fazzoletto in capo, ma stavolta che si sporse a parlare, parve a Sandra dalla voce una buona donna. Sandra agitò la lettera, e quella disse che scendeva. Poco dopo si sentí zoccolare sulla scala interna.
Quand’ebbero girato le tre stanze strette e buie – la vecchia correva avanti spalancando imposte e drizzando quadri: c’era la carta festonata sulle mensole – soffermate nel giardino sterposo, parlarono delle comodità e del vicinato.
— Qui soprattutto è una casa onesta, – diceva la vecchia grassa. – Qui non c’è altri che il mio Nanni…
Tacquero al nome di Nanni, e Sandra si stupí di non sentirsi arrossire. Sapeva che doveva succedere.
— Adesso è sopra, e si mangia un’insalata cosí. Volete gradire?
Sandra disse alla donna che la ringraziava ma doveva sbrigarsi. – Prendete almeno quattro pesche. Aspettate –. Sandra la vide correre alla porticina delle stanze e la seguí senza dir nulla fino in fondo alla scala. La vecchia ansimando si attaccò alla ringhiera e cominciò a salire. – Ve le faccio in un pacco. Aspettate –. Sandra le guardò dietro fin che non fu scomparsa al giro del pianerottolo, e poi piano spinse la porta e fu fuori. Traversò la piazzetta col cuore in tumulto. Al vicolo, prese a correre e si fermò soltanto nel giardino della stazione.

Fine.


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QUESTO E-BOOK:

TITOLO: L'avventura
AUTORE: Pavese, Cesare

DIRITTI D'AUTORE: no

LICENZA: questo testo è distribuito con la licenza specificata al seguente indirizzo Internet: www.liberliber.it/online/opere/libri/licenze

TRATTO DA: Racconti / Cesare Pavese. - Torino : Einaudi, [1994]. - 525 p. ; 20 cm.

SOGGETTO: FIC029000 FICTION / Brevi Racconti (autori singoli)