L’eredità perduta
di
H. G. Wells
tempo di lettura: 8 minuti
— Mio zio, – diceva l’uomo dall’occhio di vetro, – era ciò che si può dire un ottavo di milionario. Possedeva circa centoventimila franchi. Sicuro! E mi lasciò tutto il suo avere.
Io osservava le maniche lucide dell’abito del mio interlocutore, ed i miei occhi si posavano sul suo bavero malconcio dal lungo uso.
— Tutto! sino al centesimo! – continuò l’uomo dall’occhio di vetro, e con l’altro occhio mi fissava con un fare tra l’offeso ed il meravigliato.
— Non ho mai avuto una fortuna simile! – dissi io, tanto per assecondarlo.
— Ma anche un legato non è sempre una benedizione, – osservò egli con aria di rassegnazione, ficcando nel piatto il suo naso rosso ed i suoi folti baffi.
— Alcune volte no! – soggiunsi.
— Egli era uno scrittore, e scrisse una quantità di libri.
— Davvero!
— Qui sta tutto il male!
E tacque per vedere l’impressione che mi aveva prodotto; quindi dopo un po’ continuò:
— Poco le dirò. Egli era mio zio, mio zio materno; ed aveva direi quasi una debolezza per la letteratura morale. Debolezza è poco, dovrei dire piuttosto manìa. Era stato bibliotecario ad un Politecnico, ed appena ebbe la fortuna di avere del denaro, la sua ambizione incominciò a spiegarsi.
«Ed ecco una cosa incomprensibile e straordinaria per me!
«Un uomo di trentasette anni, d’un tratto carico d’oro e che non sa cosa farne!
«Credete forse che si sia vestito un po’ decentemente, che si sia comperato qualche dozzina di pantaloni da un sarto del West End? Mai!
«Non lo crede? Ma quando morì non lasciò neppure un orologio d’oro!
«È un’infamia che certa gente abbia del denaro! Egli non faceva altro che comprare dei libri ed ordinarli; comprare dell’inchiostro e della carta e mettersi a scribacchiare libri di morale finchè poteva.
«Non posso capire una cosa simile. Ma pure era così!
«La fortuna gli venne in modo assai strano per mezzo di uno zio materno. Gli venne inaspettata, quando appunto aveva trentasette anni. Mia madre pare fosse l’unica sua parente nel mondo, eccetto forse un cugino in secondo grado. Ed io ero l’unico figlio. Lei mi capisce?
«Il cugino pure aveva un unico figlio, ma lo portarono a vedere al vecchio troppo presto. Era troppo piccolo, ed appena posò gli occhi sullo zio, si mise a piangere ed a strillare quanto più poteva!
«— Portatelo via! portatelo via! – esclamò subito. E tutte le volte che gli si presentava quel bambino, esclamava sempre: – Portatelo via! portatelo via!
«Era una buona cosa per me, non è vero? E mia madre, essendo previdente, ci pensò per tempo.
«Era una strana figura mio zio, come me lo ricordo!
«Pareva un capretto spaventato.
«Aveva i capelli come quelle bambole giapponesi, neri, duri e setolosi, piantati tutto in giro e niente in mezzo, ed una faccia smorta e bianca con due occhi grigi sempre in movimento dietro agli occhiali. Non amava vestirsi bene e pulito, ma pure dava grande importanza al vestito; portava sempre una grande redingote, ed un cappello a cencio di forma straordinaria. Pareva un povero mendicante, ve lo accerto! In casa portava una veste da camera di flanella rossa e sporca, ed un berrettino nero. Questo berrettino gli dava l’aria di quegli uomini celebri che si vedono nei ritratti. Cambiava sempre alloggio, da una casa all’altra, e trasportava la sedia che aveva appartenuto a Savage Landor, e i due scrittoi che erano uno di Carlyle e l’altro di Shelley (così almeno gli avevano assicurato i venditori), e la lista più completa delle biblioteche d’Inghilterra. Ed egli trasportava i suoi penati da una casa a Down, vicino alla vecchia piazza Darwin, fino a Reigate presso Meredith. Indi a Haslemere, quindi di nuovo a Chelsea, per un poco, e poi ad Hamptstad. Insomma cambiava sempre alloggio, perchè non gliene andava mai a genio uno; ma non s’accorgeva di essere deficiente di cervello! E la ragione del cambio era sempre o l’aria, o l’acqua, o l’altezza, o qualche altra simile sciocchezza.
«— Vuol dir molto il vicinato! – era solito a dire; e se avevate l’aria di ridergli sul naso, esclamava: – Vuol dir molto per un uomo sensibile come me!
«Egli non scriveva nulla che qualcun altro non avesse già scritto.
«Nessuno poteva leggere le sue opere. Egli voleva essere un grande educatore, e non sapeva ciò che voleva insegnare più di quanto lo sapesse un fanciullo. Cosicchè egli trinciava a casaccio sulla verità, sulla giustizia e sullo spirito della storia. Scriveva un libro dopo l’altro e li pubblicava tutti a sue spese. Egli realmente non aveva bene la testa a posto, sapete, ma andava sulle furie contro i critici, non perchè lo criticassero, anzi questo gli sarebbe piaciuto, ma perchè non facevano neppure attenzione a lui.
«— Di che cosa hanno bisogno le nazioni? – diceva egli corrugando la fronte. – D’imparare ad esser guidate! Esse hanno la briglia sul collo, sono come pecore senza pecoraio.
«Egli scrisse: «La guerra ed Il rumore della guerra, Lo spirito della discordia nel paese, Il nichilismo, La vivisezione, La vaccinazione, L’alcoolismo, La miseria, Il bisogno, Il socialismo, L’errore, Il capitale egoista!»
«Egli diceva:
«— Vedete le nuvole che si abbassano sul paese? E sotto a queste i Mongoli che aspettano in agguato?
«Era sempre molto grande nel parlare dei Mongoli, ello spettro del socialismo e di simili cose!
«Quindi col suo dito disteso, cogli occhi senza fuoco e colla sua callotta nera mormorava:
«— Ed eccomi, io sono qui, che cosa manca alle nazioni? Le nazioni hanno bisogno d’imparare, io insegnerò loro, te lo dico con tutta modestia. E io potrei farlo. Io le guiderei ad una salvezza certa, al paese della giustizia, pieno di latte e miele!
«Ecco ciò che era solito dire, ed andava avanti così! Vagava fra le nazioni, la giustizia e mille altre fole. E quando io era ancora bambino, mia madre soleva lavarmi ben bene, pettinarmi, e mi conduceva due o tre volte alla settimana a sentire quel vecchio pazzo, ed io, fedele alle istruzioni ricevute, rimanevo seduto facendo finta di capire tutte quelle sciocchezze.
«Più tardi, fatto adulto, presi l’abitudine di andare da mio zio di mia spontanea volontà, a parte sempre l’idea del legato! Ed io era la sola persona che andasse a visitarlo! Egli scriveva bensì numerose lettere a tutti gli uomini di Stato d’Europa, a tutti i Sovrani, affinchè venissero a discutere secolui sulle Nazioni e sulla Giustizia, ma ahimè quelle lettere rimanevano senza risposta, e nessuno veniva a visitare mio zio.
«L’ultima volta che lo vidi mi diede un libro; si sentiva male e la sua mano tremava. Io lo osservai, perchè facevo attenzione a tutti i piccoli sintomi.
«— È il mio ultimo libro, – mi disse, – il mio ultimo, fanciullo mio, l’ultima mia parola alle nazioni sorde e testarde!
«E che io sia impiccato se una lagrima non è discesa sulla sua vecchia guancia gialla. Egli piangeva perchè la sua fine era prossima, ed aveva scritto cinquantatrè libri di ogni sorta di roba!
«E seguitò a dirmi:
«— Forse sono stato un po’ aspro e duro con questa generazione, forse avrei dovuto avere un po’ di dolcezza ed avrei potuto governare!
«Quindi con un sospiro, per la prima ed ultima volta in vita sua, ebbe uno svenimento. Si vedeva che era proprio ammalato. Quando rinvenne, parve meditare un minuto, indi si pose a parlare sommesso.
«— Sono stato uno stupido! – egli disse. – Sono stato senza buon senso in tutta la mia vita! Solamente colui che legge nel cuore di tutti conosce se le mie azioni furono o no improntate di vanità! Io non lo so davvero! Solo Iddio lo sa, se ho fatto qualcosa di vano e inutile!
«E mentre così parlava, ripetendo le parole e fermandosi, mi offrì il libro tremando.
«Me ne ricordo benissimo, poichè io lo ripetevo a mia madre quando ritornavo a casa, per rallegrarla un poco:
«— Prendi questo libro e leggilo, – egli diceva. – È la mia ultima parola, proprio l’ultima! Io ti ho lasciato ogni mio avere, fanne miglior uso di quello che io ne feci.
«Quindi si mise a tossire.
«Me ne ricordo ancora benissimo, quando io venni a casa singhiozzando! Egli era quasi spento, e la sua vanità lo sosteneva ancora!
«— L’hai letto?! – mi chiedeva.
«— Sono stato desto tutta la notte per leggerlo! – gli dissi in un orecchio per accontentarlo. – È l’ultimo, ma è il più forte ed il migliore!
«Egli sorrise un poco e tentò di accarezzarmi la mano come una donna; ma la sua mano si fermò di botto.
«— Il più forte ed il migliore! – ripetei di nuovo, vedendo che ciò gli piaceva.
«Ma non rispose. Lo guardai: aveva gli occhi chiusi e pareva dormisse!
«È ben triste tale ricordo: egli giaceva morto! morto là, disteso, col sorriso del successo sulle labbra!
«Tale fu la fine di mio zio. Lei può immaginarsi come mia madre ed io ci occupammo per fargli avere onorevoli funerali. Quindi venne il momento della ricerca del testamento. Incominciammo rispettosi e quieti, e prima che finisse la giornata noi avevamo messo sottosopra cassetti, sedie, mobili, ed ogni cosa! Ad ogni ora si aspettava che venisse fuori il famoso testamento.
«Chiedemmo alla padrona di casa, ed essa ci dichiarò che aveva testimoniato ad un testamento scritto sopra un mezzo foglio di carta, molto corto, ella diceva, e scritto un mese prima. L’altro testimonio era stato il giardiniere che seppe ripeterlo parola per parola. Ma ch’io sia impiccato se si trovò un testamento scritto!
«Mia madre pensava già di farlo ricercare perfino nella tomba.
«Finalmente un avvocato in Reigate ne tirò fuori uno, che era stato fatto anni prima, quando mia madre aveva avuto una disputa temporanea con lui. Questo fu l’unico testamento che si trovò; in esso lasciava ogni suo avere a quel figlio del suo cugino in seconda, quello al quale egli diceva sempre: «portatelo via!» un tipo che non era rimasto ad ascoltarlo neppure una sera in tutta la sua vita!
«Il testamento fu eseguito, e quell’altro prese l’eredità, e quando ebbe ventun anno incominciò a scialacquare. Ed in qual modo!
«Egli giocava, beveva, prestava, a destra e a sinistra. Dissipò fino all’ultimo soldo, e prima di aver raggiunto i trent’anni era spiantato!
«Ciò accadde tre anni fa.
«Naturalmente io l’ho passata brutta perchè, come ella vede, la sola cosa ch’io conosca in commercio è quella di accalappiare un legato!
«E così tutti i miei progetti furono sconcertati quando morì mio zio.
«Io ho avuto i miei alti e bassi, finora; ora appunto sono in un periodo di depressione; io le dico la verità francamente: ho bisogno d’aiuto! Concludendo, io ero nella mia stanza meditando sul modo di uscire dalla mia posizione più che imbarazzante, quando la vista di tutti i volumi scritti da mio zio mi accese d’ira, e con un pugno poderoso mandai in terra tutti quei volumi inutili! Uno di essi si aprì, e saltò fuori…. indovini che cosa?
«Il testamento che egli mi aveva dato di sua mano nel suo ultimo volume!»
Si appoggiò al tavolo colle mani; e col suo unico occhio guardò nel piatto vuoto. Scuoteva lentamente la testa e ripeteva:
— Non l’ho mai letto, quel libro! non ne ho neppure tagliato un foglio!
Quindi sorridendo amaramente:
— Quale stranezza!!!
Incominciò a pescare distratto colle dita una mosca morta nel bicchiere d’acqua.
— Questo dimostra la vanità degli autori! – riprese a dire, guardandomi. – Che non fosse stata una burla da parte sua! Egli credeva che sarei andato diritto a casa e che avrei letto quel benedetto libro! Ma che cosa dimostra ciò?
E coll’occhio guardò di nuovo il piatto vuoto.
— Come ci sbagliamo noi, poveri esseri umani, nel giudicare gli altri!
Ma non vi era da sbagliarsi nell’eloquente espressione del suo occhio.
Gli diedi un soccorso in danari, ed egli accettò ringraziandomi calorosamente.
Fine.
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QUESTO E-BOOK:
TITOLO: L’eredità perduta
AUTORE: Wells, Herbert George
DIRITTI D'AUTORE: no
LICENZA: questo testo è distribuito con la licenza specificata al seguente indirizzo Internet:
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TRATTO DA: Novelle straordinarie / H. G. Wells ; [illustrazioni di Celso Ondano]. - Milano : Fratelli Treves, 1905. - 211 p., [10] c. di tav. : ill. ; 27 cm.
SOGGETTO:
FIC029000 FICTION / Brevi Racconti (autori singoli)
FIC028040 FICTION / Fantascienza / Brevi Racconti