Questo importante volume di ricordi del notissimo attore e autore teatrale napoletano Raffaele Viviani fu pubblicato nel 1928. Descrive quindi tutta la parabola artistica non portandola ovviamente a conclusione, visto che la sua ricca produzione si concluse nel 1947, sempre riservando grande attenzione alle dinamiche del cambiamento sociale.
Viviani ci narra quindi la sua vita teatrale fin dagli esordi in tenerissima età – al seguito del padre vestiarista teatrale – su palcoscenici di infimo ordine. Le grosse difficoltà sue e della famiglia alla prematura morte del padre stesso furono attenuate intorno al 1905 quando poté entrare nel più dignitoso mondo del teatro di varietà, all’interno del quale conobbe un crescendo di successi nazionali e internazionali che, partiti dall’interpretazione della macchietta dello Scugnizzo, si dipanarono attraverso la sua inesauribile vena creativa; componeva canzoni, monologhi e sketches con più personaggi valendosi della sua innata espressività. Nel 1917 gli spettacoli di varietà furono sospesi e questo pesò certamente non poco nell’indurre Viviani a “evolvere” verso più organiche strutture drammaturgiche, non rinunciando tuttavia al suo abituale e collaudato repertorio di macchiette. Parallelamente alla nascita dei suoi “atti unici” Viviani diventa impresario e capocomico di una sua vera e propria compagnia di prosa dialettale.

Conoscendo alcuni suoi importanti lavori teatrali come Zingari (1926) La festa di Montevergine (1927) Nullatenenti (1928) e fino a La tavola dei poveri (1946), la lettura di queste memorie assume l’aspetto della più appropriata introduzione alla sua attività teatrale più matura e induce a pensare che, oltre a collocarsi certamente ai vertici della drammaturgia dialettale italiana, l’opera del Viviani sia seconda solo a quella pirandelliana come esperienza teatrale creativa nel periodo che intercorre tra le due guerre mondiali.
Da ricordare le sue valutazioni non lusinghiere verso l’arte cinematografica, indicata come una delle cause del “peggioramento del gusto artistico” delle platee d’Italia:

“Il cinematografo colla sua produzione nord-americana di assai discutibile buon gusto, ha finito per scombussolare i cervelli già per buona parte disorientati, ed allora la lotta tra l’artista ed il pubblico si rende ineguale.”

Nonostante questo, Viviani, che già nel 1908 era stato interprete, insieme alla sorella Luisella, di tre films oggi perduti, fu interprete, nel 1932 e nel 1939, di due riduzioni cinematografiche di sue opere teatrali: La tavola dei poveri e L’ultimo scugnizzo. Questo a riprova della sua grande versatilità e della costante e non mai accantonata ricerca sperimentalistica, esulante sempre però dai convenzionalismi di tipo psicologista dilaganti nel teatro – e cinema – dell’epoca. In sintesi quindi una lettura di grande interesse per chi voglia gettare uno sguardo sulla storia del teatro italiano della prima metà del XX secolo.

Sinossi a cura di Paolo Alberti

Dall’incipit del libro:

Nacqui a Castellamare di Stabia, la notte del 10 gennaio 1888, all’una e venti, figlio di un cuor d’oro di donna e di un padre cappellaio, che più tardi divenne vestiarista teatrale. Un sequestro al suo magazzino, il giorno dopo la mia nascita, l’obbligò a ritornare a Napoli, sua città nativa, e a darsi con maggior lena alle cose teatrali che egli, fin da giovanetto, prediligeva. Riprese le antiche amicizie e s’impiantò. Uomo ingegnosissimo ed onesto fino allo scrupolo, costruiva tutto con le sue mani; finì così per crearsi un vasto corredo di attrezzi teatrali e di indumenti, con i quali forniva alcuni teatrini dei quartieri più eccentrici. Tale industria lo aiutò a tirare innanzi la vita, ed a rimettere insieme quello che in gioventù aveva qua e là disperso per il suo temperamento generoso e vivace. Che Iddio lo abbia in gloria

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