L’autore curò fino alla sua morte la sistemazione di questa silloge complessiva che fu pubblicata in prima edizione nel 1951 a cura di Pietro Pancrazi e con note di Luigi Huetter; note di esplicazione di alcuni termini dialettali che non abbiamo potuto includere in questa edizione digitale per ragioni di copyright.
La quinta edizione, del 1954, è quella che abbiamo preso a riferimento, ed è la seconda che ricostruisce una successione cronologica in adesione a vari suggerimenti di appassionati studiosi di Trilussa, in contrasto però con quanto disposto dall’autore. Questo si evince da una breve nota titolata “Avvertimenti” firmata da Arnoldo Mondadori.
Solo più tardi, credo dal 2004, l’edizione di “Tutte le poesie” vede ripristinata la successione delle dodici raccolte poetiche come stabilita dall’autore e vede anche una revisione filologica, compiuta controllando gli autografi quando possibile e corredando il testo di un apparato di note che tendono a chiarire i riferimenti alle vicende politiche ormai remote per il lettore di oggi, e di un inquadramento storico letterario che sembra non solo utile ma indispensabile per una proficua lettura dell’opera di Trilussa.
I bersagli critici dell’autore sono svariati. Al centro sta però “il gran mondo” che non può nascondere agli occhi dell’ironico poeta tutti i propri peccati: «’Sta bona società quant’è cattiva!» esclama alla fine dei I mercoledì della marchesa. Il punto di vista su questa buona società è spesso quello, molto ravvicinato, delle domestiche, del portiere, in genere della servitù che con candore ed efficacia smaschera facilmente ciò che si nasconde sotto il decoro borghese e quindi fa emergere debiti, adulteri, ipocrisie di tutti i generi.
Ma non sono certo esentati dal ricevere strali e satira questi componenti del “popolo”, e questi strali diventano più acuti e pungenti se vengono prese in esame le velleità “politiche” di queste figure appartenenti ai ceti meno abbienti e delle classi subalterne. In poesie come Le Delibberazzioni der portiere o Er principe rivoluzzionario lo spirito conservatore di Trilussa prende i suoi connotati definitivi. E la sua ironia verso il ricco o il nobile che si pavoneggia nell’apparire sovversivo coglie più che mai nel segno.
Non possiamo sorvolare su come l’ammantarsi di bonario “buon senso” nasconda spesso un qualunquismo che è però comunque evidente. Ma ci sono anche momenti nei quali il senso comune viene coniugato con un’intenzione etica e approda a una sconsolata riflessione sulle caratteristiche del genere umano. L’avversione per i pregiudizi diffusi, quelli razziali ad esempio, per la morale corrente di fronte alla quale «l’onore, la vergogna, er sentimento/rassegneno le propie dimissioni.».
Per quanto concerne la corruzione, i dardi della satira trilussiana non risparmiano nessuno strato sociale: ministro e prostituta assumono spesso comportamenti simili, atteggiamenti equivalenti. E anche la società romana postunitaria è un crogiuolo di corruzione fatto di intrighi e raccomandazioni.
Raramente si intravede la virtù e anche quando questa appare si scopre subito che fa da pretesto e copertura per motivazioni che sono tutt’altro che virtuose. Nel complesso non possiamo non vedere che l’ironia mimetizza molto spesso una malinconia di fondo, il disincanto col quale viene smascherata la morale del tornaconto.
Linguisticamente Trilussa, accusato non a torto da Chiappini di non essere mai stato a Trastevere, abbandona chiaramente il modello del Belli per approdare, usando le parole di Pier Paolo Pasolini, – che scrisse le sue prime cose in dialetto – a un «maccheronico italo-romanesco che non ha altro ruolo che mettere una patina sulla lingua». Resta certamente il fascino del personaggio e la sua capacità di essere cronista di una Roma nuova.
Non vi si può cercare niente altro oltre al suo modo particolare di guardare le cose e i fatti oscillando tra ironia e intelligenza comune e costruendo in questo modo una sua filosofia dell’esistenza, tenendo conto che doveva attraversare le insidiose acque del fascismo.
Stesse acque però che dovette attraversare un altro grande poeta dialettale, Delio Tessa (le cui opere si possono leggere in questa biblioteca Manuzio) che riuscì però a sviluppare e risolvere in positivo gli elementi che erano pur presenti nell’opera di Trilussa giungendo al senso del tragico e alla visione drammatica della vita. Non si può trovare strano quindi che mentre Trilussa poté incontrare gloria e consensi, Tessa andò incontro soprattutto ad amarezze e dolore.
Il testo è corredato dalle 32 illustrazioni a sanguigna realizzate dallo stesso Trilussa.
Sinossi a cura di Paolo Alberti
Dall’incipit del libro:
A capire l’arte e la fortuna di Trilussa, a spiegare il posto che, per un largo cinquantennio, egli ottenne tenne e mantenne, non soltanto nella vita artistica, ma senz’altro nella vita italiana, prima e meglio d’ogni considerazione critica, credo giovi rifarsi a quello che di lui ricordano i biografi. Trilussa nacque alla poesia, dalla cronaca: non si dice, in alto senso, dall’occasione: proprio dalla cronaca cittadina degli spettacoli, dei teatri, dei caffè-concerti e delle altre novità o curiosità quotidiane, nei giornali o giornaletti romani di fine secolo, Il Rugantino, Il Don Chisciotte…, dove il ragazzo, uscito appena di scuola, prese a collaborare. A diciott’anni, il suo primo volumetto di versi romaneschi, Le Stelle de Roma, è in lode delle più belle ragazze dei rioni della città; e i suoi primi sonetti dialogati e giocosi (non ancora satirici) riflettono e commentano i baracconi, i circhi, i fenomeni delle piazze popolari.
È vero che tanti altri e diversissimi scrittori sempre nacquero e tuttora nascono dal giornale. E al tempo della gioventù di Trilussa questo era forse più vero che oggi. Quegli anni stessi, o press’a poco, nasceva nel giornale anche il romanziere D’Annunzio che nelle cronache della vita mondana, dei concerti, delle esposizioni, cercava i primi colori o i primi accordi di quello che poi sarebbe stato il grande quadro delle sue favole amatorie.
Scarica gratis: Tutte le poesie di Trilussa.