Bodrero coglie l’occasione fornita dall’uscita della traduzione delle commedie di Aristofane ad opera di Ettore Romagnoli, per porre il lavoro dell’esimio grecista ad esempio di come deve essere portata avanti la traduzione di classici e in particolare di quelli greci. Dall’alto della sua notevole autorevolezza nell’ambito della cultura filosofica e letteraria greca e della corrispondente notevole conoscenza della lingua, Bodrero indica su quali cardini una traduzione dovrebbe fondarsi.

Sostanzialmente la traduzione dovrebbe essere in grado di esprimere una efficace sintesi tra quello che l’autore dice e il modo in cui lo dice. È quello che ottiene appunto il Romagnoli nelle sue ottime traduzioni di Aristofane.

Da notare però (forse anche in funzione dell’ambito nel quale trovò spazio la pubblicazione di questo breve saggio, cioè la rivista dei cattolici liberali diretta da Manfredo da Passano, Rassegna Nazionale) che il Bodrero non manca di evidenziare la sua elitaria e aristocratica visione della cultura – che lo collocherebbe, in base alla nota classificazione di Umberto Eco, tra gli “apocalittici” –.

Appare infatti gratuita e inutile la definizione di “ vuota e sudicia scempiaggine” della riduzione in italiano della Lisistrata di Aristofane ad opera di Gandolin sulla base della versione francese di Donnay. Tale opera, apprezzata in altri ambienti meno prevenuti nei riguardi della cultura di massa, fu messa in scena dalla compagnia di Virginia Reiter, e a proposito di questa Luigi Rasi così si espresse: “[…] la nuova trascrizione francese di Maurizio Donnay della Lisistrata di Aristofane, rimaneggiata poi in italiano dal Gandolin, che vi trasfuse tutta la gaiezza del suo spirito”. Cultura popolare, certo, come era quella di Rasi e Gandolin, ma non certo “vuota scempiaggine”.

Infine una considerazione un po’ nostalgica; dice Bodrero in apertura di questo suo scritto: “una traduzione di Catullo o di Marziale, assume l’aspetto di una semplice esercitazione, dal momento che non v’è persona mediocremente colta che non presuma di sapere tanto di latino da poter leggere da sè direttamente i testi”. Era infatti così, certamente cento anni fa e fino agli ’60 del secolo scorso.

Poi una visione ancora più aristocratica della cultura rispetto a quella di Bodrero, ma ammantata di un populismo che si è rivelato, secondo me, quanto mai deleterio, ha deciso che quel tipo di sensibilità doveva rimanere appannaggio solo di una sempre più ristretta ed elitaria cerchia di superspecialisti.

Sinossi a cura di Paolo Alberti

Dall’incipit del libro:

Ciò che io son per dire nel presente scritto, potrebbe estendersi a qualunque opera letteraria di traduzione, di qualsivoglia genere, epoca e autore. Sarebbe anzi lavoro assai utile, credo, quello che avesse per iscopo di disegnare una storia della traduzione nella letteratura italiana, come per i classici è stato fatto già per la letteratura francese, tale, sembra, che farebbe intravedere la soluzione di moltissime questioni diremo così di sintesi, sopra tutto per ciò che riguarda certe influenze e certe correnti letterarie. Ma il presente scritto si limita a considerare la traduzione dei poeti greci, come quella che può servire d’indice alle altre, in quanto per la maggiore altezza degli originali e per la minor diffusione della conoscenza della lingua greca, si rivolge ad un pubblico più numeroso.
In fatti si sa che è molto meglio conosciuto per esempio il latino, che non il greco, così che una traduzione di Catullo o di Marziale, assume l’aspetto di una semplice esercitazione, dal momento che non v’è persona mediocremente colta che non presuma di sapere tanto di latino da poter leggere da sè direttamente i testi. Quanto alle lingue moderne, la francese non è, o quasi, tradotta in Italiano, e per la tedesca, l’inglese, la spagnuola e la russa, quella parte del nostro pubblico che non le conosce si serve delle traduzioni francesi.

Scarica gratis: La traduzione dei poeti classici di Emilio Bodrero.