I mendicanti
di
Cesare Pavese
tempo di lettura: 6 minuti
Neanche da ragazzo Geri s’era mai capacitato di quei mendicanti che si presentavano alla porta vestiti decentemente – d’inverno, con un soprabito – e salutavano chiedendo l’elemosina seri, come chi attende a un affare e non ha tempo da perdere e lo fa capire. Geri aveva sempre provato contro di loro un sordo rancore come verso gente di un’altra razza e, se non fosse stato che gli davano soggezione, avrebbe sbattuto su quelle facce scarne e vagamente minacciose la porta, come la mamma gli diceva sempre di fare. Invece Geri lí per lí non capiva, poi riconosceva con terrore il povero dal brontolio esigente che usciva da sotto quel cappello. Con una vampa al viso, mormorava che non c’era nessuno e chiudeva in fretta accostando piano la porta senza guardare quegli occhi, ma restava inchiodato là dietro, nel buio, trattenendo il respiro. Attendeva lunghi minuti, in tumulto, spiando l’alito dell’altro di là dal battente, in un’agonia di vergogna e di paura, anelando di sentire quei passi allontanarsi. Ma era contento di non avergli dato nulla, contento di aver messo la porta tra sé e quell’uomo adulto e decentemente vestito che chiedeva l’elemosina con la durezza di chi ha diritto.
Una volta persino avevano suonato e Geri, corso ad aprire, si trovò davanti una signora col cappello e una pelliccetta al collo che gli chiese sorridendo se non le dava qualcosa. Geri corse a chiamare la mamma, che appena fattasi all’uscio, si ritrasse e chiuse, e per molto tempo Geri sentí la mamma parlare di sfacciataggine inaudita. Da allora Geri pensò che i mendicanti decentemente vestiti avevano donne, e quindi case e ore di lavoro, e giorni festivi e sale da pranzo, e insomma era gente che lavorava e guadagnava. Ciò accrebbe il suo rancore.
I poveri che gli facevano veramente pena e anche un poco d’invidia erano invece i cenciosi della strada, i vecchi dalla faccia lacrimosa da ubriaco, le donne col bambino sporco come un fagotto, ma soprattutto i suonatori ambulanti, che suonavano suonavano sull’angolo senza parlare e senza guardare, poveri che non chiedevano nulla e abbassavano gli occhi se qualcuno si fermava. Un giorno, quando già usciva da solo, Geri trovò sotto i portici un vecchio che attendeva seduto sulla lastra del marciapiedi ricoperta di un disegno a gessetti colorati. Geri seminascosto dal pilastro studiò a lungo il quadro e gli parve che fosse san Giuseppe col giglio. Ritornò altre volte e il quadro era sempre differente e il vecchio seduto nella banda di sole masticava semi di zucca. Ma un giorno Geri arrivò prima del solito e vide il vecchio inginocchiato presso il pilastro, col mento sul petto e le braccia in croce che pregava fervorosamente; la gente faceva crocchio. Poi il vecchio si batté il petto e disse in cantilena a voce alta delle parole che fecero ridere tutti, ma Geri non capí. E finalmente prese i gessetti e si mise a disegnare una Crocifissione. Geri non vide mai nessuno gettargli una moneta.
Geri ritrovò questi pensieri un mattino che non ebbe voglia di scendere dal letto e la finestra senza tendine pioveva una luce umida e sporca su tutti gli spigoli.
Giungeva nella luce – e la porta ne trasaliva – qualche cigolio o voce roca dalla scala, qualche tonfo e qualche bisbiglio; e da un istante all’altro qualcuno poteva cozzare nell’uscio e stropicciare i piedi, e attendere.
Geri rivide d’un tratto quel bambino esitante inchiodato dietro la porta, un cuore che batteva follemente, teso l’orecchio al buio, come era teso e irrigidito lui contro il guanciale.
Ma vide pure l’uomo adulto, chiuso nel bavero, dagli occhi torvi e ossuti, fermo di là dalla porta, coi pugni stretti nelle tasche. Due che si odiavano senza vedersi e ciascuno sentiva il respiro dell’altro.
Geri si rivoltò nel letto, affogando il viso nel guanciale e tendendo l’orecchio nel vuoto. Per un attimo la casa fu immobile e vaga, e uno stridore lontano dalla strada raschiò l’enorme silenzio. Il tepore del letto attutiva anche il battito delle vene.
A Geri che sentiva nella nuca e nelle tempie il gelo della stanza, pareva di avere il corpo steso al sole e quel brusio lieve del silenzio era il clamore delle piscine.
Anni dopo, Geri si fece un amico che si chiamava Achille con cui giravano per le strade qualche ora dopo la scuola, e dicevano poi a casa che ciascuno era stato in casa dell’altro a studiare. Senza Achille, Geri tutt’al piú sarebbe corso nel piú vicino cinematografo, dove in ciascun intervallo chiedeva ansiosamente l’ora a qualche soldato o altro spettatore. Achille invece amava mescolarsi ai passanti e camminare fendendo la folla e volgendosi sovente a scambiare una frase con l’amico; ma soprattutto gli piacevano spedizioni che pareva inventare lí per lí e invece si capiva che già da tempo aspettava l’occasione e conosceva i luoghi. Una volta era entrare in un caffè dove frequentavano prostitute; un’altra attendere davanti alle Carceri mangiando noccioline caso mai arrivasse qualche delinquente ammanettato; un’altra ancora assistere all’uscita delle apprendiste da una grande sartoria, dove c’era del buono.
Achille per sentirsi piú sciolto lasciava i libri in deposito al bidello dell’istituto dove li ritrovava l’indomani. Geri lo ammirava molto, ma portava i propri con sé, benché alla sera non avesse piú nessuna voglia di studiare.
Il bello di quelle scappate era quando percorrevano strade insolite e fuori mano. Geri non amava la folla: tutti quegli occhi preoccupati e ansiosi, quello scalpiccio, quel viavai e quella fretta, lo spaesavano ricordandogli che il suo dovere era di trovarsi in quell’ora al suo tavolino tranquillo, aspettando la cena. Ma gli piaceva quando tornavano per marciapiedi silenziosi e l’aria fredda s’imbruniva e il cielo era piú limpido e da un momento all’altro poteva accendersi la lunga fuga dei lampioni.
Achille aveva già cercato di condurre Geri in un casino, ma Geri non era ancor deciso. Neanche Achille del resto non c’era mai stato sul serio. Sapeva come si faceva, che cosa si pagava, come si rispondeva alla portinaia, ma una volta che Geri gliene ridomandò scambiò nomi e particolari e fu evidente che inventava. Però Geri non osava rinfacciarglielo, perché Achille era cosí franco e convinto in tutti quei discorsi, che lasciandolo dire era un divertimento, mentre, a umiliarlo, si sarebbe stati male tutti e due.
— Voglio prima conoscere meglio le donne, – gli obbiettò invece. – Abbordiamo qualche sartina o qualche figlia di famiglia e, quando avremo piú esperienza, verrò là –. Diceva cosí per guadagnar tempo, perché tanto Achille, una sera che volle abbordare una serva in un giardino, s’era fatto solo beffeggiare. Geri assisteva a un dieci passi, palpitando di vergogna, e provò un senso di sollievo quando la ragazza – una bruna solida e grassoccia – rise sforzatamente sul naso di Achille che parlava, e s’allontanò raccogliendo il bambino. Achille le andò dietro per un po’ e Geri non ne vedeva il viso ma sentí una voce rauca rispondere irritata: – Va’ via, stupido.
Intanto veniva la primavera e Geri si stupiva di non essersi mai accorto in vita sua quanto fosse bello uscire e guardare e respirare. Non era soltanto l’aria e il bel tempo, perché già nell’inverno gli era piaciuto camminare anche nel fango o nella nebbia, e di malavoglia lasciava Achille sul portone di casa e sovente facevano la spola dall’uno all’altro fino all’ora di cena. «Sarà perché questo è il primo anno che esco e vivo da me», pensava filando a scuola coi libri sotto il braccio. E adesso non avrebbe piú fatto freddo, e venivano anche le foglie e durava la luce fino a tardi. Se soltanto Achille quando passava una bella donna non si fosse piú messo a canterellare «vorrei baciarti nuda». A Geri dispiaceva che per essere uomo, bisognasse dire quelle cose.
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Fine.
Scopri sul sito Internet di Liber Liber ciò che stiamo realizzando: migliaia di ebook gratuiti in edizione integrale, audiolibri, brani musicali con licenza libera, video e tanto altro: https://www.liberliber.it/.
Se questo libro ti è piaciuto, aiutaci a realizzarne altri. Fai una donazione: https://www.liberliber.it/online/aiuta/.
QUESTO E-BOOK:
TITOLO: I mendicanti
AUTORE: Pavese, Cesare
DIRITTI D'AUTORE: no
LICENZA: questo testo è distribuito con la licenza specificata al seguente indirizzo Internet: www.liberliber.it/online/opere/libri/licenze
TRATTO DA: Racconti / Cesare Pavese. - Torino : Einaudi, [1994]. - 525 p. ; 20 cm.
SOGGETTO: FIC029000 FICTION / Brevi Racconti (autori singoli)