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Terza raccolta di racconti di Jovine, questo L’impero in provincia, pubblicato nel 1945 nell’immediatissimo dopoguerra, segna una svolta nella narrativa dell’autore, spostando il suo sguardo storico dalla narrazione della miseria delle popolazioni rurali molisane ai tempi del risorgimento e dei primi decenni dell’unità d’Italia al ventennio fascista e alle fasi finali della seconda guerra mondiale. Probabilmente il focalizzare la propria attenzione su vicende e ferite troppo recenti limita la complessità della visione alla quale Jovine ci aveva abituato con le raccolte precedenti di racconti e con il romanzo Signora Ava.
Al posto di questa complessità troviamo però una sferzante satira che certamente non attenua la forza della narrazione ma la rende, forse, ancora più convincente, nonostante si possano notare scompensi nella caratterizzazione dei personaggi e lacune nel ricercare le origini e le cause dei loro personali drammi. Il tratto comune è comunque sempre l’emarginazione subita dal Molise riguardo alla storia italiana degli ultimi due secoli. Emarginazione che sta poi all’origine dell’atavica diffidenza del contadino meridionale. In queste sei novelle questa diffidenza si scontra prima con la falsità dell’ipocrita propaganda fascista e, nelle ultime due novelle, con la gratuita ed efferata violenza delle azioni militari con diversi protagonisti: i tedeschi in fase di ritirata, militari italiani sbandati, forze alleate impegnate a risalire lo stivale.
Di guerra si parla anche nella riuscitissima novella Michele a Guadalajara, che con disincantata crudezza e solo apparente leggerezza indaga sulle motivazioni che spinsero tanti italiani a rispondere all’appello per recarsi, volontari, a combattere a fianco dei falangisti spagnoli. Forse mai come in questo racconto viene presentata l’opportunità di andare in guerra come proseguimento di quella necessità di “emigrare” che aveva caratterizzato i decenni precedenti e che in ogni caso è visto come il solo modo per sfuggire a una povertà lacerante. Michele, il barbiere di paese, si offre volontario, ma solo per l’intervento di Angelo il calzolaio, che rinuncia al suo posto, riesce a partire. Un’esplosione lo priva di un braccio e al ritorno ritrova un figlio nato in sua assenza… l’intervento di Angelo non si è limitato a favorire la partenza di Michele…
Pochi, veramente pochi, i bagliori di speranza in queste novelle. In La rivolta, il racconto che conclude il volume, la breve esperienza della comunità paesana “senza legge”, dopo il disfacimento del governo centrale all’indomani dell’8 settembre ’43, si esaurisce al ritorno, quasi alla chetichella, di “quelli che c’erano prima e scrivevano”. Per ora di notte, facendo appena scorgere il lume dietro le finestre del municipio. Ma presto riprenderà l’andamento di un tempo.
“Ritorna la legge, a che serve la legge? Ecco tu zappi e mangi […] arriva la legge e ti spoglia. […] Carmine Procaccitto; fesso; zappa, sarchia, miete; poi gli dànno un quarto di grano al mese; e il resto? La legge? La legge sta lontano e sta seduta e il grano lo vengono a prendere a Carmine Procaccitto e alla legge glielo portano fino a casa”.
Il municipio va a fuoco, ma l’inutilità di questa ribellione appare simile a quella di Martina sull’albero che, dopo aver dato “l’oro alla patria”, si vede minacciata anche nel suo ultimo bene, un maiale, e lo difende strenuamente; o all’inutilità del sacrificio delle tre vedove, che vedono brutalizzata, dai tedeschi alla ricerca di armi nascoste, persino la loro maniera di preservare la memoria.
Il progetto di indagine dell’anima meridionale che ha caratterizzato tutta l’opera di Jovine troverà poi il suo più felice compimento con il romanzo Le terre del Sacramento. Il periodo storico descritto in questo suo ultimo romanzo è immediatamente precedente a quello che fa da sfondo a questi racconti, ma ancora una volta il perno è il progressivo aggravarsi della “questione meridionale” a fronte del susseguirsi di esperienze socio-politiche pur diverse.
Sinossi a cura di Paolo Alberti
Dall’incipit del primo racconto La vigilia:
Forse dovrei solo parlare delle recenti sciagure che pesano terribili sulle nostre anime; ma ora che le nostre case sono distrutte, prima che la nostra gente si disperda, sarà necessario narrare per i sopravvissuti i casi piú notevoli successi nei nostri luoghi, in questi ultimi tempi, perché non vada perduta la memoria degli uomini che l’abitarono.
Se qualcuno mai ritorni nella terra dei padri troverà scritto tra le pietre e la gramigna, il grido dei morti e il pianto dei vivi, lontani.
Ma c’è un tempo piú remoto da cui nacque il nostro presente dolore che le case crollate e la campagna morta non potrebbero narrare.
Se ci fossero ancora focolari intatti la gente rimasta potrebbe nelle lunghe sere d’inverno, richiamare i volti e le voci dei morti. L’affettuosa memoria rifarebbe familiari le care immagini e ritesserebbe filo a filo la delicata trama. La sventura ritroverebbe nel tempo le sue ferme radici e il ricordo di giorni lieti e tristi del passato in cui fummo tutti uniti, potrebbe darci la forza per tornare e forse per ricostruire le nostre case.
Scarica gratis: L’impero in provincia di Francesco Jovine.